16 luglio 2024

PRIVATIZZARE LE FERROVIE?

Una scelta delicata per il Ministro 


sala (9)

Il governo sembra abbia bisogno di soldi, la prossima legge finanziaria si presenta comunque in salita, nonostante le previsioni ottimistiche (come al solito), un quadro internazionale perturbato, e con gli impatti del PNRR che si allontanano nel tempo, aumentando le incertezze. La fretta di reperire risorse non è lo scenario più propizio a scelte delicate come sono le privatizzazioni.

Per il settore dei trasporti sono stati citate recentemente sul CdS le ferrovie (che costano alle casse pubbliche più di 10 miliardi all’anno). I criteri dominanti per privatizzare con successo sono, in estrema sintesi, l’esistenza di mercati concorrenziali, e le prospettive di innovazioni tecnologiche.

Nel caso esistano obiettivi sociali, o vi siano situazioni di “monopolio naturale”, come per le infrastrutture, la condizione è che ci siano regolatori pubblici efficaci che tutelino utenti e contribuenti. Nei trasporti si sono avute alcune privatizzazioni con pessimi risultati, come nel settore autostradale (alti costi per gli utenti, e gravi problemi di controllo della manutenzione), ma al contrario anche gestioni pubbliche catastrofiche, come nel caso di Alitalia. 

Si sono avuti tuttavia anche successi, forse meno noti: in particolare con l’apertura ai privati dei servizi ferroviari merci e soprattutto nell’Alta Velocità, con grandi benefici per gli utenti, ma anche i servizi aerei e quelli di autobus di lunga distanza hanno visto la creazione di mercati concorrenziali. I successi fanno fatica ad essere colti dagli utenti, perché è difficile confrontarli con situazioni ipotetiche del mantenimento di monopoli (tipico è il caso dei servizi telefonici).

In Europa i successi più rilevanti sono, oltre che i servizi aerei e quelli ferroviari merci, i servizi locali per i passeggeri, sia su gomma che su ferro. La liberalizzazione per i passeggeri di lunga distanza è in corso, e le ferrovie italiane sembrano giocare un qualche ruolo. Un problema a scala europea tuttavia è quello delle “liberalizzazione asimmetriche”: a volte si proteggono le imprese nazionali mentre si auspica la concorrenza per altri.

Ma vediamo l’ipotesi di privatizzazione che sembra favorita dal ministro Giorgetti: collocare in borsa una quota di minoranza della società FSI, oggi interamente pubblica.

L’ipotesi sembra da sconsigliare: FSI, come abbiamo visto, riceve dallo Stato per investimenti e servizi più di 10 miliardi all’anno, cioè più dei propri ricavi dagli utenti, ed è monopolista o “impresa dominante” in comparti essenziali. Investitori privati richiederebbero giustamente livelli di rischio e di remunerazione ragionevoli, cioè garanzie non solo del mantenimento del livello attuale dei sussidi, ma anche dell’attuale grado di monopolio della società. Entrambi fattori essenziali per gli attuali “profitti” di FSI (che ovviamente in realtà tali non sono). 

Il rischio che una attività, condotta da sempre in condizioni monopolio sussidiato, non regga anche un contesto concorrenziale è elevato, e non è conoscibile dagli investitori. Se lo Stato accettasse queste richieste in cambio dell’alienazione di una quota della società, si avrebbero due conseguenze negative: la spinta a non favorire in alcun modo le istanze europee di liberalizzazione (con danno per gli utenti e i contribuenti, e per l’efficientizzazione della società), e di fatto profitti garantiti ai privati pagati dallo Stato. Uno scambio tra soldi subito e futuri costi, tipico di privatizzazioni frettolose. 

La via da seguire è quella che ha già visto rilevanti successi nazionali e internazionali: alienare i servizi in cui il mercato già funziona bene, in Italia e in Europa, e che non presentano obiettivi sociali di rilievo. Questa scelta può dare benefici più estesi della semplice redditività finanziaria: infatti la presenza di un soggetto pubblico in un mercato concorrenziale lo altera profondamente. 

Nei servizi di Alta Velocità ed in quelli del trasporto merci abbiamo un attore pubblico che non può fallire, è integrato verticalmente con l’infrastruttura ferroviaria (appartengono tutti e due allo Stato), e a cui la sua natura pubblica garantisce un costo del denaro inferiore a quello dei suoi concorrenti. Non certo un contesto realmente competitivo. 

Le valenze sociali di questi due servizi sono inoltre pressoché inesistenti.

C’è da considerare infine il settore dei servizi regionali. Qui le valenze sociali sono più rilevanti (la mobilità dei pendolari per ragioni di studio e di lavoro, per cui le tariffe sono fortemente sussidiate) e richiede una valutazione più attenta ma l’esempio della Germania, dove l’avvento di operatori privati con un sistema di gare ha ridotto i costi per l’erario a parità di servizi e di tariffe, può essere un ottimo esempio da seguire.

Infine la crescita europea di contesti competitivi spinge alla creazione di attori che si muovano sempre più con logiche di mercato. Ci sono segnali di soggetti anche italiani che sembrano voler entrare nel trasporto passeggeri (Arena), e la recente acquisizione di Italo da parte del colosso Aponte – MSC fa pensare a un settore in rapida e positiva evoluzione. Meglio agire cavalcando questa tendenza che tentare una battaglia protezionistica e perdente di retroguardia. 

Marco Ponti  

BRTonlus 

Copia di copertina 6 (1)



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