16 luglio 2024

“LETTERINA A BABBO SALA”

Anche se non è Natale


sala (16)

In una ipotetica lettera al sindaco, a ridosso dell’autunno e dell’ultimo tratto del suo percorso d’amministratore, chiederei che cosa lui intenda per Modello Milano. Non che non lo abbia spiegato, illustrando le “eccellenze” raggiunte, quanto ad esempio Milano sia un poco più vicina a New York, a Parigi, a Berlino, le grandi “capitali”. 

Forse solo io non ho capito bene, ma può essere anche che per i cambiamenti passati e per quelli attesi per un futuro prossimo (il mandato del sindaco scade tra due anni) il Modello Milano abbia meritato e meriti qualche aggiornamento, magari alla luce di proteste e suggerimenti da parte dei cittadini, che in una condizione di democrazia e di trasparenza avrebbero pure il diritto di venire ascoltati, per l’onestà che li anima. Alla vista non lontana di elezioni, servirebbe.

Una volta Lucio Dalla cantava: “Milano vicina all’Europa/ Milano che banche, che cambi/ Milano gambe aperte/ Milano che ride e si diverte…”. Fin qui ci siamo. Anche Dalla, solo potesse, dovrebbe però aggiornarsi…

Dunque: “Signor sindaco Sala, mi spieghi per cortesia di che tempra sarà ancora il suo Modello Milano”.

Provo qui, per esercizio, ad anticipare sotto forma di un elenco di esempi: Milano grandi eventi, Milano fiere, mostre, settimane e “week della moda” o “week del design” e non so che cosa d’altro; Milano dei lucchettoni per aprire le porte degli airbnb lungo gli itinerari dei trolley trascinati da incuranti turisti in braghe corte; Milano dei trenta quaranta concerti (Vasco Rossi li vorrebbe tutto l’anno) a San Siro (valgono milioni di milioni ci dicono le gazzette: in tasca a chi non mi è  chiaro), la città delle tendopoli perché canta Taylor Swift. 

Milano dei grattacieli, di Coima e di Hines e di immobiliaristi di varia natura, ma anche dei marciapiedi ridotti a mense rifornite dai fornetti a microonde, nobilitati nel francese dehors; la città dei monopattini accatastati alla rinfusa, quando non tentano di travolgerti se non fai largo,  e delle piste ciclabili che pagano anch’esse un tributo alla differenza di classe (per intenderci vedi Monte Rosa e poi vedi via Novara), eccetera eccetera.

Sommando un caso all’altro potrebbe risultare questo, oggi e domani,  il Modello Milano, un po’ Disneyland un po’ City un po’ nobilitata speculazione?

Se è così, se non sono troppo distante dal vero, se lungo la stessa strada sarà giusto continuare, basta saperlo. Non ti va bene? Non trovi casa? Devi pagare un affitto che ti mangia lo stipendio? Devi muoverti tra una moltitudine ciondolante? Devi goderti i rifiuti abbandonati dal popolo dei concerti (comprese le umane deiezioni)? Una alternativa c’è: potrai sempre emigrare.  

Non sta più nelle nostre possibilità sovvertire quanto non ci è piaciuto del Modello Milano, magari correggerlo per l’avvenire sì e forse lo è anche nelle disponibilità dell’amministrazione, per completarlo e arricchirlo, con la testa rivolta però al benessere dei cittadini.

Ricordo le polemiche che accompagnarono la decisione di abbattere alcuni padiglioni “storici” della vecchia Campionaria, anche per il loro valore architettonico, come quello della Meccanica di Melchiorre Bega. La demolizione non si fermò e nacquero la nuova fiera e i grattacieli di Citylife (confesso che Citylife è una delle mie mete e che mi piace vedere stuoli di ragazzi che studiano ai tavolini della galleria al primo piano, comodo spazio per utenti non paganti).

Però continuo a chiedermi: si poteva  agire in modo diverso? Si poteva immaginare una architettura diversa e magari affidarsi al riuso dell’esistente? Forse sì, ma ci spiegarono, dai giorni di Albertini in poi,  che così, di grattacielo in grattacielo, saremmo stati al passo con i tempi e che la città sarebbe diventata “attrattiva”, un aggettivo che mi pare orrendo ma che gira con insistenza, pronto all’uso per giustificare qualsiasi impresa.

Nel mito della “attrattività” mi sembra appunto che si sia tornati all’epoca del mattone e del rito ambrosiano, abbellito, impreziosito, studiato, tecnologico, avveniristico, con una profusione di pareti a specchio, milioni di metri cubi, edulcorati dalla presenza del cosiddetto housing sociale (una volta erano le “case popolari”). Quando appunto Milano attrattiva lo è, più che per i turisti, per le grandi immobiliari, che trovano facili varchi grazie a una legislazione di cui non è certo responsabile il sindaco Sala, se, per fare un esempio, con una semplice Scia, segnalazione certificata di inizio attività, si può costruire un palazzone sul terreno liberato da una modesta officina.

Affidando al sindaco il mio quesito (e al PTG, piano del governo del territorio, che molte risposte potrebbe fornire), vado a qualcosa di molto più vicino e concreto e modesto, a portata di mano.

Cominciamo dalle erbacce che prosperano un po’ ovunque tra il cemento e le fratture del cemento. Continuiamo con le buche. Proseguiamo con i cestelli dell’immondizia che traboccano… Siamo a piccole cose, oggetto di costante critica dei cittadini, ma la manutenzione è fondamentale per qualsiasi sistema urbano (e magari pure per la politica, perché poi ci si deve accorgere che sono proprio le erbacce e le buche a indirizzare il voto degli elettori).

Manutenzione può essere anche recupero e ridisegno di quelle zone “in mezzo”, tra le ultime case delle periferia, lontane ancora dalla campagna, zone infestate da capannoni, da discariche, da macerie di ogni genere, auto o biciclette abbandonate, da un’invadente vegetazione spontanea, attraversate da viottoli o polverosi o fangosi (che potrebbero diventare piste ciclabili utili a connettere interno ed esterno della città). 

Manutenzione può aiutare a rivitalizzare campi di una agricoltura semi abbandonata: esistono ed esistono pure piani, inascoltati, per ridar vita a coltivazioni preziose (peraltro salvando storiche cascine, che potrebbero diventare sedi d’amministrazione di nuovi parchi, centri di formazione e di lavoro). 

Manutenzione potrebbe pure significare progettazione di luoghi della città, tipo crocicchi autostradali, perché diventino piazze ospitali, dove potersi liberare dalla continua, ossessiva invadenza delle auto (anche là dove sono state verniciate indifese piste ciclabili) e persino, con un po’ di azzardo, censimento di edifici abbandonati, ai quali potrebbe essere restituita utilità…

La pianificazione, e qui torniamo al nascituro Piano di governo del territorio, dovrebbe oggi darsi una priorità: indicare quanto serve al cittadino. Il “verde pubblico” non può essere una macchiolina di risulta tra un grattacielo e un centro commerciale. Forse si dovrebbe invertire la rotta: prima il verde, poi il centro commerciale, quando serve. 

Prima individuare i servizi necessari (come quelli più “temuti”, una ricicleria come un qualsiasi deposito di auto sequestrate), poi indicarne la destinazione, rispettando un principio di equilibrio, non la logica del vuoto da riempire ovunque sia. Viene in mente lo zoning del razionalismo novecentesco. E’ una vicenda, che, nel metodo, tocca i nuovi impianti e i nuovi caseggiati per ospitare le Olimpiadi: mi auguro si sappia con certezza che farne il giorno dopo la cerimonia di chiusura, dopo averne ben calcolato l’impatto.

Il Modello Milano lo si dovrebbe riconoscere anche nella storia di un territorio e quindi di una città che si è espansa aggregando i comuni che le stavano attorno, borghi agricoli le cui tracce si vedono ancora, nelle chiese, nei vecchi edifici, nello cultura identitaria di chi li popola. Forse nella modernità della metropoli l’antico policentrismo avrebbe una ragione e costituirebbe una risorsa e una ricchezza.

Non so se questo banalissimo e disordinato libro dei desideri possa essere compreso nel Modello Milano. Siamo sempre lì, però, allo stesso quesito: per chi vive e cresce la città?

Oreste Pivetta

Copia di copertina 6 (1)



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  1. Cesare MocchiL' ultima del Nostro è che l' intitolazione di Malpensa a Berlusconi è stata fatta "troppo in fretta". Quindi se ci si metteva un annetto... a lui andava bene? Se a questo punto riesce a spiegarci le differenze fra lui e Albertini, lo ringrazio (temo però che la risposta sia: nessuna)
    17 luglio 2024 • 18:50Rispondi
  2. Giuliana PinnaMilano diventa sempre più sporca: strade periferiche che non vengono pulite regolarmente, ascensori della metro a Cadorna , stazione centrale .... che che puzzano di pipi con lo sporco ormai incrostato.
    18 luglio 2024 • 10:51Rispondi
  3. Sebastiano VenierA proposito di rifiuti, dal 2014 a oggi hanno chiuso le riciclerie di Via Triboniano (Musocco) e quella di Viale Troya (già sostituita da un palazzo in costruzione). Quindi Milano Ovest non è servita da riciclerie. Inoltre hanno tolto i cestini dai marciapiedi col risultato che quelli rimasti traboccano e addirittura si rivedono i rifiuti abbandonati in giro (abito in zona Piazzale Lotto) Infine, comica la vicenda degli sfalci ridotti pro biodiversità. Se l'avessero chiamata "non abbiamo soldi per il verde" l'avrei accettata,forse. Perché è da un po' che la pulizia strade sta peggiorando. In zona Ippodromo-QT8 le foglie cadute in autunno dei platani non vengono raccolte anche per un anno.
    16 agosto 2024 • 18:48Rispondi
  4. Andrea VitaliSala = Biden. Quand'è che si renderà conto che il suo momento è passato e che oramai è ora di farsi da parte?
    25 agosto 2024 • 08:28Rispondi
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