3 settembre 2024
UN VUOTO DI MEMORIA TRA GRAMSCI E BERLINGUER
60 anni fa gli straordinari funerali di Togliatti
3 settembre 2024
60 anni fa gli straordinari funerali di Togliatti
Se il reale, secondo il concetto hegeliano, si rivela appieno a posteriori, i funerali di Togliatti dell’agosto 1964 hanno evidenziato una vena profonda che aveva nutrito mezzo secolo di storia italiana. Storia nazionale e non solo, dato l’intreccio con due guerre mondiali e altrettanti dopoguerra aspramente contraddittori tra brutalità distruttive e tensioni per la pace e l’emancipazione umana.
Per chi ancora ne conserva la memoria, la notizia della morte di Palmiro Togliatti – avvenuta peraltro nell’allora riconosciuta patria del socialismo – bloccò il Paese. Sconcerto e costernazione nella quasi metà degli italiani fedeli tenaci o comunque sostenitori nell’intimo della causa del Migliore; rispetto e deferenza nell’altra metà dei fieri antagonisti, per quanto dichiarati detrattori del capo riconosciuto degli invisi comunisti.
Allo smarrimento collettivo seguì tuttavia una spontanea mobilitazione di attivisti e simpatizzanti. Il comune sentire della base richiamò il bisogno di ritrovarsi insieme. Pertanto, da Milano e sua cintura rossa, tante 600 e 500 Fiat stipate imboccarono la neonata autostrada del sole; i legnosi vagoni di terza classe provvidero a notturne trasferte verso la via delle Botteghe Oscure, questa volta illuminata da un intenso e sincero sentimento popolare.
I lavoratori delle fabbriche, che avevano ripreso l’attività dopo le brevi ferie, strapparono permessi straordinari a cui dirigenti e capi-officina non osarono opporsi. La loro missione romana doveva rappresentare anche chi restava ma partecipava con la mente ed il cuore, in un’atmosfera sospesa come nei momenti critici della vita pubblica nazionale.
Per chi invece non ha, o non può avere, una memoria tanto lunga – esclusi gli storici di professione e i cultori di teoria politica – valgono invece due documenti che, con gli strumenti dell’arte e del cinema, testimoniano visivamente due caratteri essenziali del nuovo partito che Togliatti annunciò fin dal 1944 con la cosiddetta svolta di Salerno: “un partito d’avanguardia e di massa”. L’apparente ossimoro accompagnò altre coppie di attributi che rifondavano il futuro partito dopo la dura fase della clandestinità e nel cuore della guerra di liberazione: “partito di lotta e di governo, nazionale ed internazionalista”.
Nella circostanza pesava indubbiamente l’esperienza dell’esilio nell’Unione Sovietica ed il ruolo nella Terza Internazionale, della drammatica opzione di sviare il terrore staliniano non per riguardo a se stesso ma per salvare il partito italiano, l’ircocervo che avrebbe aperto la via alla Costituzione ed ad una pur travagliata “democrazia progressiva”.
Due opere rappresentano pertanto il compiersi del “partito nuovo”: l’una raffigura il gruppo dirigente raccolto attorno alla bara nella grande iconografia di Guttuso; l’altra vive nel cortometraggio in bianco e nero a firma di dodici valenti registi (tra cui Lizzani, i Taviani, Petri, Zavattini) che riprendono l’emozione ed il sincero rimpianto di una sterminata massa di popolo minuto.
Nel quadro di Renato Guttuso non manca la rappresentazione sullo sfondo di lavoratori sospesi su un’impalcatura, emblema dell’edificazione di una possibile diversa società. Ma l’attenzione è concentrata sui volti dei protagonisti di quella parte del “secolo breve” che provò a rivoluzionare, pur tra errori e tragedie, l’assetto vigente del mondo nella prospettiva di una “futura umanità”!
A tutt’oggi il rivolgimento è di fatto avvenuto, ma alla rovescia! Reazione e restaurazione in campo sociale; eversione e sconvolgimento in quello naturale. Disuguaglianze e discriminazioni umane che accompagnano calamità e alterazioni climatiche, sotto la crescente insidia di minacciosi venti di guerra!
Nel filmato invece, scontato il tributo alle personalità politiche accorse nel corteo, protagonista è un popolo schietto e pulito di gente semplice e solidale. Emerge in primo piano il volto di una “società sana dentro una malata” come ebbe a definire Pasolini, che per altro ne riprodusse uno spezzone nel finale di un suo suggestivo film.
Il pellegrinaggio ininterrotto per tre giorni e notti davanti alla camera ardente e poi la folla immensa, commossa e silenziosa nella grande piazza di San Giovanni fissano un posto nella memoria storica, se non altro per misurare l’abissale differenza con le forme odierne della comunicazione e dell’azione politica, precipitate nel corso di una generazione o poco più!
Sul mezzo secolo di storia che vide Togliatti tra i protagonisti esiste un’importante letteratura (pregevole ad esempio la biografia di Giorgio Bocca) che tuttavia giace nelle biblioteche. Non sarebbe pertanto auspicabile che attuali commentatori ed opinionisti, ultimamente attratti da superficiali e capziosi richiami sia a Gramsci che a Berlinguer, non ignorassero il tramite essenziale, politico ed intellettuale, tra l’uno e l’altro?
Togliatti provò ad esprimere, in un saggio pubblicato dopo la scomparsa del suo maggior competitore e altrettanto eminente leader politico e uomo di Stato, “un giudizio equanime su Alcide De Gasperi”. Sarebbe giusto riservargli, nel sessantesimo della morte, un uguale trattamento!
Valentino Ballabio