17 dicembre 2024
IL CASO “5POINTZ”
Un caso di "arte di strada" che ha fatto scuola
Partendo da un fatto di cronaca e cercando di comprendere se “i graffiti” possano essere classificati come arte di strada, mi sono lanciato in una ricerca approfondita su web, riviste e giornali. Mi sono anche chiesto cosa accadrebbe se un graffito di alto livello, in Italia, venisse cancellato: quali tutele esistono per le opere di street art? Da questa domanda, un caso emblematico ha catturato la mia attenzione: la vicenda di “5Pointz”.
“5Pointz”, conosciuto inizialmente come The Institute of Higher Burnin’, e successivamente come 5Pointz Aerosol Art Center, era un complesso industriale costruito nel 1892. In origine ospitava la fabbrica di contatori d’acqua “Neptune Meter” e si trovava a Long Island City, nel quartiere dei Queens, New York. Con il passare del tempo, la zona divenne teatro di criminalità incontrollata, ma anche una mecca per artisti che, liberamente, decoravano con graffiti le pareti fatiscenti degli edifici. Il complesso comprendeva dodici edifici industriali su una superficie di 20.000 metri quadri. Ci sono voluti quasi cento anni per trasformare quell’area da spazio abbandonato a simbolo artistico.
Negli anni ’70, il complesso fu acquistato dall’imprenditore Gerald Wolkoff, il quale decise di affittare gli spazi. Tuttavia, solo negli anni ’90 si concretizzò un progetto artistico grazie a Jonathan Cohen, noto come “Meres One”. Cohen, artista di graffiti e curatore, ricevette il compito di trasformare l’area in uno spazio espositivo per la street art. Il sito fu quindi ribattezzato “5Pointz”, un nome simbolico che indicava il punto di incontro dei cinque distretti di New York.
Jonathan Cohen svolgeva il ruolo di curatore, selezionando gli artisti e le opere da realizzare. Alcuni affittavano anche spazi interni come studio. Le opere esposte venivano suddivise tra “muri a breve termine”, dove i graffiti erano temporanei e venivano sostituiti ciclicamente, e “muri a lunga durata”, riservati alle opere più importanti, che rimanevano visibili più a lungo. Grazie a questa gestione, “5Pointz” divenne un museo a cielo aperto, ospitando più di 10.000 opere e attirando visitatori da tutto il mondo. Fu inserito tra le attrazioni imperdibili di New York nelle guide turistiche internazionali.
Nel 2013, Wolkoff annunciò la decisione di demolire il complesso per costruire appartamenti di lusso. Jonathan Cohen, consapevole del valore culturale e artistico di “5Pointz”, tentò di evitarne la distruzione chiedendo alla New York City Landmark Preservation Commission di riconoscerlo come sito di importanza culturale. Tuttavia, la richiesta fu respinta.
In risposta, Cohen e altri diciassette artisti presentarono una causa il 10 ottobre 2013 per impedire la demolizione. Ottennero un’ordinanza restrittiva temporanea di 10 giorni che vietava la distruzione dell’edificio. Tuttavia, il tribunale non rinnovò l’ingiunzione e dichiarò che la questione sarebbe dovuta essere risolta in un processo.
La notte del 12 novembre 2013, senza attendere ulteriori sviluppi legali, Wolkoff ordinò che le pareti di “5Pointz” fossero imbiancate, distruggendo 49 opere d’arte senza informare gli artisti. Otto giorni dopo, il 20 novembre 2013, il tribunale emise un parere scritto, affermando che alcuni graffiti avevano raggiunto una certa importanza, ma che un’ingiunzione preliminare non era appropriata. Successivamente, nel giugno 2014, Cohen e altri artisti presentarono un’ulteriore causa, sostenendo che la distruzione fosse una violazione dei loro diritti morali tutelati dal Visual Artists Rights Act (VARA) del 1990.
Il Visual Artists Rights Act, così detto VARA è una legge federale americana che protegge i diritti morali degli artisti, consentendo loro di impedire la distruzione intenzionale delle proprie opere qualora abbiano una “importanza riconosciuta” (recognized stature). La legge prevede che:
Importante per il Tribunale fu la testimonianza di Harriet Irgang Alden, esperto di conservazione di dipinti presso Art Care NYC, il quale dichiarò che attraverso l’impiego di recenti tecniche sarebbe stata possibile la rimozione delle opere d’arte dalle mura di “5Pointz”..
Wolkoff si difese sostenendo che gli artisti sapessero della futura demolizione e che i graffiti fossero opere temporanee, ma il giudice non accolse questa tesi. Infatti, il VARA non fa distinzioni basate sulla temporaneità delle opere e prevede comunque tutele in caso di distruzione intenzionale senza consenso o preavviso. Ma, secondo il Tribunale, Wolkoff rese impossibile per gli artisti salvare il proprio lavoro dal momento che non fornì agli stessi alcun preavviso scritto prima di distruggere le opere né, se le opere fossero considerate inamovibili, fu firmata una rinuncia scritta da parte di questi.
Il processo si concluse il 12 febbraio 2018. Il giudice Frederic Block stabilì che 45 delle 49 opere distrutte possedevano una “importanza riconosciuta”, grazie alla selezione curata di Cohen e alla notorietà degli artisti coinvolti. Wolkoff fu giudicato colpevole di aver agito intenzionalmente, con “puro risentimento” verso gli artisti.
La corte condannò Wolkoff a un risarcimento totale di 6,75 milioni di dollari, calcolati in base alla cifra massima di 150.000 dollari per ciascuna delle 45 opere protette dal VARA. La sentenza considerò anche la testimonianza di esperti come Renèe Vara, ex capo esperto di belle arti presso Chubb Insurance e professore di arte alla New York University, che confermarono il valore artistico delle opere. Renée Vara illustrò una ad una le opere d’arte riconoscendo l’abilità e la maestria degli artisti e senza dubbio la loro “recognized stature”.
Oggi “5Pointz” non esiste più: l’area è stata completamente trasformata in un complesso residenziale di lusso con spazi commerciali e parchi, simbolo di gentrificazione. Tuttavia, il caso ha acceso i riflettori sulla tutela della street art e creato un precedente significativo.
E in Italia? In Italia, la protezione dei graffiti e della street art è meno definita rispetto agli Stati Uniti. Non esiste una legge specifica come il VARA, ma alcune norme e principi possono essere applicati:
Tutela del patrimonio culturale: se un graffito viene riconosciuto come opera d’arte dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali, la sua distruzione potrebbe configurarsi come reato contro il patrimonio culturale. Tuttavia, tale riconoscimento è raro e avviene solo per opere di artisti già affermati o di particolare rilevanza.
Legge sul diritto d’autore: la legge italiana (Legge 633/1941) tutela le opere dell’ingegno, comprese quelle visive. Un artista può agire legalmente contro la distruzione o l’alterazione delle proprie opere se sono considerate tutelabili ai sensi di questa normativa.
Ambiguità normativa: la street art spesso nasce in contesti urbani senza autorizzazione ufficiale, rendendo difficile invocare una tutela legale. La distruzione di graffiti non riconosciuti ufficialmente come opere d’arte tende a passare inosservata o ad essere tollerata.
Iniziative locali: in alcuni casi, movimenti cittadini o associazioni culturali intervengono per proteggere graffiti di valore, soprattutto quando si tratta di opere di artisti noti o in luoghi iconici.
Quindi, mentre negli Stati Uniti esiste una cornice normativa specifica per proteggere la street art, in Italia la situazione è più frammentata e dipende dal riconoscimento culturale o dal valore attribuito ai graffiti dalle comunità locali.
Carlo Lolla