17 dicembre 2024
DELPINI, ALLEGORIA ED EFFETTI DEL CATTIVO GOVERNO E DEL BUON GOVERNO
Dal pulpito
17 dicembre 2024
Dal pulpito
Mons. Delpini il 6 dicembre, vigilia di Sant’Ambrogio, ha tenuto il discorso alla città secondo tradizione. S’è trattato di uno degli interventi più documentati, densi, ampi, articolati, rigorosi, severi degli ultimi anni.
Ad ascoltare l’Arcivescovo erano amministratori, operatori economici, titolari di incarichi in organismi civili, sociali, culturali, formativi, educativi. Ciascuno di questi chiamato a porgere l’orecchio per sé, per l’ente in rappresentanza del quale aveva preso posto nell’antica Basilica del Patrono e, in virtù dell’esercizio di funzioni pubbliche, per tutti i milanesi che grazie a quell’appuntamento attribuiscono autorevolezza alla parola del Pastore e ritengono che chi va ad ascoltarlo poi cerchi di confrontarsi con ciò che dice e, se necessario, si spenda per trarre coerentemente conseguenze nei pensieri e nelle azioni per il bene della città.
Delpini, infatti, parlava l’altra sera, come i suoi predecessori in continuità con i valori che han reso Ambrogio Patrono, figura simbolo ed esempio di realtà, dotato del carisma di chi spiritualmente è “padre” dei fedeli e insieme è Defensor Civitatis, cioè non soltanto in riferimento alla Chiesa, ma difensore dei valori di cittadinanza, colui che riesce a tenere assieme contenuti spirituali e terreni, religione e laicità, responsabilità dei singoli soggetti, siano essi privati o esponenti della cosa pubblica, e semplici cittadine e cittadini.
Ad ascoltare e a rileggere con riflessività Lasciate riposare la terra (questo il titolo che mons. Delpini ha dato al suo discorso, ora stampato in un piccolo prezioso libretto) la mente va subito al grande affresco che prospetta l’”Allegoria e gli effetti Cattivo Governo” dipinto da Ambrogio Lorenzetti (omen nomen!) nel 1338-39 nel Palazzo Pubblico di Siena.
Sugli echi di quell’immagine si può dire che l’Arcivescovo ha prospettato la pars destruens del momento che stiamo vivendo. Parole a tinte dense, vivaci, forti, pennellate contrastate da cui emerge una raffigurazione complessa ed inquietante, un’autentica, impietosa e per nulla retorica riedizione di dolorosi cahiers de doléances. Ecco la stanchezza della città e della gente, le ingiustizie, le mancanze di prospettive per i giovani e di accoglienza per gli anziani, i grattacieli a scapito di case per il ceto medio, le insufficienze dei servizi per mamme, bambini, famiglie, anziani.
Ecco, ancora, il dar nome e cognome a meccanismi che minano il bene comune e la convivenza ordinata, cioè secondo criteri di giustizia sociale: un sistema creditizio che pensa al profitto, agli utili, ai dividendi per gli azionisti, producendo disperazione nella gente; infatti, sottolinea Delpini, vengono attivati meccanismi che determinano situazioni favorevoli agli usurai, all’immissione di danaro sporco, alla criminalità organizzata, che si camuffa e confonde nelle divise dei colletti bianchi.
Sempre per non lasciare zone d’ombra nel suo discorso ed evitare che i destinatari delle sue parole possano sentirsi esentati da responsabilità proprie a causi di richiami generici, moralisti, rivolti ad altri imprecisati interlocutori, Delpini usa espressioni esplicite, parta di “ricchezze maledette procurate con l’usura, lo spaccio di droga, la vendita della pornografia, la creazione di dipendenze dal gioco d’azzardo”.
Ma da Pastore l’Arcivescovo non ha tralasciato di immaginare anche una possibile, efficace pars construens. Con realismo e coscienza civica Delpini dà colori e immagini all’opposto del male, alla possibilità di riscatto, di cambiamento, di rigenerazione delle coscienze, delle persone, delle strutture. Ancora alla maniera di Ambrogio Lorenzetti prospetta l’”Allegoria e gli effetti del Buon Governo”.
Se ingiustizie, discriminazioni, guerre nascono nella mente degli uomini, anche il bene, le riparazioni di ciò che non va, le riforme si generano in una conversione personale e sociale che può finalmente avviare processi in base ai quali “il torto diventerà diritto”.
I punti che monsignor Delpini enuncia sembrano utopie, ma solo se ci si adegua alle convenienze, agli egoismi personali e di categorie, al conformismo del sentire corrente, ad alcune parole d’ordine e al “va tutto ben madama la marchesa” che la destra non si stanca di distribuire a piene mani; invece quei punti sono obiettivi d’un’umanità la quale è effettivamente stanca ma si ostina a non arrendersi, a credere che le cose possano cambiare.
Ecco allora la “ricchezza onesta” come responsabilità sociale (gli utili da reinvestire non come dividendo che arricchisce); ecco il pagamento delle tasse che evidentemente per l’Arcivescovo non sono “pizzo di Stato”, come del resto i funzionari dell’Agenzia delle Entrate non sono “estorsori” (alla vigilia di Sant’Ambrogio alla Meloni saranno fischiate le orecchie nonostante il chiasso propagandistico di Atreju sul Governo che avrebbe fatto quanto mai nessuno aveva osato in Italia diventando modello invidiato, rispettato, apprezzato nel mondo); ecco la sicurezza sul lavoro; ecco gli orari compatibili con la vita familiare e sociale (il tempo dei pendolari!).
Ecco il recupero sociale delle aree dismesse. E, in una visione più generale di quanto il mondo – e noi in esso – sta vivendo, ecco l’esigente richiamo alla pace. «L’educazione alla pace – precisa Delpini – è possibile per un’alleanza educativa che sappia coinvolgere famiglie, espressioni aggregative della società civile, della comunità cristiana, delle confessioni cristiane presenti nel territorio, dei fedeli di tutte le religioni. Ha bisogno di nuovi pensieri e di nuovi sogni, di nuove politiche e di nuovi profeti per rimuovere le cause dei conflitti che si annidano nelle ingiustizie, nelle violenze, nella corruzione, nell’abuso dell’ambiente, nella disumanizzazione del nemico».
Dopo il discorso di mons. Delpini non si sono viste reazioni e interlocuzioni che la gravità delle denunce e la prospettazione delle possibili vie d’uscita potevano far emergere. Anche nella Milano che Palazzo Marino e i media vogliono “dei record” si autoavvera la profezia del “galleggiamento” enunciata dal CENSIS nei mesi scorsi e cioè: «La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati. Il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi. Anche nella dialettica sociale, la sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia. Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata».
A destra, al Pirellone e nelle forze di Governo si poteva immaginare che venissero lasciati cadere gli argomenti portati da mons. Delpini. Stupisce, invece, la tiepidezza dell’amministrazione comunale, della società civile, degli operatori culturali, dei media, dei “progressisti” come oggi si usa dire per non scontentare i possibili alleati/competitor e visto che pochi velleitari azzarderebbero “qualcosa di sinistra”.
Insomma, per fare un esempio, Prodi ha un bel invocare programmi come risposta alla destra; ma oltreché indicare chi dovrebbe farli occorrerebbe incominciare a prospettare qualche esempio specifico di priorità, di obiettivi da realizzare, di quantità di risorse necessarie, dove reperirle. Milano sarebbe un ottimo laboratorio in cui sperimentare sia contenuti sia modi sia soprattutto protagonisti: l’intervento dell’Arcivescovo ha anche tale valenza. Ma la città in questo momento non brilla per immaginazione, creatività, voglia di polis. Anzi, è compiaciuta di sé (in modo poco autocritico purtroppo) e guarda al palcoscenico nazionale, come è emerso anche dalle ultime uscite del Sindaco Sala (e relativo pubblico dibattito) a proposito del coordinamento dei centristi o moderati che li si voglia chiamare (gli attributi nominali si sprecano). Intanto crescono i disagi dei cattolici, che vorrebbero far sentire voce e presenza, visto che Schlein, si dice, sarebbe troppo a sinistra. Però si lasciano cadere le provocatorie affermazioni di mons. Delpini e il suo mettere sul tavolo l’”Allegoria e gli effetti del Buono e del Cattivo Governo”.
A incrementare lo smarrimento collettivo ci mette del suo papa Francesco, che avrà le proprie personali ragioni per non far Cardinale l’Arcivescovo di Milano; ma in Vaticano le gerarchie che propugnano come orizzonte “Fratelli tutti” e organizzano convegni sulla necessità che i cattolici si impegnino in politica dovrebbero spiegare al Pontefice che privando il Capoluogo della berretta cardinalizia di fatto si sottrae autorevolezza alla Cattedra di Ambrogio.
Mons. Delpini dice sul finire del suo discorso: «Lasciare riposare la terra non significa scegliere di assentarsi dalla storia o immaginare un periodo di semplice inerzia. Al contrario, si tratta di un esercizio fortemente attivo: chiede di raccogliere tutte le energie per evitare di continuare a fare quello che si è sempre fatto e riuscire a sospendere le abituali azioni per ascoltare e cogliere il grido di aiuto che si eleva dalla terra». Quindi specifica: «La speranza nasce anche grazie alla (e in conseguenza della) assunzione di responsabilità individuali e collettive».
Urge un esame di coscienza individuale e collettivo, di credenti, di laici, di agnostici, di chiunque ha a cuore il futuro di Milano e della sua gente, dell’Italia e dell’Europa, della convivenza tra i popoli. C’è da porsi davanti alle immagini del Cattivo e del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti e umilmente chiedersi: «Che cosa posso fare io? Come posso condividere bisogni e speranze con altri che soffrono e che hanno le stesse aspettative che ho io?». Incominciare a mettersi in discussione e rimboccarsi le maniche.
Marco Garzonio