3 settembre 2024

LA GRANDE MILANO CHE NON C’È

La vicenda gozzaniana dall’acqua pubblica


Copia di copertina 6 (9)

Le dimensioni contano, sia in economia che in politica e quelle di Milano (180 km2, 1,3 mln di abitanti) marcano una distanza notevole dalle principali aree europee (Parigi 105 km2, 2,2 mln di abitanti) tanto maggiori quanto più si considerino le rispettive aree metropolitane (Milano 1500 km2, 3,2 mln abitanti, Parigi 800 km2 7,1 mln di abitanti, che arrivano a 11 mln nell’intera area) e la quota di PIL prodotto (10% Milano con 200 mln di euro, 30% Parigi 700 mln di euro): Londra è a distanza siderale mentre  Barcellona, Madrid, Berlino, la Ruhr ci doppiano, così risultiamo in seconda fila con Roma, Varsavia, Marsiglia, Monaco, Francoforte, Amburgo, Bruxelles, Vienna, Atene,

È dunque evidente che il dato di partenza della nostra economia, pubblica e privata, è tanto meno importante quanto più lo si riporta alla sola area urbana: eppure questo è.

Il Milanocentrismo delle ultime amministrazioni cittadine ha portato a marcare una distanza ancor più netta tra Intra-moenia e i Comuni ariosi della provincia, distanza visibile nell’assalto all’arma bianca al mq milanese assurto a valori europei a seguito della nuova vocazione turistico ricettiva della città nel Post-Expo, mentre l’antica preponderanza di industria, commercio e servizi marca il passo italico (siamo sempre i più dinamici d’Italia ma è guerra tra poveri) priva di spazi, dimensioni e soprattutto vocazione.

È dunque evidente che qualsiasi affermazione di Milano a livello europeo passa dalla valorizzazione dell’area metropolitana, fatto che non può prescindere da un piano urgente e chiaro di integrazione fra Milano e i restanti 132 Comuni, i cui abitanti si dichiarano milanesi soltanto al mare in braghette quando devono fornire ai foresti la propria provenienza, ma nella vita quotidiana si sentono radicalmente distanti dal baraccone milanese che usano per lavoro nei feriali e per divertimento a caro prezzo nei festivi, peraltro ricambiati in tanta distanza dai milanesi dentro le mura.

Le istituzioni stesse sono il simbolo di questa schizofrenia fra milanesi, tanto che la sede naturale dell’integrazione, la Città Metropolitana pessimamente costruita priva di bilancio dalla Riforma Del Rio, viene percepita da Milano come una palla al piede e i suoi eroici amministratori operano a titolo gratuito.

Inoltre le Partecipate milanesi, ovvero gli strumenti operativi dell’economia pubblica, sono rigidamente cittadine e non hanno mai tentato un allargamento operativo al territorio che dovrebbe essere loro, vuoi per le gelosie locali ma soprattutto per la mancanza di una visione industriale metropolitane (rifiuti, trasporti, servizi amministrativi, sport, assistenza, strade, educazione).

Sin qui è la semplice descrizione di un progetto che non c’è e che dimostra la distanza dall’Europa, ormai orientata ad essere una federazione fra regioni autosufficienti prima ancora che un insieme riottoso di Stati, fatto che si osserva nella legislazione comunitaria scritta sulla base delle indicazioni delle organizzazioni più forti tendenti a esprimere e tradurre in legge, le rispettive esigenze: una voce che L’Italia e Milano fanno fatica a far emergere per le rispettive irrilevanze tecniche e politiche.

Si potrebbe dire che il provincialismo milanese balza vivo da questa rappresentazione, indicando nell’incapacità della Politica metropolitana di pensare in grande, dunque un limite culturale cui porre mano.

La cosa però assume un altro aspetto, assai più inquietante, quando si osservi più da vicino una vicenda di stretta attualità come quella della regimazione idraulica del nostro territorio, compresso tra ricorrenti siccità e alluvioni, e della sua infrastrutturazione idrica affiata per legge al Servizio Idrico Integrato.

Milano, caso raro in Italia, ha nello stesso Ambito Territoriale Ottimale (ATO acqua, insediato presso la Cenerentola Città Metropolitana) due gestori distinti (MM per Milano e CAP per gli altri 132 Comuni) quando dovrebbe averne uno solo: a far data dal 2033-2037 l’area verrà messa a gara e il gestore diventerà uno solo.

Ora, per quei calcoli da pizzicagnolo su cui campano le amministrazioni pubbliche milanesi, trattandosi in entrambi i casi di società in house, sia gli uni che gli altri fanno conto di far fessa la legge italiana e andare avanti nel quieto vivere attuale, convinti che in una gara la prelazione tocchi sempre a loro.

Peccato che la legge e i numeri economici raccontino un’altra storia in cui questi traccheggi da retrobottega provocano un danno evidente di proporzioni bibliche all’area metropolitana, tano che non si capisce perché la Politica, sia quella di Milano che quella dell’area metropolitana, non prenda decisioni draconiane.

Ecco i numeri del misfatto.

La legge del Gestore unico stabilisce che in caso di confluenza la concessione si prolunga automaticamente di quindici anni senz’obbligo di gara: arrivare al 2052 con la concessione in casa significa avere una rivalutazione patrimoniale di 200 mln di euro per Milano e 300 mln di euro per i soci di CAP, ovvero gli altri 132 Comuni milanesi: ovviamente se aspettiamo la gara e non confluiamo quei valori patrimoniali slittano sine die.

La stessa legge consente un adeguamento tariffario per i costi della confluenza: le tariffe Milanesi sono offensivamente basse rispetto al resto d’Europa (media 2 euro al metro cubo) ma anche rispetto all’Italia (1 euro al Mc contro gli 1,6 di Roma) e ogni 10 cent in più portano 1,3 mld nelle casse del gestore con cui finanziare le reti e le difese che mancano a Milano sommandosi alla maggiore patrimonializzazione che funge da base naturale della bancabilità di ogni impresa.

Finisce qui? Nemmeno per sogno, con l’avvicinarsi della fine della concessione calano naturalmente gli investimenti che, trattandosi di acqua, hanno ricadute locali altissime. CAP passerà nel 2028 dagli attuali 110 mln anno di investimenti a 60 mln sottraendo, nel solo caso in oggetto, 250 mln di euro di opere pubbliche all’area milanese.

Si potrebbe forse dire che la remora principale sia l’’incremento tariffario e la sua impoliticità nonostante l’evidente populismo di una tariffa troppo bassa e non remunerativa per le opere necessarie sul nostro territorio, ma anche questo è un finto argomento. Infatti gli attuali 220 lt giorno per abitante di acqua potabile consumata comprendono anche gli usi non potabili (irrigazione, antincendio, alimento macchine, lavaggio strade e altri usi per cui sarebbe vietato impiegare l’acqua potabile) mentre ragionevolmente passerebbero ai 180 lt giorno/abitante della media europea se solo venisse realizzato un acquedotto duale, possibile grazie a quel 1,3 mld dei 10 cent in più.  Ma alla fine il minor costo sui 40 litri giorno tariffati a 0,20 cent contro 1 euro odierno portano all’invarianza della bolletta, secondo la logica industriale della nostra legge: si finanzia oggi con la tariffa ciò che domani porta una equivalente utilità all’utenza.

Ecco che la mancata dimensione metropolitana dell’acqua realizzabile con la semplice firma dei 133 Sindaci non solo ci priva di una dimensione industriale obbligatoria e relativa valorizzazione delle nostre società, ma ci priva pure di un paio di miliardi di opere pubbliche ricadenti tutte nel territorio milanese, cosa di cui chiedere ragione ai 133 di cui sopra per un danno erariale da inerzia colpevole.

Perché la cosa non è in discussione oggi? In parte i Comuni metropolitani temono la presenza ingombrante di Milano in un mondo nel quale ora sono soci partecipi, ma in parte la risposta esatta è quella data da Beppe Sala quando presentammo l’idea poco prima del Covid, essendo attuale allora come oggi: “Come manager lo farei domani stesso, ma come Sindaco devo tener presente molte altre condizioni”, le quali condizioni sono gli equilibri dirigenziali e sindacali della sua Partecipata, terrorizzata da ogni novità che la scardini dall’inerzia usata, anche se questa racconta di un bilancio deficitario di MM una volta sottratta la gallina dalle uova d’oro dell’acqua che la troverebbe in mezzo al guado della sua trasformazione in società multiservizi, pur avendo ancora a bilancio 200 ingegneri privi di progetti (di qui l’impasse odierna).

Ma, e qui termino, una società di progetto e una multiservizi non sono forse ciò che manca ai 132 Comuni metropolitani che non hanno la dimensione milanese: non sarebbe proprio la metropolitanizzazione di MM l’arma di scambio nella fusione dei servizi idrici?

Le dimensioni contano e allargare le Partecipate all’area metropolitana è il primo passo per tentare di avvicinare l’Europa che conta anche nei servizi pubblici, invece di inseguire Venezia sulla strada del peripateticismo cittadino come facciamo oggi, mettendo in vendita a caro prezzo la nostra Città.

Giuseppe Santagostino



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  1. Chiara VogliattoIntervento come sempre pertinente e di grande cultura. Ricordo che a capo della città metropolitana da molti anni c'è Sala, e prima c'era Pisapia (entrambi di centrosinistra). Se qualcuno mi sa elencare un loro intervento sul tema dell' area metropolitana (tranne quando Sala si è lamentato dello stadio del Milan a San Donato "perché non è Milano") vince un premio.
    8 settembre 2024 • 20:36Rispondi
  2. valentino ballabioLe responsabilità del centro-sinistra al riguardo sono indubbie, ma Pisapia e Sala sono solo inette conseguenze dell'assurda legge Delrio, predisposta per la mancata riforma costituzionale Renzi e poi rimasta in vita per inerzia e inettitudine politica complessiva. I controsensi e i paradossi che ricadono sul sistema istituzionale tuttora vigente sono innumerevoli. Ne cito uno a titolo di esempio: l'isoletta di Alicudi dispersa nel mar Tirreno fa parte di una Città metropolitana; Monza, che sta a 4 km da Milano, invece no!
    9 settembre 2024 • 09:48Rispondi
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