16 luglio 2024
GIANNA CASIRAGHI IL 24 GIUGNO 2022 COMPIE 90 ANNI
Una storia dalla periferia milanese
16 luglio 2024
Una storia dalla periferia milanese
Mi chiama Fabio, il figlio di Gianna Casiraghi. Mi dice che Gianna è morta.
Per la festa del suo compleanno due anni fa ho scritto il racconto della sua storia, come l’ho ascoltato dalle sue parole.
È nata nel Calvairate, non è mai stata volentieri lontana dal suo quartiere, quando era via è sempre stata contenta di tornarci, lei è sempre stata bene nel Calvairate. Oltre trent’anni fa, con lei, con altre inquiline, io, inquilina del Calvairate, ho messo su il Comitato degli Inquilini Molise-Calvairate-Ponti, tre quartieri di case popolari, 3000 alloggi, nella zona sud est di Milano, dalle parti dell’Ortomercato.
Con il Comitato Gianna ha svolto il suo impegno con passione, per sempre, senza orari, ogni giorno, lei è stata l’anima di questa esperienza di impegno per la Città, insieme con altre inquiline, con altri inquilini. E’ successo una volta che nel suo caseggiato privo di servizio di custodia, come tanti altri caseggiati, nella zona e nella città, per irresponsabile decisione istituzionale e per indifferenza dei dirigenti sindacali, un truffatore si è presentato a suonare alle porte della sua scala, e lei ha gridato nel cortile per avvertire le vicine, lo ha affrontato, lo ha smascherato, ne ha reso possibile l’arresto.
Così il 19 maggio 2007 è stata insignita del Diploma d’Onore al Coraggio Civico, che porta la firma del Questore di Milano, e altre firme. Il diploma è appeso a una parete della sua cucina, che è anche tinello e camera da letto.
Sono stata da lei la mattina di mercoledì 8 giugno 2022. Eravamo d‘accordo da tanto tempo che sarei andata ad ascoltarla, e che poi sarei tornata da lei altre volte, fino a che avesse terminato il suo racconto. Ora che compie 90 anni non possiamo più rinviare.
Ci sediamo al tavolo della cucina. Gianna, il suo bel volto, la sua figura, esile da un po’ di tempo. Ha fra le mani alcuni vecchi libretti intestati a sua madre, e mi parla subito di lei. Guardo la foto e vedo la donna tenace, forte, combattiva che è stata. Non aveva paura di niente e di nessuno. Era una giusta, una donna giusta. Sempre disponibile per tutti, oltre alla famiglia. Venivano, chiedevano, e lei aiutava, come ha fatto in tempo di guerra. Lei era cuoca del Macello e tutte le sere portava a casa due borsoni, uno con un pezzo di carbone antracite, e l’altro con gli avanzi della mensa, minestrone, sanguinacci, latte, e c’era tutto questo per noi ma anche per gli altri. Io l’ho amata tanto. Per me era insostituibile, invece è morta a 67 anni.
Me la ricordo il giorno che per la prima volta ha visto il mare, perché io e mia sorella gemella, e anche l’altra sorella, escluso mio fratello che per nostra madre non ha mai fatto niente, le abbiamo fatto una sorpresa, l’abbiamo portata a Varazze. Aveva 58 anni. E’ rimasta a bocca aperta nel vedere questa estensione del mare che non finiva mai. Quando per la prima volta ha messo i piedi nell’acqua, si è bagnata una mano, l’ha portata alla bocca e ha detto: com’è salata. La sua espressione era gioiosa.
Noi lavoravamo e mettevamo via i soldi per portarla al mare. Lei era del 1891, la vacanza è stata nel 1949. Venti centesimi, venti, che mi davano di mancia, trenta centesimi, portavo a casa la settimana, andavo a lavorare dai cinesi a fare le borsette, finita la guerra, avevo 13 anni nel 1945. A 14 anni con mia sorella andavamo in un laboratorio di cinesi in via Canonica, le clavatte, per portare a casa qualcosa. Dopo un anno, un anno e mezzo, mia mamma m’ha detto, prendo quei soldi che avete messo via e facciamo i materassi.
I materassi, così avevamo finito di dormire sui materassi di crine. Mia mamma a scuola aveva fatto la Settima, non solo la Quinta e la Sesta. Quello che mi ricordo è che dove abitavo, dove io abito ancora, c’era un’infinità di bambini. Nel cortile quando si giocava c’erano più di 100 fra bambini e ragazzi, la custode ci teneva a bada tutti, la signora Pina. Io e mia sorella eravamo ribelli, picchiavamo perché ci prendevano in giro perché eravamo figlie di n.n.: e tu il papà non ce l’hai, io ce l’ho, tu sei figlia di n.n.
Le mamme alla sera quando arrivava mia mamma venivano a raccontare che avevamo picchiato i loro figli e lei senza sentir ragione ce le dava. Ricordo che era un pomeriggio che c’era la stufa, ci ha preso una di qua e una di là sulle gambe e ha voluto sapere perché ci comportavamo così male. E noi le abbiamo detto, perché ci fanno il verso, perché siamo figlie di n.n. E lei ci ha detto, ricordatevi bene che se voi siete qui è perché io vi ho volute. Non vergognatevi mai. E quando i bambini vi fanno il verso voi dovete rispondere, noi siamo le figlie dell’amore. Era intelligente mia mamma, non nascondeva niente, io me la ricordo che era una donna che fumava, leggeva l’Unità tutti i giorni e quando non aveva più niente da leggere leggeva i necrologi. Siamo state felici anche quando ero ragazza, io non ho mai nascosto niente perché ci aveva insegnato lei a non nascondere.
Se dovessi ritornare indietro rifarei tutto quanto ho fatto.
Sono stata felice. Il primo televisore, il primo telefono, ho messo via i soldi, sono stata la prima. Con mia sorella compravamo tutto quello che c’era di bello per lei. Quando è arrivata la TV venivano i vicini con le sedie. La nostra casa è sempre stata piena di gente. Ecco perché non cambierei niente. Ho sposato un uomo che non l’ho mai visto arrabbiato, come il Fabio, nostro figlio, mai. Tu non potevi litigare con lui. Fabio, lo stesso, mai arrabbiato. Lavorava nelle installazioni di riscaldamento.
La politica mi ha tradita. Di quello che mi ha insegnato mia madre non si è avverato niente. Gli scioperi, le battaglie per il miglioramento degli operai, tutto questo non c’è più stato. Non c’è stato più battaglie per gli operai. Non c’è giustificazione.
C’è stato il Pool Mani Pulite, hanno rubato, rubano. Non c’è più un ideale. Significava tutto. Si andava a vendere l’Unità casa per casa. Partecipavamo alle Feste del Partito e del Fronte della Gioventù, la FGCI, la Federazione Giovanile Comunista Italiana. Ora non c’è più niente. La vita era conoscersi, aiutarsi. Io vado a fare la spesa per l’uno o per l’altro, sono milanesi, meridionali. Con gli stranieri c’è poca collaborazione, stanno per sé e sono bugiardi. Abbiamo la banda del Calvairate.
Sul tavolo c’è una pila di numeri de “Il Giorno”, dal 30 maggio ai primi di giugno. “Gang di Calvairate in trasferta a Rimini. Raid al minimarket e rapine: in manette tre ventenni marocchini che vivono tra via Tommei e Ponte Lambro”.
Mi sono sposata qui. Ci hanno dato un monolocale in Tommei 8. Poi ho fatto il cambio e ho avuto tre locali al secondo piano in questa scala. Poi sono tornata qui a piano terra dove prima vivevamo con mia madre. Tutti i lavori li ho fatti con la mia liquidazione, pavimenti, serramenti, cucinotto e bagno. Mia sorella Pina aveva 19 anni più di me, dormiva di là nel letto matrimoniale con nostra madre, e in mezzo la mia sorella gemella, io sul divano e Dario nel lettino. Il padre di Pina è il padre di mio fratello Lino. Poi mio fratello nel ’46, ’47 si è sposato. Con la guerra, una settimana sì e una settimana no avevamo la Wehrmacht in casa e i fascisti a cercare mio fratello, perquisivano la casa, il giardino. Ci chiedevano, tu, quando hai visto tuo fratello? No, io e mia sorella dicevamo no.
Durante i bombardamenti andavamo su al quarto piano a vedere passare gli aeroplani, e poi scendevamo in cantina, dove avevano costruito i rifugi. Si stava in piedi, eravamo in tanti.
Con la fine della guerra abbiamo avuto il Partito, la sezione Ricotti. Quando è finita la guerra c’è stata un’allegria, un’euforia, nei cortili si ballava, noi piccoli stavamo sulle scale. Ho fatto il libretto a 14 anni. Dario andava con la Carla Fracci, che abitava in Tommei 2, al cinema Odeon con una padella e vendeva le caramelle, vestito con un costume. Dovevamo arrangiarci, essere svegli. Mia madre ha sempre avuto l’idea che noi dovevamo fare un mestiere da operai, ma non pesante, artistico, diciamo, non so come spiegarmi, esempio, io, in una fabbrica di porcellana, la Mediolanum, la mia gemella, orafa, Dario, litografia, Lino, motorista, motoscafista, aviere scelto. L’8 settembre era qui in missione e c’è rimasto come disertore.
Mia madre è morta nel ’59 e io ho lavorato fino al ’60, quando mi sono sposata. Dato che dovevo prendere un treno mattina e sera per la Brianza, sono andata a lavorare al mercato dei pesci in via Marco Bruto, in piazza Ovidio.
Nelle case popolari c’erano le regole rispettate, si stava benissimo. Anche lo IACP aveva i suoi operai, se ti si rompeva una tapparella veniva l’operaio a aggiustartela. Per la manutenzione dovevi pagare un tapparellista, ma se non avevi i soldi tenevi la tapparella giù, chiusa. Quando avevi i soldi te la cambiavi. D’un tratto, nello IACP, basta operai, basta manutenzione.
Oggi, la prepotenza degli arabi, il menefreghismo, il non rispetto, gli zingari che vivono nelle case popolari. Piero ha messo le tende nuove e quello di sopra viene fuori a fumare, butta la cenere sulle tende e le brucia, e non puoi dire niente. In Tommei 4 non c’è il custode, hanno messo fuori il Regolamento, uno dei nostri ha strappato tutto, faceva la voce grossa. Sono i ragazzi che sono venuti su senza famiglia, a 18 anni prendono l’assegno, hanno i soldi in tasca e fanno tutto quello che vogliono. Mentre prima il bambino aveva dietro la famiglia, ora fanno i branchi, gli zingari, i rumeni. Se c’era in cortile un bambino fuori dell’orario, la custode interveniva, ora portano giù le sedie, fanno zoccolo, sporcano.
E’ bello essere giù a chiacchierare, ma noi abbiamo rispettato il regolamento e non lo facevamo e non lo facciamo. Il bambino non gioca più perché ha il telefonino, lo vedi che gioca col cellulare. Io gli faccio, ohi, e lui si spaventa, perché è assorto nel suo gioco, e poi sta nel branco, e fanno danni. Non c’è più il gioco in gruppo.
Il Comitato è stato una rivelazione. Vedevi il degrado avanzare e capivi che non potevi fare niente. Un giorno al mercato una signora Caffa invita a una riunione in Via Calvairate 3. Io e mia sorella, subito! Proviamo a muoverci insieme, proviamo a far valere i nostri diritti, non avere solo doveri. Un vicino che non pagava da sei mesi, se non provvedeva a pagare, subito interveniva l’avvocato. Ora gli abusivi non pagano neanche una lira, ci ruga le balle. Quando c’era il Comitato c’erano relazioni con gli stranieri, ora si sono distaccati tutti.
Con il Comitato partecipavamo, è stata un’esperienza bellissima. Per vent’anni abbiamo fatto la nostra riunione di inquilini ogni 15 giorni, alle ore 15.30, 16, per dar modo di partecipare alle mamme che andavano a prendere a scuola i bambini. Potevano partecipare tutti. Il nostro Comitato di inquilini l’abbiamo diretto noi, soprattutto noi inquiline partecipavamo più numerose, e la sede del Comitato era casa nostra. Quando tu ce la facevi, Franca, tenevi la riunione anche la sera alle 21, così venivano quelli che tornavano dal lavoro. Quando è successo che sei entrata in un periodo di stanchezza, non abbiamo trovato chi prendeva il tuo posto nel tenere la riunione, così è terminata la lunga storia delle nostre riunioni ogni 15 giorni.
Con il Comitato abbiamo vissuto una storia bella, eravamo forti e stavamo bene insieme, pensavamo a trovare i rimedi per le difficoltà. Roberto ha messo su il Doposcuola, i ragazzi erano seguiti, imparavano, e alla fine dell’anno la scuola non li bocciava. Ricordo una grande assemblea del Doposcuola nel salone della Biblioteca Calvairate, tutte le sedie erano occupate dalle mamme, italiane, straniere, e ce n’erano in piedi, c’era anche don Paolo Steffano.
Ho fra le mani il quadernone di Fabio, che Gianna conserva con cura. “Fagioli Fabio, classe III G, Milano. Anno Scol. 1970-71. Notizie sulla mia città e sul mio quartiere”. Lo conosco, l’ho considerato un documento di prima importanza nella storia di Fabio, della sua famiglia e del quartiere. La grafia è regolare, armoniosa, l’impostazione della pagina è ordinata, elegante.
Dagli anni Settanta ad oggi, quale scuola, quali quaderni, quali storie?
Prosegue il racconto di Gianna: Partivamo una squadra, noi del Comitato, noi inquiline, con te, la nostra inquilina presidente, e andavamo a incontrare Enzo Collio, il presidente dello IACP, e tutti i dirigenti. Siamo state ad Architettura, a contatto con gli studenti, ci avevano invitate durante un’occupazione, che sarà stata l’ultima occupazione degli studenti, quanti decenni fa. Andavamo a incontrare il Questore, il Prefetto, l’assessore. Tutto questo è la nostra storia, non c’è più.
E poi ogni mese facevamo la pizzata nel salone del Comitato, portavamo l’antipasto, facevamo arrivare la pizza, si ballava, raccoglievamo un contributo per il Comitato. Non c’era confusione, c’era serenità, c‘era allegria. Concetta, Angelina, Rosy, e tante altre e tanti altri, non ci sono più, le abbiamo nel nostro cuore.
Il bambino di 4 anni che nel cortile l’avevo ripreso e si era tirato giù i pantaloni e mi aveva mostrato il pisello ora è un delinquente. Un tempo c’erano i ligera, ladri e basta. Ora, spaccio, delinquenza. Non c’era la delinquenza, è arrivata con i meridionali. C’erano i ligera, mai con le armi.
Papa Kane, fuori dall’Oviesse, vendeva davanti al PAM. Tutte le sere gli portavo la cioccolata calda. I suoi figli studiano, uno è dottore in Inghilterra. Quando passavo mi salutava, non ha mai cercato niente. Una volta ho visto sul suo banchetto un piccolo quadro, ho detto, che bello. Mi ha detto, lo vuoi?, te lo regalo. Eccolo lì appeso.
Vedo il quadretto, è un paesaggio di campagna, armonioso, rasserena. Gianna mi porge due buste: dalla République du Sénégal. Sono indirizzate alla signora Casiraga Rosa. “La ringrazio mille per la sua generosità”. “Cara Rosa “ciocolato”. Mi scuse tanto per il mio silensio. Non è dovuto a dimenticanza. Contrario penso ogni giorno a te a la calda tassa di ciocolato a la tua simpatia a la tua compassione. La parola mi manca per ringraziati. Sey indimenticabile. Sia la mia intermediario verso tute les tue amiche, anche loro gentile e generose. Avete facilita la mia Vita a Milano. Grazie mille. Papa Kane.
Gli arabi sono enigmatici, non ti guardano mai in faccia.
Finita la guerra, mia mamma era devota della Madonna del Carmine, tutti gli anni andava a Bergamo, o a Affori. Va in quella chiesa, una volta, che il prete stava facendo la sua predica, alle 10.30, lei poi viene a casa. La settimana dopo viene sua sorella, e a un tratto dice: devo dirti una roba, domenica gh’era il prete che faseva la predica, tut un trat salta su na dona cun un fiulin in fianco, l’ha dî: lu l’è mei ch’el faga la predica, no pulitica in gesa. Che sfasada quéla donna lì.
E mia mamma ha risposto: Pensa, Angiuletta, quéla donna lì s’eri mi, e quel fiulin lì, l’era il Dario.
Auguri, Gianna!
Franca Caffa
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