16 luglio 2024
Si è festeggiato e tanto a Parigi, sabato scorso, e due giorni prima a Londra. Cambia il vento in Europa? Forse, ma domenica mattina la sbornia era già passata e si affacciavano le prime nuvole. L’attentato a Trump ha cambiato in peggio il clima, avvelenandolo e rendendo più probabile la sconfitta dei democratici negli USA a novembre. Un quadro delicatissimo, dove luci ed ombre si sovrappongono senza consolidare una valutazione che non sia transitoria.
E’ vero in Francia la destra di Marie Le Pen non ha trionfato come nelle attese, fermata dalla grande mobilitazione popolare che nel giro di una settimana si è imposta sulle divisioni, i narcisismi ed i calcoli di bottega.
E’ vero, a Londra il vecchio Labour Party si è risvegliato dal coma profondo di questi ultimi 14 anni ed ha raccolto il più alto numero di seggi a memoria d’uomo nel Regno Unito.
Tutto vero, eppure il sentimento non pare univoco, specialmente in Francia dove la sconfitta della destra postfascista appare, si deve pur dire, più effetto delle eccessive attese della destra che dei fatti, o meglio ancora dei numeri su cui misurare il consenso.
Ed i numeri parlano chiaro, in una lingua che bisogna pure saper comprendere.
Il Rassemblement Nationale è l’unica forza che incrementa, e quanto, voti e seggi. Non Ensemble, lista elettorale che guarda a Macron, Neppure il Nouveau Front Populaire, dove se i socialisti riprendono fiato, Melenchon tuona ma non può nascondere che i seggi di France Insoumise sono passati da 76 a 78. In Gran Bretagna, il successo dei Laburisti va ben oltre i voti raccolti. Il sistema elettorale basato sui collegi uninominali “secchi” li ha premiati ben oltre il merito del loro 34%, mentre la somma dei voti dei Conservatori e di Farage supera il 40%. E’ paradossale, ma la divisione della destra in Gran Bretagna e la difficoltà, per ora dei centristi, di convergere a destra in Francia, hanno favorito la sinistra o un centro sinistra che ha fatto fronte comune.
Qui, pare trovarsi il nodo politico fondamentale da cogliere, sia per interpretare il significato del voto che per intravedere le prossime evoluzioni.
Se alla Camera dei Comuni, la maggioranza laburista è sufficiente per governare senza troppe preoccupazioni parlamentari, è pure vero che Starmer appare a molti troppo tiepido nella sua proposta di programma, mentre il malumore popolare trova anche in Farage il campione spregiudicato pronto a tutte le avventure.
Soprattutto a Parigi non esiste una maggioranza, anzi il parlamento è diviso in tre parti quasi eguali. Se le desistenze hanno bloccato la destra, non per questo hanno automaticamente generato un’intesa sul programma e sui valori tra i partiti “desistenti”, ad esclusione del collante antifascista che non è poco, ma non pare sufficiente per governare. Su diversi punti essenziali (pace, pensioni, green transition) le distanze tra destra macroniana e sinistra – sinistra paiono incolmabili. L’avventura di Macron per ora, se non si è risolta in un disastro, non ha risolto il problema dell’indirizzo politico in Francia, resta largamente incomprensibile e foriera di future e gravi crisi.
Oltralpe non sono abituati alle alchimie parlamentari di cui siamo maestri. Il rischio è che faticando a maturare un’intesa tra le forze “repubblicane”, e che l’ingovernabilità offra ragioni postume alla destra in cerca di una affermazione definitiva che potrebbe cogliere anche prima delle presidenziali del 2027. La Francia non se lo può permettere, l’Europa neppure e neanche noi in Italia.
Fin qui una qualche analisi che, pur sommaria, lascia intravedere giochi ancora irrisolti, e nella lettura più ottimistica sembra accreditare come unico scenario possibile (ma quanto davvero desiderabile?) una maggioranza “Ursula” anche in Francia, con tutte le differenze del caso.
Una soluzione politica che è anche un paradosso. Da un lato, la convergenza tra le forze socialiste-democratiche e del centro conservatore, che si riconoscono nel quadro di valori e nell’assetto istituzionale liberal democratico, pare il minore dei mali. Quasi un compromesso storico per fare fronte alla destra montante.
Dall’altro lato, non si può neppure negare che le forze conservatrici abbiano posto le basi con le politiche rigoriste ad una situazione di crescente sofferenza popolare, benzina principale del successo delle destre che la cavalcano con le parole d’ordine che sappiamo. Non vi sono garanzie perché questo equilibrio cambi. Superato lo choc del Covid, le generose politiche solidali sono andate in soffitta e torna in campo lo strumentario restrittivo del Patto di Stabilità.
Se questo quadro, certamente tirato con l’accetta, appare fondato, la sinistra si trova come presa tra Scilla e Cariddi: se si sottrae all’abbraccio con i conservatori, ne facilita lo slittamento a destra peraltro già in atto tra le righe, con il grave rischio di uno smottamento continentale.. Se invece resta a fianco delle forze conservatrici, finisce a fare il mestiere dello “junior partner” come è nei numeri e nel sentimento prevalente. Certo, potrebbe cavalcare il malcontento popolare, ma la sua credibilità al momento è residua e compromessa. C’è tutta una verginità da ritrovare
Resta sul campo la pur decisiva questione della pace e della guerra, terreno dove la divisione politica non segue il crinale destra – sinistra, ma taglia ben dentro i due mondi e se si vuole anche quelli a margine.
Assistiamo in Italia alla crescente divaricazione tra FDI e Lega, mentre Forza Italia sembra aver trovato le risorse per non seguire il capo nella sua vicenda terrena. Un quadro di grande confusione e complessità, anche se Schlein in questo momento pare godere di una marcia in più. L’eventuale vittoria di Trump sposterebbe gli equilibri geopolitici ed anche a sinistra bisognerà stare attenti a non restare con il cerino in mano.
Qualcuno diceva “come ti muovi sbagli” e forse mai come in questa occasione servono al tempo stesso visione, realismo e coraggio.
Giuseppe Ucciero