3 settembre 2024

IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

Contro il disordine mondiale, serve un nuovo pensiero


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Settembre, più che gennaio, segna un nuovo inizio, una nuova stagione di impegni, lavoro, e come diceva qualcuno di “ripensamenti”. Un sentimento antico che trova le radici nel ciclo vitale di un mondo rurale neanche poi così lontano. Terminata la stagione dei raccolti, si tiravano i conti e si guardava al futuro con più o meno confidenza, più o meno speranza, più o meno consapevolezza. Si aveva del tempo per farlo.

C’è da chiedersi quali conti tiriamo oggi, con quale sentimento guardiamo a questo settembre vecchio e nuovo, e dove e come, di fronte alle tante angosce, troviamo ragioni e motivi di fiducia su cui poggiare disegni, progetti, soluzioni, e soprattutto senso. Come milanesi certo, ma ancora prima come cittadini del mondo, come europei ed italiani. Pace, eguaglianza, diritti, sicurezza, libertà, formano il perimetro attorno a cui le persone ovunque strutturano identità, bisogni ed attese, ma anche rancori ed insicurezze. Non vederli, non riconoscerne le motivazioni, crea muri invece che ponti, impedisce empatia e vicinanze. Oggi, questa miopia oscura lo sguardo di tanta parte del mondo democratico: non sa vedere, non sa capire, non sa rispondere. Il grande disordine mondiale è generato anche da questa inadeguatezza, culturale prima che politica.

L’estate torrida ci restituisce un pianeta ancora più infiammato da violente e compulsive crisi internazionali. Papa Francesco, si può dire oggi, è stato facile profeta. Eppure mentre se ne riconosce finalmente il merito predittivo, si nascondono le ragioni più profonde dell’ammonimento che, morale e religioso nella sua genesi (la pari dignità di ogni uomo come creatura di Dio), individua i principali fattori scatenanti delle tensioni e delle tragedie crescenti nell’iniqua distribuzione della ricchezza planetaria, nei meccanismi di sfruttamento sociale e di distruzione delle risorse naturali. Soprattutto nel disconoscimento dell’appartenenza comune ad un’unica specie umana, oltre i confini innaturali degli stati, cosa certo più agevole per la Chiesa, unica vera istituzione globale.

La questione della Pace è urgente ed esistenziale. Ne va anche del destino dell’Europa come soggetto politico e degli europei come popoli e persone. È la principale questione politica da affrontare e sciogliere oggi, con coraggio e prudenza al tempo stesso, eppure la vicenda segue un piano inclinato dove si scivola inerti, non si capisce se più per impotenza, ignavia o calcolo miope. A più di due anni dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, pare evidente che l’Europa come soggetto non solo non esiste, ma non esiste neppure negli europei la consapevolezza della diversità dei propri interessi da quelli americani. 

La Pace va messa in agenda ed andrebbe presa l’iniziativa per trovare il compromesso possibile tra giustizia e rapporti di forza, tra diritto e potere, esercitando il discernimento necessario tra le diverse ed assai complesse ragioni storiche ed attuali che hanno formato la miscela esplosiva della guerra tra popoli fratelli. Tutte le forze politiche, PD compreso, vivono il travaglio di un processo che contrappone la fedeltà ai forti legami internazionali ed il desiderio di chiudere la vicenda, rimasto sottotraccia come dissidio sordo, tutto interiore, tenuto sotto controllo, in attesa che qualcosa avvenga. Ma è lecito chiedersi cosa deve ancora avvenire per scuotersi da un torpore ormai inaccettabile e denso di tremendi pericoli, se la guida resta nelle mani dei Borrel e degli Stoltenberg.

Uno spettro si aggira per l’Europa, anzi in Germania. Forze neonaziste, come un secolo fa, soffiano sulle paure, il rancore, la delusione del popolo tedesco, specie nell’ex DDR. Come la peste, il delirio nazista si credeva morto. Invece solo dormiva e ci sarebbe davvero da farsi domande di fondo sulla permeabilità di questa nazione all’estrema destra, se non fosse che il morbo si propaga in tutta Europa e, con tutte le necessarie distinzioni, anche in Italia. La crisi dei sistemi politico sociali europei affonda le sue radici, come allora, in una profonda delusione popolare, vissuta negli ultimi decenni all’ombra di una deregulation globale che ha rotto il patto nazionale tra borghesia e classe operaia, tra impresa e lavoro, esportato i capitali nazionali, desertificato il panorama industriale ed importato nuovi poveri da tutto il mondo, rappresentati infine come la causa e non l’effetto del grande disordine mondiale. La risposta dei sistemi politico parlamentari costituzionali aggrega grandi coalizioni anti destra nel segno dei valori democratici, ma vi è da chiedersi se basterà e soprattutto se fornirà il cambiamento atteso.

Come diceva Rino Formica, in Italia il governo Meloni “si sfarina”.

Così almeno sperano le opposizioni, tuttora impegnate in un faticosissimo lavoro di ricucitura delle differenze e dei rancori, ma bisogna dire che qualche elemento concreto si manifesta nella disillusione popolare (pensioni, politiche  sociali, autonomia differenziata…) e nell’emergere di diverse visioni e prospettive. Meloni ha tentato fino all’ultimo di tenere un piede in due scarpe, ma ha fallito. Non si può fare la voce grossa contro l’Europa democratica in patria e chiedere posti a tavola a Bruxelles.  L’insuccesso alimenta i protagonismi degli alleati: Taiani spinto dalla famiglia Berlusconi cerca spazio sui diritti, mentre Salvini punta forte sulla pace putiniana.

Renzi, che vuol essere sempre il più sveglio della classe, fa sapere a tutti che “si è messo a disposizione” di Schlein e del suo progetto unitario. In molti tremano, ricordando le macerie che il personaggio ha lasciato dietro di sé.  Aldilà di questo, si deve pur riconoscere che il PD di Schlein, rinnovato a sinistra (lavori in corso, però), lascia uno spazio al centro che qualcuno dovrà pur occupare e rendere disponibile ad una maggioranza di centro sinistra. Le prossime elezioni regionali (Toscana, Umbria e Liguria), daranno la misura del quantum di “sfarinamento” o di ”campo largo”. Una grave sconfitta del centro destra potrebbe aprire scenari impensabili ancora qualche mese fa.

E mentre le tessere del domino si muovono sui diversi scenari, a Milano si gioca una partita delicatissima. Come per Mani Pulite, la magistratura esercita una funzione tutoria alla politica, svelando le magagne del cosiddetto “modello Milano”, derubricato ormai a ”Sistema Milano”. In questi ultimi giorni, e finalmente, si sono sentite prese di distanza sulla visione dello sviluppo urbano che si vorrebbe riportare alla regia pubblica, premessa essenziale per una tutela equilibrata del bene comune nei processi di sviluppo. Era ora che le intelligenze ci mettessero la faccia, fornendo autorevole sponda tecnica a chi nella politica e nel sociale denuncia e lavora per una Milano più equa e, perché, no più bella.

Siamo milanesi, italiani, europei e cittadini del mondo, ma le diverse sfere delle nostra identità non sono contenitori stagni. Ciascuna vive in relazione alle altre, le condiziona  e ne viene condizionata. Ciascuno di noi, producendo, consumando, comunicando, le vive anche in proprio  come  minaccia e/o opportunità e contribuisce con i suoi piccoli gesti al mantenimento dello status quo o al cambiamento. Pensiero ovvio, perfino banale, ma che sottende in realtà bisogni universali di eguaglianza, diritti, sicurezza, libertà, pace, altrettanto pacifici eppure tanto faticosi ancora da tradurre in una visione politica che non si limiti ad invocare il mercato come sistema autoregolatore ed i diritti come passpartout per tutti i mali. Il malessere occidentale è profondo, e se la destra eversiva riesce a presentarsi ovunque come paladina dei poveri e degli oppressi dalle “democratiche” elites mondiali, qualche domanda in questo settembre che si apre bisognerà pur farsela.

Serve un nuovo pensiero collettivo, nessuno ne uscirà da solo, persona, gruppo, popolo.

Giuseppe Ucciero



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  1. Cesare MocchiNell'attuale crisi del modello urbanistico milanese, c'è un aspetto che non vedo spesso messo in luce come dovrebbe. Quella è un'urbanistica pensata dagli avvocati, non dai tecnici (come tutto il PGT peraltro, scritto dagli avvocati di Assimpredil tipo Bardelli). Stirare il concetto di "ristrutturazione edilizia" fino a fargli assumere un significato del tutto differente, è una classica "furbata" di qualche avvocato (per fare pagare meno oneri e far costruire più volumetria ai propri clienti). Che fra la "ristrutturazione edilizia" e la "nuova edificazione" servisse una categoria di intervento aggiuntiva (le demolizione e ricostruzione con diversa sagoma e sedime) è un pensiero presente da tempo nella cultura tecnica: lo si trova ad esempio nei Piani Regolatori della Gregotti Associati, dove però viene chiamata (più correttamente) "sostituzione" (termine peraltro presente anche nella normativa regionale lombarda). Ma agli avvocati non bastava, volevano tutto e subito: e quindi anziché una categoria nuova, meglio stiracchiare all'inverosimile le vecchie categorie: per cui alla fine con "ristrutturazione" si intende sia chiudere un terrazzo, sia costruire una torre residenziale di venti piani al posto di un carrozziere. Per un po' è andata bene. Ma alla lunga, chi di avvocato colpisce, di Procura perisce...
    11 settembre 2024 • 15:28Rispondi
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