11 febbraio 2025
È COSÌ CHE SI SALVA MILANO?
Fare il punto
La maggioranza governativa, con il sostegno del Partito Democratico, ha approvato alla Camera il disegno di legge n° 1987 per risolvere i guai giudiziari in cui si trova parte dell’attività edilizia in Milano, a seguito di una discutibile prassi interpretativa delle norme urbanistiche, riguardo alle ‘torri’ ed alle ‘ristrutturazioni edilizie’ più disinvolte. Il provvedimento, oltre alle questioni specifiche, coinvolge le prospettive della ‘rigenerazione urbana’, in direzione più o meno democratica, e rischia di divenire un cavallo di Troia in favore della “deregulation” sempre perseguita dalle forze politiche di destra.
Sommario:
Appendice: principali norme e provvedimenti richiamati in questo articolo
PREMESSA
Negli ultimi anni, a fronte di un quadro normativo oggettivamente complicato, gli uffici urbanistici del Comune di Milano hanno assunto procedure di facilitazione nei confronti di interventi edilizi privati, in particolare riguardo alle demolizioni con ricostruzione, anche con nuove altezze superiori agli edifici circostanti e talora oltre i 25 metri.
Tali procedure, in atto da oltre un decennio, sono anche state formalizzate nel 2023 con una Circolare dai dirigenti degli uffici urbanistici comunali (che più avanti riprenderemo nel dettaglio).
A seguito di proteste e ricorsi, la magistratura penale ha avviato diverse inchieste che hanno portato al sequestro di alcuni cantieri e più in generale hanno messo in discussione le linee interpretative adottate dal Comune, anche per altre pratiche non ancora oggetto di indagine:con varie conseguenze sia sulle iniziative imprenditoriali, sia in taluni casi a danno di terzi ignari, come gli acquirenti di singole unità immobiliari. [1]
La soluzione politica e amministrativa a questa situazione di paralisi e incertezza sembra concretizzata in un Disegno di legge, approvato alla Camera dei Deputati, con la convergenza tra la maggioranza governativa di Destra-Centro ed il Partito Democratico (che sta in Giunta a Milano), denominato giornalisticamente “Salva-Milano”.
In questo articolo cercheremo di chiarire, per quanto ci riesce, alcuni aspetti tecnici e politici di tale soluzione, e di porre alcuni interrogativi sulle conseguenze, con un inquadramento storico che comporta talora un linguaggio un po’ specialistico: un tentativo di ricomprendere gli elementi salienti di un quadro così complesso, senza pretesa di dirimere le questioni penali e amministrative.
E tanto meno di valutare nell’insieme la validità delle Giunte Comunali succedutesi alla guida di Milano
SFONDO SOCIOECONOMICO
Sullo sfondo, che non intendiamo qui approfondire perché già ampiamente dibattuto [2], anche sui media generalisti, sta la crisi dell’insediamento sociale di Milano, con il caro-affitti educatamente ed efficacemente denunciato nell’estate 2023 dagli studenti accampati davanti al Politecnico (ed in precedenza anche dall’Arcivescovo Delpini): caro-affitti e caro-case accentuato dal boom degli ‘affitti brevi’ e che colpisce non solo gli studenti ma in generale i ceti meno-abbienti (compresi i lavoratori-poveri di cui il sistema urbano si avvale), espellendoli verso altri Comuni, tanto da determinare nel 2024 l’arresto della crescita demografica complessiva del Comune di Milano, che perdurava sostanzialmente dall’inizio del secolo (a parte il biennio del Covid e le rettifiche per i censimenti).
Anche se l’Associazione dei Costruttori, e per essi anche il prof. Cottarelli, indica come soluzione aumentare ulteriormente la produzione edilizia, l’esperienza degli ultimi anni, generosa in apertura di cantieri (fino alla recente botta d’arresto determinata dalle procedure giudiziarie) mostra che quel tipo di offerta non incontra la ‘domanda povera’, ma trova soddisfazione in altri segmenti, superiori, del mercato, tra cui i ‘city users’ che abitano temporaneamente in città (dai ‘creativi’ in transito agli studenti ricchi), e probabilmente anche una quota di investimenti speculativi che mirano al valore immobiliare comunque in aumento (salvo rischio di esplosione della ‘bolla’, per l’appunto speculativa).
Alla narrazione del successo di Milano ‘città attrattiva’, esemplificato dall’Expo 2015 (con il suo milione di metri quadri sottratto all’agricoltura per meglio discutere sul cibo nel mondo), alla contro-narrazione sulla ”Invenzione di Milano”, brillante saggio di Lucia Tozzi (2023) 5, che ha sdoganato tale critica sociale al di fuori della consolidata cerchia dei ‘comitati’ di opposizione.[3]
La consapevolezza del problema del caro-casa non era estranea all’Amministrazione Comunale, che nel Documento di Sintesi del Piano di Governo del Territorio del 2019 includeva tra i tre obiettivi principali “Diritto alla casa e affitti calmierati” [4]: ma, come ha ben puntualizzato l’architetto Angelo Rabuffetti 7, gli strumenti individuati erano insufficienti oppure non sono stati perseguiti [5] ; tanto che la Giunta tenta di riparare con più energia nella variante al Piano in corso di elaborazione.
QUADRO NORMATIVO STORICO:
Riassumiamo di seguito brevemente il quadro normativo esistente, relativo alle questioni aperte sul ‘caso Milano’ e cioè le ‘torri’ e le demolizioni/ricostruzioni.
Riportiamo in appendice l’elenco di tutte le fonti legislative da noi considerate, con i relativi ‘link’.
1 – ‘Torri’
Mentre la propaganda a favore della leggina ‘Salva-Milano’ tende a presentarla come un atteso aggiornamento della Legge Urbanistica del 1942 (legge richiamata quale reperto fossile di un Italia ancora fascista ed in guerra), come ha giustamente rammentato su “La Repubblica” Alessandro Delpiano 8 (urbanista dirigente del Comune di Bologna), le norme reinterpretate dalla Camera dei Deputati (ed in attesa del vaglio del Senato) risalgono in parte al 1967 ed in parte al 1978 ed oltre.
Delpiano esagera forse nel dipingere la legge del 1967 come un faro del riformismo: fu chiamata ‘Legge Ponte’ perché intesa dai progressisti come una tappa intermedia verso una vera e complessiva riforma urbanistica, dopo che la Democrazia Cristiana aveva affossato il precedente tentativo di riforma del suo ministro Sullo; ed il ‘ponte’ rimase sospeso nel vuoto perché la riforma complessiva ipotizzata dai governi di centro-sinistra non venne mai fatta; Ne resta però che la suddetta Legge Ponte, divenuta necessaria dopo lo scandalo dei crolli dei palazzi di Agrigento, costituiva comunque una significativa svolta contro la dilagante speculazione edilizia, perché imponeva, in sintesi:
E per questo, stanti i rapporti di forza tra progressisti e reazionari (nel Parlamento e nel Paese), fu in parte vanificata da una moratoria di un anno, con una scorpacciata di licenze edilizie che hanno cementificato ampie zone d’Italia (ed in parte poi ammorbidita con leggine e circolari, vedi oltre).
In tale contesto si poneva anche la norma specifica (comma 6 dell’art. 17 della L. 765/1967), che subordinava le licenze edilizie per edifici superiori a 25 metri di altezza oppure superiori alla densità di 3 mc/mq, anche se previste dai pre-vigenti Piani Regolatori Generali (a quel tempo operanti solo in alcune decine di Comuni), alla “approvazione del piano particolareggiato o della lottizzazione convenzionata, estesi all’intera zona e contenenti la disposizione planivolumetrica.”
Come recitava la Circolare Ministeriale 14 aprile 1969 N.1501: “La norma … ha lo scopo di evitare che densità eccessive o altezze troppo elevate comportino soluzioni tali da produrre inconvenienti per il traffico, ovvero di carattere igienico ed estetico, o, più in generale, urbanistico ed a tal fine rende obbligatorio lo studio e l’approvazione di adeguate indicazioni planivolumetriche per la distribuzione delle costruzioni sul terreno, prima della realizzazione dei singoli edifici.”
Mentre la precedente circolare ‘generale’ dell’ottobre 1967 si limitava ad illustrare i contenuti innovativi della Legge 765 nelle diverse casistiche, la circolare dell’aprile 1969 [6] si spingeva ad interpretare il suddetto comma 6 dell’art. 17, escludendo l’obbligo del Piano Particolareggiato ovvero del Piano di Lottizzazione Convenzionata nei seguenti casi:
Ci pare dubbia la potestà del Ministro di allargare così nettamente il dettato legislativo: d’altronde se tale potestà fosse inoppugnabile, la stessa legge ‘SalvaMilano’ non sarebbe necessaria, perché basterebbe la vigente circolare.
L’orientamento derogatorio della circolare n° 1501/69, sempre limitatamente ai casi di completamento o sostituzione su lotti singoli, è stato confermato anche dal Consiglio di Stato, a partire dalla Sentenza n° 271/1984.
Ancora più netta, anche perché priva di successive interpretazioni in ‘circolari’, è la norma sulla “altezza massima dei nuovi edifici” che “non può superare l’altezza degli edifici circostanti e preesistenti” nelle zone B, ovvero di completamento, in assenza di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche”, norma contenuta nell’art. 8.2 del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968 n° 1444, attuativo della suddetta Legge Ponte.
Va evidenziato che l’obbligo di pianificazione attuativa (piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata) comportava e comporta, rispetto ad una semplice licenza o concessione o permesso di costruire:
2 – Demolizioni/ricostruzioni
La legge n° 457 del 1978 “Norme per l’edilizia residenziale”, nel quadro riformista del ‘compromesso storico’, introdusse distinzioni, fondamentali nella nuova tematica del ‘recupero urbano’, tra i diversi tipi di interventi edilizi sui fabbricati esistenti, dalle manutenzioni (ordinaria e straordinaria) al restauro ed alla ristrutturazione edilizia, con una gamma decrescente di agevolazioni procedurali e fiscali, lasciando nel regime ordinario delle concessioni edilizie (oggi ‘permessi di costruire’), assimilandoli alle nuove costruzioni, gli interventi più pesanti, sia di ricostruzione che di “ristrutturazione urbanistica”.
Stanti i crescenti vantaggi per le procedure di recupero, da una certa data attivabili con semplice attestazione del progettista, nonché gli sconti in materia di oneri di urbanizzazione da versare al Comune, il legislatore, dal 2013 (governo Renzi) in poi ha progressivamente (e confusamente) dilatato la definizione di “ristrutturazione”, includendovi ampie possibilità di ricostruzione ‘infedele’ (cioè diversa dalle preesistenze) ed anche di ampliamento.
3 – La riforma regionalista della Costituzione (2001) e la legge urbanistica regionale lombarda del 2005
La riforma del Titolo V della Costituzione – oggi molto discussa insieme al disegno di legge attuativo sulle ‘autonomie regionali’ – ha definito la gestione del territorio come “materia concorrente” tra Stato e Regioni, il che implicherebbe da parte dello Stato la definizione di una “legge di principi” su cui le Regioni potrebbero articolare la specifica potestà legislativa.
Mancando fino ad oggi la “legge di principi” (sempre auspicata dall’Istituto Nazionale di Urbanistica, e mai assunta come priorità da Governi e Parlamento), si è considerato di fatto come tale, per quanto possibile la Legge Urbanistica n° 1150 del 1942, con conseguenti frequenti conflitti tra Governo e Regioni sui limiti praticabili per le nuove leggi regionali.
In tale contesto la Legge Regionale lombarda n° 12/2005 sul governo del territorio, nata con molte ambizioni di rifondazione delle modalità di pianificazione, non ha comunque intaccato alcun articolo della Legge 1150/1942, innovata dalla Legge Ponte, e quindi nemmeno la norma sull’obbligo dei Piani Attuativi per edifici di altezza superiore a 25 metri ovvero con densità superiore a 3 metri cubi per metro quadro, mentre è riuscita a soppiantare altre norme nazionali, come è ben definito nell’art. 103 “Disapplicazione di norme statali”: tra queste ricade quasi per intero il Decreto attuativo della Legge Ponte, N° 1444/68 (di cui sopra). (Continua sul prossimo numero)
Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi
Già pubblicatosi Utopia21
APPENDICE
PRINCIPALI NORME E PROVVEDIMENTI RICHIAMATI IN QUESTO ARTICOLO:
FONTI:
anche su “Domani” del 16 dicembre 2024
https://www.genteeterritorio.it/salva-milano-lettera-appello-al-legislatore/
Michele Talia – SCELTE ED EFFETTI PERICOL o-si-salvi-chi-puo-il-commento-di-pietro-garau/
NOTE:
[1] La situazione è più ampiamente raccontata nel testo redatto da alcuni docenti del Politecnico, Alessandro Coppola, Elena Granata, Arturo Lanzani, Antonio Longo. 1
[2] Rimandiamo in proposito a tre diversi dibattiti svolti nel 2024 alla Casa della Cultura di Milano, il primo nell’area dei “comitati”, il secondo in un ambito critico più moderato ed il terzo attorno al testo di Alessandro Balducci, di cui alla successiva nota C. 2,3,4
[3] Interessante da osservare anche l’attenzione al sociale del professor Alessandro Balducci, curatore nel 2023 per la Fondazione Feltrinelli della raccolta “La città invisibile. Quello che non vediamo sta trasformando le metropoli” 6, ma già assessore all’Urbanistica e all’Agricoltura dello stesso Comune di Milano (Sindaco Pisapia) nel 2015-2016
[4] “La Milano di oggi ha una visione chiara del suo futuro … I tre punti su cui il piano innova fortemente la visione della città, anche in un’ottica metropolitana, sono: Ambiente e cambiamenti climatici, Periferie e quartieri e Diritto alla casa e affitti calmierati.”
[5] • “La quota obbligatoria di housing sociale nei nuovi interventi sale dal 35 al 40%; (per interventi superiori ai 10.000mq)
[6] É da osservare anche che la circolare n° 1501/1969 non fruì e non fruisce di diffusa notorietà, perché non figurava riportata nel “Manuale di Urbanistica di Colombo-Pagano-Rossetti, Pirola edizioni 1973 e non figura nel quasi onnisciente attuale sito Bosetti&Gatti
Un commento