3 settembre 2024

MA IL PGT DI MILANO È DI DESTRA O DI SINISTRA?

Qualche riflessione per una possibile risposta


Copia di copertina 6 (8)

Questa la domanda che aleggia in alcuni recenti interventi dei lettori di Arcipelago. Bella domanda. Che dire? Non è facile rispondere. Anche perché ultimamente i confini fra i due schieramenti non sembrano così chiari; ma soprattutto perché un buon PGT dovrebbe rappresentare tutta la città e quindi non essere smaccatamente di destra o di sinistra. Quindi sarebbe meglio chiedersi: il PGT è più orientato a destra o a sinistra?

Per cercare una risposta, appare comunque necessario provare a delineare alcuni possibili valori di riferimento. Per semplicità, potremmo dire che in generale l’uguaglianza viene considerata un valore di sinistra; non certo perché si nasca tutti uguali, ma piuttosto perché uguale è la coscienza e quindi i diritti: con particolare attenzione quindi agli svantaggiati, ai vulnerabili, agli sfruttati, ovvero a chi ha difficoltà di accesso ai suoi diritti.

La destra invece in modo speculare è tendenzialmente più attenta alle differenze: a garantire il diritto del più forte, a riconoscere chi emerge, a remunerare i patrimoni.

Un altro tema importante, peraltro trasversale ai due schieramenti, è quello della trasparenza del processo decisionale: ovvero rendere espliciti e condividere i dati e gli argomenti che sono alla base delle decisioni pubbliche, in modo che siano controllabili e verificabili come avviene nelle società aperte; e non limitarsi a slogan, narrazioni accattivanti e affermazioni apodittiche che sono invece tipiche di processi decisionali di tipo autoritario (di destra o di sinistra).

Avendo presente quindi questi due concetti (uguaglianza dei diritti e trasparenza delle decisioni), si possono esaminare alcuni aspetti salienti del PGT vigente a Milano.

Questione abitativa. Come è noto, la casa è un diritto fondamentale, nel senso che è un bene irrinunciabile (la condizione di “senza casa” denota immediatamente un forte disagio sociale). Non è un diritto sancito dalla nostra Costituzione (a differenza di altri paesi occidentali); l’Italia ha però tra l’altro ratificato il Patto dei diritti economici, sociali e culturali (Pidesc) (1) che all’art. 11 prevede appunto il rispetto di tale diritto. 

Ora, in che modo il PGT cerca di farlo? Nei suoi documenti non è rinvenibile nessuna valutazione sulla domanda abitativa non solvibile sul mercato (né in termini assoluti, né percentuali, né nella sua articolazione); le relative politiche sembrano coprire circa il 5-10% della domanda (2), ovvero una quota molto inferiore rispetto a quanto stimato dalle più recenti ricerche effettuate in merito (3). Se invece sono stati utilizzati dati differenti per le valutazioni, non sono stati resi noti.

Servizi. Come largamente noto, una buona dotazione di servizi liberamente accessibili a prezzi affrontabili da tutte le famiglie ha avuto un ruolo fondamentale nell’emancipazione della popolazione più svantaggiata e quindi anche nello sviluppo delle forze produttive.

Per una giovane donna che lavora, ad esempio, sapere in caso di gravidanza di poter contare su un asilo nido in prossimità a prezzi ragionevoli è più importante se non dispone di grandi risorse (per la famiglie con grandi risorse una tata c’è sempre). E così in tanti altri campi: sanità, istruzione, sport e altro. 

Su questo, il PGT si limita a fotografare la situazione esistente: ma non basta sapere se i servizi esistono, bisognerebbe anche valutare se sono sufficienti. Se posso fare un esempio personale, vicino a casa mia sono presenti ben due asili nido comunali: ho avuto due figli, e in nessun caso ho potuto iscriverli a nessuno dei due perché le domande erano troppe, non c’era posto (e non credo di essere l’unico a cui è capitato) (4).

In altre parole, non basta verificare la sussistenza dei servizi, ma anche la loro adeguatezza e sufficienza alla popolazione presente e prevista, anche mediante il monitoraggio e il controllo del processo; cosa però non rinvenibile negli elaborati di PGT.

Beni storici e culturali. Milano come noto ha un tessuto storico articolato e policentrico (molti nuclei storici periferici hanno verosimilmente un’origine preromana), le cui emergenze possono costituire motivo di orgoglio e di identità per i suoi abitanti; beni che però spesso sono privi di qualunque forma di tutela (i vincoli della Soprintendenza riguardano perlopiù il centro storico). 

Se posso fare anche qui un esempio personale, molti anni fa avevo conosciuto una ragazza che viveva in periferia: quando l’andai a trovare, lei ci tenne a farmi vedere che nei pressi c’era un’antica villa nobiliare, giusto sull’asse di un antico nucleo storico, mica che pensassi che lì non ci fosse nulla! Oggi quella villa (che ho avuto il piacere di visitare ancora integra), abbandonata all’incuria dalla proprietà “perché tanto è senza vincolo”, è stata demolita e ricostruita e al suo posto c’è un orrido condominiaccio, che non sarebbe certo un vanto per nessuno, piazzato lì senza nessun rapporto con l’intorno.

Anche su questo tema stranamente il PGT tace (sarebbe invece, oltre che una buona usanza professionale, anche un preciso obbligo di legge dire qualcosa in merito), perché nessun bene è segnalato oltre a quelli già vincolati. Né viene fornita nessuna spiegazione su ciò, l’argomento (implicito) è probabilmente quello che i vincoli “rompono”.

Indici volumetrici. Qui invece il PGT è molto più attento. L’indice base, applicabile a tutte le aree inedificate (con la sola esclusione di quelle destinate ad agricoltura) è abbastanza alto (più di 1 mc/mq, quello classico delle zone di espansione per intenderci), mentre è sempre fatta salva la SL esistente, di cui cambiare l’uso (gli operatori stranieri quando vengono a sapere questa cosa strabuzzano gli occhi, all’estero per quanto ne so questo non avviene); i diritti poi si possono trasferire dalle aree scomode e distanti (da cedere al Comune) a quelle di pregio e appetitose. Non si può quindi dire che la rendita fondiaria non venga remunerata. 

Ma per carità, non c’è nulla di male. Purché sia stato verificato che questo incremento del carico insediativo (dato non solo dai nuovi diritti volumetrici sulle aree inedificate, ma anche dai cambi d’uso per gli edifici esistenti, perché cambiando l’uso – da industriale a residenza, per dire – spesso aumenta il numero delle persone insediate e quindi la domanda e il tipo di servizi richiesti) possa essere assorbito dalla capacità residua del capitale sociale (ovvero i servizi, strade, infrastrutture, ecc) esistente o previsto. 

Questa verifica (e non si parla solo dei 18 mq/ab + 17,5 o quello che è, ma della verifica reale) è stata fatta? O è un puro assunto ideologico? Non è dato saperlo, perché negli elaborati di PGT non c’è e se la verifica è stata fatta non è stata resa nota (5); né sono previsti strumenti attuativi o di dettaglio con i quali procedere a tali valutazioni.

Da questi rapidi accenni si confida che ognuno possa fare le sue valutazioni sulla domanda iniziale, ovvero su quale sia l’orientamento prevalente del PGT.

C’è però a questo punto una tipica osservazione: o si fa così, o niente. Se il Piano non è abbastanza reticente e autoritario, se non viene incontro alle esigenze della proprietà, se si perde in analisi e valutazioni, si cade nell’immobilismo. Ma questa osservazione non è fattuale, nel senso che sono noti esempi (a Milano e altrove) dove sono stati trovati equilibri fattibili fra le diverse esigenze molto più orientati alla tutela dei diritti senza negare le esigenze di sviluppo (purché il sistema delle aspettative si sia correttamente formato).

Il problema piuttosto sembra essere un altro. Quando un immobile entra nel circuito delle compravendite con il suo valore di trasformazione dato dalle regole vigenti (ovvero deducendo dal possibile prezzo di vendita finale tutti i costi) è molto difficile tornare indietro chiedendo prestazioni di interesse pubblico aggiuntive o aggiustamenti degli indici edificatori (diverso era al tempo dei PII o di altri strumenti in variante, dove la partita è sempre aperta in un senso o nell’altro); questo in particolare a fronte di business plan molto tirati, con pochi margini per gli imprevisti, che vanno subito in crisi a fronte di aumenti di costi o ad aumenti significativi di oneri e monetizzazioni a causa della troppa distanza nel tempo dei loro aggiornamenti.

Se l’equilibrio fra interesse pubblico e privato non è ben impostato a livello di pianificazione generale, è molto difficile (e questo sì davvero arduo) recuperarlo poi. In particolare non serve a nulla rallentare od ostacolare le procedure attuative, perché questo può costituire verosimilmente un danno per l’investitore privato, ma che non si risolve certo in un simmetrico maggiore interesse pubblico (l’urbanistica non è un “gioco a somma zero”, come ci insegnavano all’Università).

Si spera quindi di venire un giorno smentiti e che vengano rese disponibili solide dimostrazioni sulla sostenibilità delle scelte di Piano e che le valutazioni sull’equilibrio delle scelte nel rispetto dei diritti e della trasparenza (questo però appare più difficile) siano invece state fatte. Può anche darsi (tutto è possibile). 

Gregorio Praderio

 (1) https://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Patto-internazionale-sui-diritti-economici-sociali-e-culturali-1966/12

(2) vedi ad esempio https://www.arcipelagomilano.org/archives/62619

(3) una nota critica su tali ricerche è che gli studi sul tema non avrebbero un carattere scientifico, risolvendosi quindi in una forma mascherata di retorica politica. Si tratta di un’obiezione talmente vera da essere ovvia; ma si può notare che potrebbe essere applicata a tanti altri campi del sapere (economia, sociologia, la stessa medicina ecc), che pure orientano efficacemente le nostre decisioni. E l’avere abbandonato (forse per un eccesso di acutezza che però, come dicevano i professori al liceo, rischia di tradursi in afasia) valutazioni magari imperfette ma supportate da dati confrontabili, sostituendole con decisioni improvvisate e “a sentimento” da parte di assessori non eletti e funzionari non particolarmente preparati, non sembra davvero essere stato un grande passo avanti. 

(4) per inciso, la dotazione di posti in asilo nido per bambini in età a Milano è superiore a quella media nazionale. Lo è però anche la percentuale di donne in età fertile in posizione lavorativa. E comunque la domanda resta: i posti sono sufficienti? Si tratta peraltro di un servizio di facile attuazione, fungibile e con requisiti esigenziali non troppo stringenti. Ben più complessi sono i casi dei servizi specializzati tipo gli impianti sportivi o sanitari, più difficili da localizzare.

(5) in verità, nella relazione di PGT si accenna al fatto che il calcolo del carico urbanistico generato dai cambi d’uso degli edifici esistenti è “arduo” e quindi forse qualche tentativo è stato fatto. Ma a scuola, se uno studente trovava “arduo” il compito di matematica o latino, si faceva dare una mano o chiedeva spiegazioni, mica abbandonava.



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  1. Annalisa FerrarioL' ultima che i nostri esimi amministratori sembra si stiano apparecchiando a fare sul tema dei servizi, è quella di renderli tutti a pagamento. Per cui se vai al parco a fare ginnastica o a fare la festa di compleanno del tuo bambino, non basterà più avere pagato le tasse, forse servirà un pagamento apposito in più. È un po' come nel medioevo, quando si pagava un pedaggio per passare i ponti. I nobili poi erano esentati, i commercianti pagavano, e i poveri erano costretti a restare al di qua del fiume perché non avevano da pagare la gabella. Poi per fortuna è arrivata la modernità e la tassazione progressiva e non a consumo, e si sono liberate le energie sociali. Ma, nelle immortali parole del gip, questi non conoscono neanche l'abc della materia. Per cui un giorno magari i vip e le influencer potranno andare al parco gratis mentre le sciure cinesi che fanno tai-chi al parco Sempione dovranno pagare. È l' economia, bellezza! (e chissà, magari torneranno i pedaggi per i ponti, visto che la manutenzione non è granché. Ma sshhh, vediamo di non dargli certe idee!...) Saluti
    4 settembre 2024 • 09:14Rispondi
  2. Michele SacerdotiL'articolo è pienamente condivisibile. Con l'obbligatorietà dei piani attuativi per gli edifici più alti di 25 metri prevista dalla legge urbanistica nazionale si potranno prevedere i nuovi servizi quando si trasforma una fabbrica in edificio residenziale. Andrà anche adeguata l'entità della monetizzazione degli standard, assolutamente ridicola rispetto ai valori di mercato delle aree e dei diritti volumetrici. Con i fondi aggiuntivi si potranno creare i servizi che mancano.
    6 settembre 2024 • 22:38Rispondi
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