5 novembre 2024
M4: UN’OCCASIONE MANCATA?
Che fine hanno fatto l'architettura e l'urbanistica?
5 novembre 2024
Che fine hanno fatto l'architettura e l'urbanistica?
Finalmente, dopo quasi quindici anni dall’inizio dei lavori, la linea M4 della metropolitana milanese è operativa in tutto il suo tracciato. Una parte molto rilevante del progetto è relativo alle superfici: molte zone della città (da Est ad Ovest, passando per la cerchia interna dei navigli) sono rivoluzionate, con aree al servizio della sotterranea, ascensori e scale mobili, pochi alberi e un po’di aree verdi.
Si tratta di cambiamenti delle aree di superficie che potrebbero coinvolgere anche i parcheggi di auto e moto e, in generale, una nuova organizzazione degli spazi urbani e quindi della vita sociale e di comunità.
Uso il condizionale non a caso, in quanto sia nei primi progetti e poi nel ciclo di consultazioni con i cittadini che si sono svolte negli anni passati, una nuova organizzazione degli spazi e un’altra concezione della comunità erano le principali richieste emerse dalla cittadinanza. Ho purtroppo fondati dubbi che il processo di consultazione delle istanze delle persone si sia effettivamente tradotto in ascolto di queste e che si sia svolto un dialogo realmente bilaterale, in cui cioè all’illustrazione degli elaborati dei tecnici sia seguito poi la ricezione delle osservazioni e dei suggerimenti.
Voi che leggete Arcipelago Milano, sapete bene infatti che un problema importante dell’attuale amministrazione comunale sono i cosiddetti processi di ascolto dei cittadini. Spesso si sono dimostrati infatti scatole vuote, occasioni mancate di ascoltare, per mediare i diversi punti di vista e arrivare a soluzioni democraticamente condivise.
Proverò a motivare queste considerazioni a partire da un esempio concreto, i lavori che insistono tra corso Italia e corso di porta Romana, per la realizzazione della stazione di via Santa Sofia.
La via Santa Sofia, seppure centralissima, ha molto sofferto in passato i grandi lavori di trasformazione urbanistica del primo dopoguerra, con ad esempio l’interramento dei navigli e la creazione di una strada urbana di scorrimento veloce al servizio della motorizzazione di massa, ma anche la distruzione massiva di edifici, causata dai grandi bombardamenti degli anni ’40, con interi isolati di edifici storici rasi al suolo.
A partire da questi processi di trasformazione e di funzionalizzazione degli spazi, con demolizioni e ricostruzioni, è stato quindi realizzato un progetto di Città, niente altro che il risultato dell’accumulazione di vecchio e nuovo, di strade per la motorizzazione di massa e di parcheggi; i non luoghi di Marc Augé, con spazi ridotti di socialità e di vita di comunità.
Per entrare brevemente nel dettaglio e partendo dall’incrocio con Corso Italia abbiamo a sinistra il grande edificio per uffici, adesso diventato Hotel a cinque stelle con di fronte la bellissima ex-sede RAS, progettata da Giò Ponti: uno degli esempi più interessanti di edifici ad uso terziario avanzato di quegli anni. Poi, a seguire, dopo alcune case sopravvissute dell’ottocento, altri edifici moderni ad uso abitazioni, sempre degli anni sessanta e sempre dello studio Ponti e ancora, a seguire il convento-santuario di Santa Maria bambina e l’ex collegio Cardinal Ferraris , attualmente sede dell’Università statale e – di nuovo – una vestigia del passato più remoto e cioè il vecchio convento di clausura, ora chiuso, con il suo hortus conclusus prospicente la via san Calimero.
Di fronte a questo lato della via ci sono infine una serie di edifici moderni, ricostruzioni sulle rovine della guerra e parcheggi.
Si tratta cioè di luoghi che sembrano confermare le dinamiche urbanistiche della nostra città e cioè un agglomerato urbano sviluppatosi impetuosamente, in assenza di una vera progettualità a misura d’uomo, semplicemente rincorrendo i tempi degli investimenti immobiliari e della monetizzazione della rendita fondiaria. Lo ripeto: via Santa Sofia può sembrare un non luogo, ovvero un luogo triste e alienato non (solo) perché brutto, esteticamente squallido, dove vecchio e nuovo, privato e pubblico, insistono casualmente fianco a fianco, ma soprattutto perché è un luogo che non incentiva socialità.
Ora, e qui veniamo al punto, il grande progetto della M4, il più grande che ha riguardato la nostra città in questi decenni, sarebbe potuto essere la grande occasione per intervenire su questo stato delle cose (il famoso “ricucimento delle aree urbane”) e per sanare le distorsioni di uno sviluppo urbanistico affidato esclusivamente all’anarchia del mercato.
Ho il timore che non sia così. Ad esempio, l’arrivo della metropolitana è stata anche l’opportunità per una grande ristrutturazione dell’edificio RAS e del conseguente arrivo della sede di un’importante società di consulenza internazionale, con le sue centinaia se non migliaia di funzionari con relative esigenze di mobilità.
Il risultato è oggi quello di un enorme e disordinato parcheggio di moto sui marciapiedi, quando la progettualità della M4 avrebbe dovuto già prevedere nuovi stalli e nuovi spazi per i veicoli.
Ma questo è solo un aspetto del problema. Una grande riconversione urbana come quella della metropolitana avrebbe potuto significare interventi sulla vivibilità degli spazi, nuove ciclabili, spazi pubblici, tutti interventi ancora – se va bene –solo sulla carta. C’è infatti il rischio che, ancora un’altra volta, i cittadini rimangano vittime della retorica chiacchiere e distintivo.
Vorrei però aggiungere anche una nota personale. Provo una profonda amarezza per quei soggetti che, come le suore del convento di Santa Maria Bambina, si trovano a subire i comportamenti arroganti e violenti di quelli che usano gli spazi pubblici a loro prospicienti. Mi riferisco in particolare a due cose: il parcheggio dissennato e privo di regole di moto, motorini ed altro di fronte al marciapiede del convento, parcheggio che sta rendendo difficile perfino il passaggio per le persone con difficoltà motorie, e lo scempio (al quale mi rifiuto di dovermi abituare) dei graffiti su quelle che sono a tutti gli effetti le mura di confine di un edificio monumentale. Per sanare questo aspetto del degrado, peraltro, basterebbe poco e cioè, oltre a un maggiore senso civico, l’intervento frequente della polizia municipale.
Amarezza e rabbia sono però termini pertinenti, in quanto questa comunità ecclesiale non solo tiene vivo un grande edificio del passato ma è anche essa stessa centro di promozione della società, organizzando incontri, riunioni e luoghi di culto per le diverse comunità cittadine.
Ho l’impressione cioè che loro, le comunità, siano tra le prime vittime di una concezione antiquata della città, funzionalistica e mercenaria e che sembra aver perso l’occasione di una vera trasformazione, dimostrandosi indifferente verso le esigenze delle persone.
La mia visione è forse un po’ troppo pessimistica e spero veramente di essere smentito in futuro, ma, se è vero che, come scrisse Wittgenstein, “le città sono costruite con il linguaggio e vi è quindi corrispondenza tra strade, palazzi e piazze e struttura del linguaggio”, tragicamente quello che ci manca sono le parole e la sintassi adeguata per organizzarle.
Roberto Castelli Dezza
Cittadini per l’aria Onlus
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