17 settembre 2024
MILANO, UNA NOIOSA RISACCA
La Noia del quotidiano
Un amico, qualche giorno fa parlando del più e del meno, a bruciapelo mi chiese cosa stesse succedendo nella nostra città e, a dire il vero non so perché, gli dissi “siamo in piena risacca” e cercai di spiegargli la ragione di questa mia definizione, ossia una città presa da un moto ondoso di un mare di problemi che continua a abbattersi sulla stessa spiaggia: Milano.
Ripensando a quello che avevo detto mi venne spontaneo, poco dopo, l’andare a cercare quale fosse il significato della parola risacca a cominciare dal vocabolario Treccani che consulto spesso per la sua autorevolezza.
Scorrendo i lemmi collegati alla parola risacca ne trovai uno che mi stupì perché sembrava estraneo alla mia ricerca e mi imbattei invece in una lunga definizione di “città diffusa”.
Città diffusa* loc. s.le f. Città cresciuta in modo disarmonico, al di fuori di ogni criterio regolatore. ◆ Certo, ogni progetto deve arrivare a uno strappo tra le due filosofie dominanti: quella di chi vorrebbe mummificarla in un destino museale «specializzandola a divenire luogo comune della nostalgia, e quella di chi pretenderebbe di «normalizzarla per omologarne la somiglianza a tutte le altre». Ora, siccome la storia è un «preziosissimo materiale di riflessione progettuale»….. . E il testo si conclude così: «Un paesaggio volubile […], le cui trasformazioni possono sembrare impreviste: così come la campagna perde peso nella struttura territoriale (-16%), a prendere il suo posto non sono soltanto il tessuto urbano o brandelli di città diffusa, ma anche ampie aree di formazioni boschive o di cosiddetto «terzo paesaggio» (in crescita del 43%), e cioè arbusteti, aree di frangia e di risulta o di dismissione di attività dell’uomo, in cui la risacca della natura ricostruisce lentamente la biodiversità. (Giuseppe Guida, Repubblica, 29 marzo 2008, Napoli, p. I). ».
C’è dentro tutta Milano, dalle aree dismesse alle periferie, dall’abbattimento del verde privato alla vicenda della ex Piazza d’armi, dalla scarsa manutenzione del verde pubblico, alla questione dello Stadio Meazza.
Sindaco e Giunta hanno scelto di «normalizzarla per omologarne la somiglianza a tutte le altre», cosa che piace soprattutto ai grandi operatori immobiliari ma che la rende estranea tanti milanesi, anche a quelli che l’hanno ricostruita dopo l’ultima guerra mondiale e che hanno visto nascere il Grattacielo Pirelli come dimostrazione non di una tipologia innovativa non legittimata a diffondersi ma l’orgoglio di dire “ne siamo capaci anche noi se vogliamo. Ma niente di più. Forse non volevamo.
Ma la risacca è anche il dibattersi ininterrotto tra i problemi della città, grandi o piccoli che siano: la strade dissestate, la pulizia delle strade che ne privilegia alcune soltanto, la qualità dell’aria, le case e il loro prezzo, l’edilizia sociale, i trasporti pubblici di superficie ridotti per la mancanza di autisti e manovratori, la assoluta mancanza di vigili dalle strade, il richiamo all’attrattività che si accompagna ad un turismo forsennato, la politica del traffico che cerca di chiudere la città a chi già non vi risiede considerando di serie B i pendolari cittadini della Città Metropolitana.
Non dimentichiamo la svendita del patrimonio pubblico, il miope disinteresse per la Città Metropolitana, l’atteggiamento ondivago del Sindaco sulla questione Meazza, il ritirarsi della sanità pubblica a favore di quella privata: per completare l’elenco basta leggere le lettere ai giornali di cittadini infuriati o anche solo amareggiati.
L’ultima questione che resterà nella “risacca”, per la nostra sconfortante noia, è la questione SCIA coi suoi effetti e che gli operatori immobiliari vorrebbero chiudere al più presto col decreto Salvamilano, mostrando al mondo che alla fine siamo tutti in vendita, basta avere le conoscenze giuste e un’amministrazione “compiacente”.
La vicenda SCIA nelle sue pieghe e risvolti mostra che forse dovremmo pensare al Comune come ad un ente burocratico, valutarne la pianta organica, valutare questa con le deleghe degli assessori e ci accorgeremmo che alcune direzioni centrali fanno riferimento a troppi assessori con competenze diverse.
Molti esperti di organizzazione aziendale avrebbero utilissimi suggerimenti per migliorare l’efficienza e chiarire le catene di comando e noi cittadini potremmo essere più tranquilli se vi fosse un auditing esterno, non composto da dipendenti del Comune stesso.
Oggi lo sconforto e la noia spingono la gente a chiudersi in sé, a dimettersi dal dovere di andare alle urne, pensando di non avere scampo né armi. E se provassimo ad andare in massa elle urne? Forse potremmo scegliere chi è in grado di fermare la risacca.
Luca Beltrami Gadola
*Città diffusa testo completo
città diffusa loc. s.le f. Città cresciuta in modo disarmonico, al di fuori di ogni criterio regolatore. ◆ Certo, ogni progetto deve arrivare a uno strappo tra le due filosofie dominanti: quella di chi vorrebbe mummificarla in un destino museale «specializzandola a divenire luogo comune della nostalgia», e quella di chi pretenderebbe di «normalizzarla per omologarne la somiglianza a tutte le altre». Ora, siccome la storia è un «preziosissimo materiale di riflessione progettuale», ecco che [Vittorio] Gregotti allarga l’orizzonte all’intera «città diffusa», da Chioggia a Mestre, da Pellestrina alle isole urbane, trovandovi una razionalità antica cui riferirsi, dove l’acqua è «un’opportunità e non un impedimento» e la laguna «il liquido amniotico in cui Venezia vive». (Marzio Breda, Corriere della sera, 26 marzo 1999, p. 33, Terza Pagina) • Il termine «città diffusa» appare circa una decina di anni fa e sta a indicare fenomeni urbanistici o insediativi assimilabili, ma non univoci. Nel termine convivono i concetti di città decentrata, città dispersa, città di città. Di territorio dei cosiddetti «non luoghi» ovvero aeroporti, stazioni, capannoni commerciali e via dicendo. Città diffusa è anche un paesaggio occupato da innumerevoli singoli che costruiscono la loro villetta e il loro capannone in tale quantità da formare una sorta di città privata con costi altissimi per la comunità che deve provvedere, a posteriori, a tutti i servizi. E ancora, la città diffusa può essere determinata dai movimenti giornalieri di una certa popolazione: sono i movimenti delle persone che vanno a determinare l’estensione di una metropoli. (Francesca] Marzotto Caotorta, Sole 24 Ore, 16 novembre 2003, p. 47, Tempo liberato) • Un paesaggio volubile […], le cui trasformazioni possono sembrare impreviste: così come la campagna perde peso nella struttura territoriale (-16%), a prendere il suo posto non sono soltanto il tessuto urbano o brandelli di città diffusa, ma anche ampie aree di formazioni boschive o di cosiddetto «terzo paesaggio» (in crescita del 43%), e cioè arbusteti, aree di frangia e di risulta o di dismissione di attività dell’uomo, in cui la risacca della natura ricostruisce lentamente la biodiversità. (Giuseppe Guida, Repubblica, 29 marzo 2008, Napoli, p. I).
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