16 luglio 2024
GIN E DOMPE, I NUOVI CULT DELLA MOVIDA MILANESE
"Poveri", Chef e Caporali: ecco chi sono i protagonisti delle serate del lusso
16 luglio 2024
"Poveri", Chef e Caporali: ecco chi sono i protagonisti delle serate del lusso
La scelta del tavolo è fondamentale: ci si accomoda per essere visti e per vedere chi c’è nel locale, questa la regola di lussuosa spossatezza dettata da Truman Capote nel suo dissacrante La côte Basque: “I clienti preferiti, selezionati dal proprietario con infallibile snobismo, venivano fatti accomodare nell’atrio bordato di divanetti -come è d’uso in tutti i ristoranti di New York solidamente chic: Lafayette, The Colony, La Grenouille, La Caravelle. Questi tavoli, sempre i più vicini alla porta, sono pieni di correnti, permettono ben poca privacy, ma sedersi o no a uno di essi è il momento della verità per qualsiasi cittadino che tenga al proprio prestigio.”.
Oggi però i social hanno cambiato questa regola, e più che la posizione del tavolo che si occupa al ristorante contano i follower e l’indicizzazione sul web: l’importante è esserci, e filmare, e postare.
Così fan tutti e l’instagrammazione del cibo è diventata un rito collettivo a cui partecipano chef, giornalisti, influencer e gourmet. Ristoranti e locali alla moda, più che luoghi del gusto, devono essere luogo del lusso e dello sfarzo.
Per avere prestigio non più sociale bensì social è d’obbligo la frequentazione assidua, ovviamente certificata dai post, dei soli locali di tendenza che hanno tutti denominatori comuni: prezzi (non è detto scontrini) ben al di sopra di qualche migliaia di euro a testa, con bere a parte, e una durata media di sei, nove mesi (molto meno del tempo richiesto per l’apertura).
A Milano non è certo difficile produrre esempi di questo trend.
Si può partire dalla ristorazione classica che stupisce ormai, più che per la qualità delle materie prime della tradizione oggi sempre più rare e impagabili, per i prezzi ai quali vengono proposti piatti con materie prime da cucina domestica ed economica: 34 euro per consumare un risotto con piselli, robiola, capperi. Oppure quasi 7 euro per potersi postare sui social con l’irrinunciabile e fotogenico croissant a forma di cubo.
Ma il punto più alto del “tenere al proprio prestigio” è messo in scena nei locali dove si beve, con vini e liquori proposti a prezzi di gioielleria del centro.
Uno dei maggiori successi anche social è senza dubbio la “Gintoneria” di Davide Lacerenza (“Vergine, Single e Milionario” titolo della sua autobiografia in libreria), un piccolo locale di 70 mq e tre milioni di fatturato dove vengono abitualmente stappate bottiglie di “Dompe” (se hai i soldi puoi abbreviare e dare del tu anche al Dom Perignon) non “da poveri”, come viene urlato in tono insopportabilmente dispregiativo sul social cinese TikTok da alcuni clienti, inspiegabili e improbabili “influencer” del nuovo trend dell’italico cafonalfood, cibo cafone.
Se al di fuori del locale di Lacerenza (“25 K al mese me li bevo sempre, li guadagno, prima non potevo, facevo i mercati” afferma con orgoglio in una intervista social) non manca mai di parcheggiare, o meglio ostentare la sua Ferrari 296, all’interno si stappano abitualmente bottiglie di valore come il Krug Clos d’Ambonnay ’95 offerto a 6mila euro o il Petrus 2017 Pomerol AOC a 7mila, tanto che a fine serata il conto medio si attesta spesso sopra i cinquemila euro.
Milano si rinnova continuamente con sempre nuovi trend, rapidi e frenetici, che fanno la fortuna di vie e quartieri come NoLo, Via Melzo, Citylife, Navigli. La velocità è tale che in pochi ricordano gli scandali culinari dei pizzagate milanesi (Carlo Cracco in Galleria con la sua pizza focaccia a 23 euro e Fabio Briatore con la famosa pizza al Patanegra (70 euro).
Anche la moda da qualche tempo è entrata nel mondo del cafonalfood portando non qualità e selezione delle materie prime, ma lusso ostentato a prezzi nonsense. Dall’ormai famoso pandoro industriale ma griffato (sanzionato dal Codacons con una multa di oltre 1 milione di euro), al food natalizio (panettoni, torroni e dolci vari ammantati da sfarzoso glamour), al recente gelato col brand di una storica casa di moda.
Il mondo dello spettacolo è parte di questo promettente business: vini, dolci e alcolici sono i preferiti da cantanti e conduttori televisivi (da Sting ad Al Bano e Bruno Vespa). Così dilaga l’ostentazione del lusso, un sovranismo alimentare che riguarda principalmente l’apparire vincenti, poco il guadagno (questi prodotti risultano spesso invenduti), e pochissimo la qualità e il rispetto del lavoro agricolo (il cibo è e resta un atto agricolo).
Se non è facile ricercare le motivazioni che spingono il popolo della notte composto da categorie eterogenee: calciatori, giovani arricchiti, influencer, giornalisti, soubrette social e televisive in questa tendenza del cafonalfood, più agevole è mettere in evidenza alcuni aspetti oscuri dell’agroalimentare nazionale che è il punto di partenza anche del cibo cafone.
A partire dalle campagne e dal fenomeno, inaccettabile e tristemente noto, del caporalato. Fenomeno che non riguarda solo il Sud Italia e i prodotti agricoli di basso costo (commodities come frutta e pomodori) ma anche la raccolta di uve d’eccellenza dalle quali si ottengono vini pregiati come Barolo e Barbaresco la cui vendemmia sulle colline delle Langhe avviene, anche, grazie a cooperative agricole prive di terre, specializzate nella fornitura di braccianti assoldati per pochi euro a giornata e, ovviamente, senza alcun tipo di contrattualità.
Si può proseguire con la presenza nel mondo del food della malavita organizzata ben presente nella ristorazione milanese. Bar e ristoranti risultano realtà imprenditoriali ideali per il riciclo di denaro e il reinvestimento dei proventi illeciti (un ristorante su cinque sembra avere rapporti più o meno stretti con le organizzazioni criminali presenti sul territorio, a tal punto che Regione Lombardia è posizionata al quarto posto nel Paese per beni sequestrati e confiscati a queste organizzazioni).
Infine non si possono dimenticare chef e bartender, protagonisti indiscussi del palcoscenico della ristorazione (non più le cucine ma TV e canali social).
Lo scorso anno si è molto parlato dell’imminente apertura, solo annunciata, in piazza San Babila a Milano di una delle lussuose steak house internazionali di Chef Nusret, conosciuto come Salt Bae (da “mettere sulla bistecca il sale -Salt- prima di chiunque altro – Before Anyone Else”), famoso per il suo particolare modo di insaporire la carne, con il sale che dal gomito rimbalza sulla bistecca. Nei locali della star dai video virali un hamburger costa 40 euro e un carré di agnello 237 euro.
Oltre agli stress psicofisici procurati da una costante ed eccessiva esposizione mediatica (e meglio non dire dello stress a cui sono soggette le brigate di cucina che prestano la loro opera con turnazioni pesantissime e mal retribuite), per gli chef, sempre più spesso, non c’è un rendimento economico appropriato. Da qualche tempo sono sempre di più le attività della ristorazione fortemente indebitate. Le cause di questa débâcle sono dovute a più cause concomitanti: dai canoni d’affitto decisamente stellari nei centri cittadini, agli elevati costi di gestione del personale, ai trend di mercato sempre più frenetici che portano a dimenticare location del food aperte solo da pochi mesi.
Nella recente storia della gastronomia stellata sono infatti sempre di più gli chef che hanno gettato il grembiule e il cappello da cuoco (Ferran Adrià nel 2011, René Redzepi, Atala e João Rodrigues nel 2023). Una tendenza negativa che riguarda non solo le stelle ma anche la ristorazione tradizionale: più della metà di bar e ristoranti chiude entro i cinque anni.
Oggi sedersi o no a uno dei tavoli dell’atrio bordato non rappresenta più il momento della verità per qualsiasi cittadino che tenga al proprio prestigio. Per farlo si beve Gin e Champagne dando loro del tu sui social.
Gin e Dompe sono i nuovi credo dei ricchi protagonisti del cafonalfood.
Marco Ceriani
Food Hero @granceriani