22 ottobre 2024

UN FLASH SUI PROBLEMI DELLE FERROVIE

Tra l'altro manca la manutenzione


Copia di beltrami 3 (7)

1) L’incidente che ha paralizzato mezzo sistema ferroviario è dovuto alla mancata attivazione della spia della batteria dell’alimentazione di emergenza (che così si è esaurita), e comunque è patetico dare la responsabilità a una ditta esterna, come se il management non dovesse rispondere anche delle azioni delle ditte che ha scelto, e che è tenuto a controllare.

2) Comunque quest’anno i fermi per guasti sono stati rilevanti, e i lavori di manutenzione e miglioramento delle linee, legati ai soldi del PNRR, sembrano essere stati gestiti in modo inadeguato, probabilmente per la fretta di spendere i fondi, e forse anche per arretrati di manutenzione.

3) È una costante che i ministri dei trasporti concentrino la loro attenzione molto più sui nuovi investimenti che sul buon funzionamento dell’esistente. Salvini con il Ponte non è affatto un’eccezione. La logica delle Grandi Opere come strumento di consenso è stata un’invenzione di Berlusconi, ma seguita poi dai ministri do ogni colore.

4) Certo una manutenzione inadeguata non è un problema di risorse. Alle ferrovie a diverso titolo lo Stato eroga più di 12 miliardi all’anno, e in particolare paga due terzi della manutenzione ordinaria della rete, e il 100% degli investimenti, che di solito includono anche le manutenzioni straordinarie. Solo un terzo di quelle ordinarie è pagato dagli utenti, diversamente da tutte le altre infrastrutture di trasporto, in cui gli utenti pagano molto di più (il 100% nel caso delle strade con le tasse sulla benzina, e molto più del 100% per le autostrade, nelle quali c’è anche il pedaggio)

5) I subappalti comunque sono indispensabili in un’impresa di queste dimensioni. Moltissime attività sono specializzate e/o discontinue nel tempo, mantenerle “in house” aumenterebbe ulteriormente i costi, e mancherebbe lo stimolo della concorrenza, che invece nei subappalti può agire. 

Se poi questi sono gestiti in modo clientelare, ne dovrebbe rispondere ovviamente il management (e in ultima istanza il padrone pubblico). 

6) Non è vero che la rete ferroviaria è sovraccarica, e neppure lo sono le stazioni. Una linea ad alta velocità può portare oltre 300 treni al giorno, e la tratta più carica di quella italiana supera di poco i 200 treni/giorno (sulla Milano-Roma). 

In Giappone, che ha una rete AV molto vecchia, transita un treno anche ogni 3 minuti nelle ore di punta (40 treni all’ora), e a parità di binari disponibili le stazioni tedesche smistano parecchi più treni di quelle italiane. 

È vero tuttavia che era prioritario intervenire sui nodi ferroviari, dove si sommano treni merci, locali, di lunga distanza ordinari e AV, mentre sono state privilegiate le nuove linee AV, per le ragioni di consenso già viste.

7) Il problema centrale però è la regolazione pubblica, molto debole. La rete ferroviaria è un “monopolio naturale” (non si può costruire una rete concorrente), e per garantirne il buon funzionamento occorre un regolatore indipendente, come per tutte le infrastrutture. In Italia per i trasporti c’è ART (Autorità di Regolazione dei Trasporti). 

Ma come ovunque, la regolazione di aziende pubbliche ha due gravi problemi, più gravi di quelli che si incontrano nella regolazione di aziende private.

Il primo è che il regolatore pubblico è stato nominato proprio dai decisori politici proprietari delle aziende, e quindi ha una sorta di conflitto di interessi: dare un dispiacere a questi proprietari può costargli caro.

Il secondo problema è che le aziende pubbliche non rispondono a incentivi o disincentivi economici. Lo Stato garantisce comunque le risorse, al punto che FSI per esempio dichiara sempre profitti, a valle dei 12 miliardi prima citati, come se questi profitti avessero un qualche senso economico. E’ puro “fumo negli occhi” per far credere che si tratti di aziende normali, per di più ben gestite.

Ciò premesso, appare ovvio che da un lato occorrerebbe rinforzare molto i poteri di ART nel confronto delle aziende pubbliche, con poteri specifici nei confronti di queste, e dall’altro introdurre per quanto possibile meccanismi incentivanti reali (es. “Yardstick competition”), sui quali qui non è possibile entrare in dettaglio.

Le ipotesi di privatizzazione parziale delle ferrovie, oggi sul tavolo del governo, potrebbero essere finalizzate in tal senso, mentre purtroppo c’è il rischio dell’opposto, che cioè ci si limiti a garantire i profitti di privati con un ingresso “in solido” nell’azionariato di FSI, trasformando quei profitti in rendite pagate dai contribuenti.

Persino il presidente di ART, pur precisando che si tratta solo di una sua “opinione personale”, ha dichiarato che sarebbe meglio privatizzare prima i servizi che già operano in termini concorrenziali, l’Alta Velocità e i servizi merci. Se ne gioverebbero innanzitutto gli utenti, con una competizione più equilibrata, in cui tutti gli attori hanno il medesimo assetto proprietario. 

Più concorrenza nei servizi servirebbe anche ad aumentare la pressione sulla manutenzione della rete: ci sarebbero più imprese arrabbiate se perdono soldi per colpa dell’infrastruttura. 

Marco Ponti

BRTonlus



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  1. Gianluca GennaiMi pare evidente che si tratti più di un fatto di competenze che di amministrazione. Ammesso e concesso che sia stato veramente un feed-back mancato sulla batteria (o piuttosto una disfuzione più estesa come un problema sul BMS di gestione se non qualcosa d'altro), si rimandano le questioni al management come se un manager dovesse controllare anche le spie di una batteria. Sulla responsabilità che ricande è un dato di fatto ovvio, ma bisognerebbe guardare dentro le società che hanno gli appalti, cioè le figure professionali che lavorano manualmente sugli impianti, soprattutto in ambito manutentivo. I tecnici che si muovono nelle sottostazioni, sui binari, nelle aree di smistamento ecc. Queste sono figure essenziali. Non si può pensare che ci sia un tecnico che gestisce le molte squadre in giro, magari con sms di conferma e foto WA. Le manutenzioni al ribasso, dunque vocate a reperire figure non qualificate o parzialmente qualificate, sono il vero tallone d'achille in tutti i comparti dei settori strategici italiani. Purtroppo tutto gira con le carte, con i documenti, e questi tal volta possono non dire il vero. Documenti fatti ad-hoc con i quali tutti si tutelano e molti si autocelebrano, ad esempio i gestori del controllo qualità o contol cost, o ancora i manager che si assicurano premi per aver risparmiato sul budget. Un tempo i criteri di selezione erano basati su visite nei luoghi di lavoro dove la società si presentava e non su vaghi depliant in cui tutto è molto bello.
    28 ottobre 2024 • 16:42Rispondi
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