22 ottobre 2024

LA CITTADINANZA ATTIVA IN UNA MILANO IN MANO AI PRIVATI

Una distopia 


Imm. Gennai

Diversi processi edificatori ex-novo o di riqualificazione di edifici in disuso con cambio di destinazione d’uso, fanno di Milano un cantiere e un laboratorio di sperimentazione urbana, in cui si individuano nuove forme di Cittadinanza attiva.

In alcune zone della città; stanno operando Società private con funzioni di rigenerazione Urbana, anche con processi di coinvolgimento della cittadinanza, la quale è invitata a esprimere il proprio parere. Probabilmente un effetto di un accordo con il Comune di Milano, legata a un’idea di sviluppo condiviso con i cittadini ma nel solco del do ut des tra i players.   

Se da una parte questo modus operandi risveglia un certo interesse in ambito partecipativo poiché il cittadino si trova a svolgere un ruolo attivo in un contesto non abituale di interazione con un soggetto Privato, dall’altra si stabiliscono nuovi equilibri che possono generare valore aggiunto ma ad oggi non del tutto chiari o per meglio dire, ombreggiati da concetti di sostenibilità economica dell’investimento che impattano sulle aspettative del cittadino, il quale ha dei target di vivibilità, di sicurezza fino all’abbellimento tout court del proprio quartiere. Idee che dovrebbero essere un indice dei percorsi di collaborazione. In questo processo apparentemente propositivo; si delinea una forma ibrida partecipativa, in cui il cittadino viene accolto come un portatore sano d’interesse pubblico ma anche come un vettore strategico di consenso sociale a favore di una società d’investimento con il benestare del Comune di Milano.  

Va detto che il consenso popolare ha un valore enorme per le Società che investono in operazioni di rigenerazione. Il cittadino, nel precariato del ruolo civico, dovrebbe guardare i diversi documenti partecipativi promossi dalla Giunta di turno ma che non citano esplicitamente i rapporti diretti tra cittadino e Società d’investimento privato, nonostante si chieda ai milanesi di essere i protagonisti di una progettualità presentata come la panacea di tutti i problemi soprattutto delle periferie, anche grazie all’esempio delle rigenerazioni nelle zone più centrali, riuscite grazie ai capitali dei Fondi esteri, evidentemente vocati all’investimento fine a se stesso, nonostante si dica altro. 

Edilizia di pregio, presentata come una rigenerazione per tutti che si può dire sia stata accolta come tale, centrando le aspettative di una Milano che voleva il suo Skyline. Dunque, anche in periferia si attua un modus operandi in cui le società d’investimento si muovono liberamente, in derivata dall’esperienza degli interventi in centro città dove invece la sinergia pubblico/privato ha funzionato alla perfezione come per la riqualificazione degli Scali Ferroviari e altre realtà finanziariamente e strategicamente considerate rilevanti. In realtà, nelle periferie si assiste a una ridotta. Le Istituzioni tendono a restarne fuori, lasciando ai margini eventuali interventi a completamento. 

Di recente, il Comune di Milano ha presentato il programma Atlante della Città, dove il Sindaco e l’assessore Tancredi, hanno narrato una serie d’interventi (2 per municipio) ad oggi sulla carta e probabilmente riconducibili all’apertura della campagna elettorale del 2027, vista la modalità di presentazione. Naturalmente nessuno di essi si riconnette con i progetti in atto, se mai va incontro alla Città green, cavallo di battaglia della sinistra/verde milanese, spingendosi all’inverosimile come proporre un viadotto Monteceneri in versione passeggiata aerea sull’esempio di altre città nel mondo, quando la cosa da fare sarebbe abbatterlo se la viabilità alternativa risultasse adatta ai flussi. Quale sarebbe il contesto da vivere come esperienza sensoriale, camminando su Monteceneri? Forse sbirciando nelle finestre dei palazzoni confinanti.

Si diceva del rapporto tra il singolo cittadino e la Società Privata, al momento incerto, dove si procede con processi di consenso popolare, attraverso iniziative promosse dalla società d’investimento, anche con forme di sostegno economico pro-bono, con un approccio particolarmente attraente per i cittadini, i quali percepiscono le società private, come un vettore di rinascita tout court, un by-pass con cui si annullerebbe l’argomento dell’assenza di veri investimenti pubblici, invece attuati nelle rigenerazioni del centro, recependo a pieno il messaggio da più parti, in cui si dice che per fare interventi importanti non ci siano fondi e che essi siano possibili solo grazie a un investimento privato. Così l’operatore privato trova ampi spazi d’azione nei quali trova anche la cittadinanza attiva.  

Va detto che uno degli aspetti maggiormente controversi, è l’utilizzo del suolo a fronte di aree disponibili per essere edificate o rigenerate, per il quale Milano è senz’altro molto oltre i livelli % europei nonostante vi sia una Governance verdi/sx. Basti guardare il progetto di costruzione allo scalo Farini e tutte le aree ex Stazioni, ad appannaggio di uno dei player più quotati di Milano: COIMA Sgr. Attraverso il concetto di rigenerazione, si fa passare qualsiasi progetto d’investimento presentandolo come un processo rigenerativo a favore del cittadino e dello sviluppo della Città. Ma quale cittadino? 

Ci sono tuttavia elementi di grande insoddisfazione nella partecipazione attiva. Il Privato non sente come necessariamente da risolvere certe questioni al di fuori dell’ambito d’investimento, nonostante la tendenza al bello nell’ambito delle trasformazioni urbane, sia un mantra delle recenti forme di pensiero che trovano i favori in ambiti impensabili. Un esempio sono “I custodi del bello”, recentemente salutati anche dal Pontefice Papa Francesco, durante un summit in cui le città hanno inviato in Vaticano degli Ambasciatori così detti del bello. Milano è stata rappresentata dall’assessore Lamberto Bertolè e alcuni rappresentanti di società interessate alle riqualificazioni in Città. 

L’aggettivo “BELLO”, oggi tanto in voga come vision a Milano, in realtà è un passe-partout per autorizzare processi edificatori discutibili. La rigenerazione è vista in un Mall come il Merlata Bloom. Va ribadito forte il ruolo passivo dei Municipi, i quali intervengono in modi marginali per via delle scarse risorse economiche e tecniche messe loro a disposizione del Governo Centrale della Città. L’importanza dei Municipi è evidentemente sottovalutata e purtroppo sotto il giogo di un sistema di controllo centralizzato che lavora secondo precise strategie di sviluppo urbanistico, in sinergia con i capitali d’investimento che ovviamente traggono enormi profitti, lasciando marginalità aperte, nonostante i progetti le prevedessero risolte.

Ecco che si compie una strana transizione di ruolo tra Ente Pubblico e Società Private alla quale il cittadino è sottomesso e al tempo stesso esaltato, ad esempio a nord in zona Certosa con Real Step , Euro Milano e Lendlease/Arexpo (Comune di Milano), rispettivamente in area Varesina / Musocco, in area Merlata e nell’area Mind. I lavori in termini di progettualità e investimento hanno un impatto importante nelle zone interessate, ma l’aspettativa del cittadino di una riqualificazione generalizzata di un quartiere non può essere presa in carico dalla componente privata se questa estensione non è stata concordata con il Comune di Milano. 

L’esercizio di una disamina d’insieme, considerando le recenti esperienze, ci porta ad accettare che questo tipo di rapporto tra singolo cittadino partecipativo e Società Privata, abbia delle potenzialità piuttosto marginali e circoscritte, legittimate da un contesto politico che favorisce l’Impresa anche nel ruolo di promotrice di convergenza sociale, eludendo concetti di base della discussione partecipata come i tavoli tecnici e di scopo, promossi in altre epoche in cui il dialogo tra cittadinanza e Istituzioni cittadine, era una colonna portante del progettare la Città. Il privato entrava solo a discussione terminata.

La partecipazione attiva fortemente incentivata appare limitata a piccole attività che spesso vengono presentate come operazioni di rivalorizzazione importanti. La verità è che senza la partecipazione Pubblica, non può esserci una riqualificazione generale di un quartiere e se andassimo a guardare gli ultimi interventi fatti, dovremmo confrontarci con l’Urbanistica tattica, per la quale invito a leggere Wikipedia. La società privata, nonostante si sostenga il contrario, non può essere interessata all’argomento pro-bono se non nei limiti della propria strategia d’investimento o d’inserimento nel contesto milanese dei beni disponibili. Negli ultimi anni, sovente c’è stata una manovra di concessioni di pezzi della Città, certamente da rigenerare ma che alla fine si sono rivelati per come sappiamo, trasformazioni urbane a favore dell’investimento, tal volta totalmente disgiunte dal concetto della rigenerazione.

La Città sembra sottostante a un sistema di Stati Generali in grado di produrre profitti per gli affiliati. Quello che si vede è un approccio non chiaro dell’attuale Giunta Comunale, lasciando così ampi spazi interpretativi, in cui i cittadini non riescono ad orientarsi su chi fa che cosa. Una strategia in cui il Comune di Milano, ha deciso di ombreggiare le zone grigie della propria gestione, cercando di mitigare con progetti che sono ologrammi suggestivi e illusori di una città che in realtà si sta allontanando dalla sua identità di attenzione anche alla classe media e ai ceti proletari.

 Così la Partecipazione attiva si è trasformata in una partecipazione coattiva rispondente al modello che viene proposto come l’unico possibile in cui il cittadino pensante, è chiamato a prendersi delle responsabilità rispetto alla collettività, accettando il sistema verticale, in cui al vertice ci sono i Fondi d’investimento che si aspettano strategie sospinte dal vento favorevole della politica, la quale ha il ruolo di convincere i cittadini che siano determinanti, attraverso campagne mediatiche di dissuasione con le quali creare l’illusione che le strategie di sviluppo siano il risultato della stessa partecipazione attiva.

Gianluca Gennai

 

  



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