28 gennaio 2025
TRUMP, MICHELLE E IL RITO AMBROSIANO
Milano non deve smentire se stessa
La prima settimana dell’età dell’oro trumpiana inocula un grande senso di impotenza. Mi pare però che in tanto buio faccia capolino una piccola fiammella, proprio là dove il tycoon impera. Scorgo un piccolo, significativo segnale di opposizione in Michelle Obama. La moglie del primo Presidente di colore degli States s’è sfilata: non ha voluto partecipare alla grande messinscena del giuramento il 20 gennaio.
Forse proietto un mio desiderio, o un sogno, ma vedo questa assenza come il granello di sabbia che può inceppare il motore della macchina da guerra più perfetta nel “mantenere le promesse elettorali” (vedi la foto ufficiale postata dalla Casa Bianca dei migranti incatenati in coda per salire sul grande aereo che li riporterà in patria). «Yes, we can», aveva detto (e con tale messaggio vinto) il marito Barak una vita fa. Sì, possiamo farcela. Loro, gli americani, se e quando riusciranno a riprendersi dalla grande tranvata. Sì, possiamo farcela noi, ridestati dalla svogliatezza, dal torpore, dalla neghittosità, dalla faciloneria e dal conformismo che per anni ci avevano fatto credere che libertà e democrazia ci fossero state date una volta per tutte, senza che ce le dovessimo meritare, riconquistare ogni giorno, riconsegnare a figli e nipoti non solo intatte e vitali, ma “in progress”.
Sì, possiamo farcela (speriamo), se ripartiamo da noi, dal piccolo, dalla nostra città. Milano può diventare il granello di sabbia che ingrippa il motore della Trump-card di Palazzo Chigi. Abbiamo di fronte un paio d’anni, per ribadire che non ci piace la deriva denunciata a Sant’Ambrogio da Delpini, alla quale nessuna autorità civile sembra intenzionata a porre almeno un freno nonostante gli apprezzamenti di rito “concessi” all’Arcivescovo nell’occasione della festa del Patrono.
Ciascuno di noi immagini come a suo modo può essere Michelle Obama, sfilarsi dal clima di paura (comprensibile!), di resa al presente come fosse ineluttabile, di assuefazione, o dall’attrazione a salire sul carro dei vincitori, chiedersi che cosa posso fare io per pormi di traverso al corso dell’”età dell’oro” trumpiana e dei sovranisti, come riprendere quelle generali linee programmatiche (chiamiamole così) del Defensor Civitatis, per rimediare alla stanchezza della città e della gente, alle ingiustizie, alle mancanze di prospettive per i giovani e di accoglienza per chi è in cerca di speranza e di fortuna come è stata Milano per secoli, alla costruzione di grattacieli mentre sembrano non esserci mattoni, risorse, chiaroveggenza per case destinate a ceto medio, studenti e giovani coppie, allo shopping di interi palazzi da parte di anonimi fondi o facoltose famiglie (così il mercato immobiliare sale, i deboli pagano, chi è ricco lo diviene sempre più) alle insufficienze dei servizi per mamme, bambini, famiglie, anziani, alla disumanità delle carceri (San Vittore è ormai quasi al doppio della capienza!).
Se c’è batta un colpo il centro-sinistra. Le donne e gli uomini del Pd considerino un dono e un privilegio lavorare per Milano, non fantastichino che Palazzo Marino sia un trampolino per Roma o per eventuali futuri accasamenti. Lascino agli organismi nazionali i dibattiti sul “no, non è l’Ulivo”, i talk-show sull’ultima intramontabile furbizia (“marciare divisi per colpire uniti”: se ne faranno t-shirt!), i giochi da piccolo architetto circa la misurazione della larghezza del campo. Si faccia tesoro della Milano di Comunità Democratica (cattolici delle Settimane Sociali) e di Orvieto (Gentiloni) per costruire le basi di un pensiero e di politiche possibili, non per aggregare o disarticolare correnti. Ripartire dal territorio con visioni, idee, progetti è la via maestra di chi vuole il bene comune della sua gente.
Milano è un po’ bausciona, ha in sé quel tanto di trumpismo che la porta a ritenere il far gli affari propri come scopo della vita, che le concede logiche di poteri inossidabili (la ministra Santanché sempre in sella), che la apre ad assalti (il “piccolo” Monte de’ Paschi risanato che scala Mediobanca, perché il vento gira e l’”anche noi abbiamo una banca” può cambiar maglia, dalla rossa Siena alla verde-nera-azzurra del Governo).
Ma Milano è anche un’altra cosa. Milano ha in sé gli anticorpi in difesa da ogni possibile trumpismo; ha nel dna d’essere laboratorio di Salute pubblica, Edilizia cooperativa, solidarietà verso fragili, emarginati, piccoli, donne, anziani. Schlein e Conte giustamente dicono che Meloni ha de-finanziato il Fondo Sanitario. Il centro-sinistra a Milano deve andare oltre: mostrare che cosa concretamente si può fare ospedale per ospedale al fine di non dover aspettare 8 mesi prima d’essere chiamati per una terapia antidolore!
Si chiama “rito ambrosiano” l’agire con inventiva e praticità, rivendicare la capacità di studiare le singole situazioni, immaginare vie d’uscita, soluzioni alternative, metterle in pratica. Granelli di sabbia in un sistema dai confini incerti, che va spesso per vie traverse da sinistra a destra e viceversa sono le parrocchie con le loro strutture Caritas e San Vincenzo attive nel pagare affitti, bollette, rette scolastiche a famiglie bisognose, sono i gruppi e le associazioni laiche di volontariato, aiuto, soccorso. Molte realtà ci sono ed operano anche senza tanta pubblicità: aspettano soltanto che può dare l’esempio, suoni l’adunata invece di andare alle grandi cerimonie, traccheggiare, tirare avanti, aspettare perché “ha da passà ‘a nuttata”.
Sarà un’utopia partire dal piccolo. Un occhio all’esempio di Michelle, può essere un segnale. Abbiamo l’occasione di una verifica prossima ventura. Il 25 aprile vengono celebrati gli 80 anni della Liberazione dal nazifascismo. È l’opportunità per evitare plausi retorici alle ricorrenze e far memoria esemplare di esempi singoli e di gruppi, che, raccordati, costituiscono una Resistenza, che cambia la storia. Siamo ancora in tempo. Anzi, forse il bello viene adesso. Ci tocca!
Marco Garzonio