3 dicembre 2024
EMILIO BATTISTI, UN RICORDO
Una perdita per gli amici e per Milano
«Quando, nell’autunno del 1958, decisi di iscrivermi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, consigliato da un amico [Sergio Rizzi] che già frequentava i corsi, svolsi un periodo di tirocinio presso lo Studio Architetti Associati, a Novara, di Vittorio Gregotti, Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino. Stavano partecipando al concorso di architettura per un nuovo teatro ad Alessandria.
Lo stipendio che ho ricevuto per il mio lavoro di disegnatore è stato l’interessante libro di Philip Johnson su Mies Van Der Rohe (edito dal MOMA), con un biglietto di auguri di Natale, che conservo gelosamente, disegnato dallo stesso Meneghetti. Quel libro fu la mia prima lettura di architettura, molto utile anche per il linguaggio critico e sobrio di Johnson che illustra in maniera chiarissima l’evoluzione dell’architettura di Mies nel periodo in cui visse e lavorò in Germania e successivamente, a partire dal 1938, dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti»[1].
Philip C. Johnson, Mies Van Der Rohe, MOMA, New York,1953
con gli auguri di Natale disegnati da Lodovico Meneghetti, 1958
Così, nell’ottobre 2019, Emilio Battisti evocava i suoi primi passi nel mondo dell’architettura. Pochi mesi prima, il 21 giugno 2019, aveva scritto a Vittorio Gregotti: «Abbiamo tutti confermato che tu sei stato l’unico, che hai formato senza indottrinare, perché ciascuno ha riconosciuto di aver ricavato dal rapporto con te una propria identità.
Molti sono infatti poi diventati degli architetti considerati per le qualità della loro architettura, dotati di strumenti critici e capacità professionali. Ripensandoci io sono tra quelli che hanno avuto più opportunità, anche se sicuramente non ho avuto la capacità di approfittarne adeguatamente.
Sono venuto a fare la mia prima esperienza nel tuo studio nel 1958 quando stavate partecipando al concorso per il teatro di Alessandria, poi a Milano nello studio di via Archimede, a Edilizia Moderna appena laureato collaborando ai numeri sul Design, la Forma del Territorio, le Grandi Esposizioni.
Poi ancora la stagione dei concorsi per le università di Firenze e della Calabria; progetti che figurano a pieno titolo nella storia dell’architettura contemporanea».
Emilio Battisti, Ritratto di Vittorio Gregotti (dopo la sua ultima lezione allo Iuav di Venezia)
Anche in altre occasioni, per inscritto[2] e oralmente, Battisti è tornato sui suoi primi passi nel mondo dell’architettura. Ma bastano le due testimonianze sopra riportate a darci elementi importanti sugli inizi della sua vicenda professionale e culturale. E a dirci non poco della sua persona: l’onestà intellettuale con cui ha affrontato le molte sfide che ha ingaggiato; il suo riconoscere i “debiti” verso coloro da cui ha ricevuto contributi illuminanti; il suo coltivare/custodire con grande cura gli affetti.
È un Emilio Battisti visto da dentro. Quando invece all’esterno egli dava di sé un’idea di persona ruvida, scontrosa, tutta di un pezzo, con sortite che spesso potevano apparire apodittiche. Certo: la scorza era quella (e non sto a dire della tragedia famigliare che è all’origine). Ma un osservatore non distratto poteva trovare il varco al di là del quale intravedere il vero Emilio: la sua curiosità e fame di conoscenza; la sua instancabile propensione a porre a confronto le posizioni anche molto lontane fra loro; la sua generosità nel creare momenti di incontro; il suo impegno per il bene comune. Dicevo delle sfide.
Nell’insegnamento di Composizione Architettonica alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e poi alla Facoltà di Architettura civile dello stesso Ateneo (finché i vertici accademici, insipientemente, non decisero di troncare di netto la feconda vicenda di questa Scuola) Emilio Battisti ha cercato di formare «senza indottrinare». E questo sulle orme di Gregotti[3], a sua volta conquistato dall’insegnamento maieutico di Ernesto N. Rogers. Un abito culturale e morale che Battisti ha anche portato per il mondo: come Visiting Professor alla Columbia University, alla Syracuse University, all’Accademia di Architettura Mendrisio.
Nella professione, dopo aver conseguito risultati di tutto rispetto – suo è l’edificio multifunzionale alla confluenza tra le vie S. Raffaele e S. Radegonda a Milano in prossimità della Galleria Vittorio Emanuele –, ha scelto a un certo punto di privilegiare la partecipazione a importanti concorsi nazionali e internazionali. In Italia si è aggiudicato il concorso per il recupero urbano di Porto Catena a Mantova e quello per il sovrappasso ferroviario e la nuova stazione delle autolinee di Bergamo. A Parigi ha partecipato ai concorsi per Tete Défense, Mission Grande Axe (selezionato), per l’Opéra de la Bastille (segnalato) e per il recupero dell’ex Ambasciata italiana come nuova Accademia delle Scienze (1° premio con Aulenti e Brenner); a Berlino ha partecipato al concorso per Lutzowplatz, cui ha fatto seguito l’incarico, da parte dell’IBA, per un edificio residenziale poi realizzato. Infine, a Lipsia, partecipò al concorso per l’ampliamento della Biblioteca.
Ma il mestiere di architetto non gli bastava: aveva bisogno di una compensazione, che trovò nella pittura. In un’intervista del 25 luglio 2010 Battisti dichiara: «dipingo dalle 5 alla 8 del mattino per caricarmi […] per risarcirmi dell’affaticamento che procura la professione di architetto»[4]. Dapprima nature morte, poi autoritratti, quindi i ritratti, in coppia (Philippe e Elena Daverio, Vittorio e Marina Gregotti, Umberto e Renate Eco, Alessandro e Francesco Mendini, Gad e Umberta Lerner, Giorgio e Giò Marconi, Franco Menna e Marcel Cordeiro e altri) e singoli (Gente di Filicudi, abitanti e amanti dell’isola) e tanti altri ancora (Emilio Tadini, Ettore Sottsass, Alda Merini, Vittorio Gregotti, Lodovico Meneghetti ecc.): volti in cui Battisti scorgeva «la promessa di un risveglio che verrà».
Memorabili le mostre di sue opere allo Spazio Crispi Tre nel 2006, alla Galleria Marconi nel 2010, alla Fondazione Mudima del 2014 (con la medesima Fondazione, grazie al sodalizio con Gino Di Maggio, Battisti ha anche collaborato alla rivista «La scuola delle cose», diretta dallo stesso Di Maggio).
Ma il risveglio Emilio non è stato ad aspettarlo. In un crescendo impressionante negli ultimi 15 anni, ha fatto del suo studio di viale Caldara una seconda Casa della cultura: mostre di pittura di altri artisti (Giuliano Della Pergola ecc); presentazioni di libri; veri e propri seminari su figure note e meno note del mondo dell’architettura (Oscar Niemeyer, Enzo Mari, Mauro Galantino, Vittoriano Viganò, Vittorio Gregotti, Lodovico Meneghetti, Dario Passi, ecc.); cicli di incontri sulle migliori realizzazioni recenti nel campo dell’architettura a Milano. E, ancora, dibattiti su temi cruciali per Milano (Expò, gli Scali ferroviari, lo Stadio di San Siro) e su questioni di rilevanza nazionale e mondiale.
Né vanno dimenticati i suoi molti contributi a ArcipelagoMilano, sempre puntuali e propositivi.
Quando poi, nel 2023, venne a sapere che la Triennale di Milano aveva rifiutato di accogliere una piccola mostra su Piero Bottoni designer – proprio di quel Piero Bottoni a cui la storia e l’identità della Triennale sono fortemente debitrici –, volle che la mostra si facesse nel suo studio. Cosa avvenuta grazie a un notevole concorso di energie realizzative dal basso e con una grande partecipazione di persone interessate.
Consapevole della necessità di tallonare più da vicino il potere politico, con l’aiuto di diversi amici, Battisti incalzava su temi cruciali il governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana e il sindaco di Milano Beppe Sala chiedendo a ciascuno di loro di rispondere a dieci domande (risposte mai pervenute).
Negli ultimi tempi, infine, aveva promosso un gruppo di studio[5] sul tema del lavoro, al fine di comprendere i cambiamenti intervenuti nella società e di verificare l’attualità o meno dell’articolo 1 della Costituzione Repubblicana.
Insomma un promotore di iniziative culturali e politiche ad ampio raggio, senza mai perdere di vista il fulcro originario del rapporto architettura e società.
Cara Milano, Emilio Battisti ti mancherà. Intanto cerca di non dimenticarlo.
Giancarlo Consonni
Emilio Battisti collaborò con ArcipelagoMilano con un suo primo articolo del 3 marzo 2001 al quale ne seguirono altri 90. L’ultimo è del 24 febbraio del 2024. Fu per me un amico dai tempi del Politecnico e, da quando pubblico ArcipelagoMilano, contribuì con 90 articoli, tutti ancora nel nostro archivio consultabile. Lo rimpiangeremo.
L.B.G.
[1] Emilio Battisti, Mies, me, my uncle and the Führer, in Michele Caja, Massimo Ferrari, Martina Landsberger, Angelo Lorenzi, Tomaso Monestiroli, Raffaella Neri (a cura di), Mies van der Rohe. The Architecture of the City, Theory and Architecture, Il Poligrafo, Padova 2023, p. 513 (trad. mia) Il volume raccoglie gli atti di un convegno tenutosi nell’ottobre del 2019 alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.
[2] In una lunga lettera indirizzata a Lodovico Meneghetti il 20 luglio 2020, in cui analizzava con grande acume critico i primi lavori degli Architetti Associati (Gregotti, Meneghetti, Stoppino), Battisti tornerà sull’argomento: «Prima di tutto [intendo] rendere testimonianza dell’esperienza, per me particolarmente significativa, del periodo trascorso a Novara presso il vostro studio Architetti Associati a partire dall’ottobre del 1958, allorché, avendo deciso di iscrivermi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, fui consigliato dal comune amico Sergio Rizzi, di cercare di venire a lavorare da voi. Mi ero infatti rivolto a lui, ancor prima di iscrivermi all’università, per sapere come era la facoltà di architettura del Politecnico. Egli me ne fece una descrizione molto deludente avvertendomi che comunque, per formarmi veramente come architetto, oltre a frequentare i corsi universitari, era indispensabile che andassi a fare esperienza presso uno studio di architettura qualificato».
[3] Emilio Battisti ha iniziato la carriera accademica come assistente di Vittorio Gregotti.
[4] Anna Cirillo, “Nei volti milanesi vedo la promessa di un risveglio che verrà”, in «la Repubblica – Milano», 25 luglio 2010.
[5] Ricordo alcuni dei partecipanti: Francesco Bochicchio, Luigi Ferrajoli, Maria Grazia Meriggi, Andrea Panaccione, Luciano Pilotti, Luca Stanzione.
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