16 luglio 2024
DELL’INUTILITÀ DEI MONUMENTI IN MEMORIA
Berlusconi, il passato si ripete
Il sindaco interviene in consiglio comunale e solennemente afferma: “Noi qui abbiamo una questione che si dice possa dividere la città e ferire i sentimenti e le memorie di una parte della cittadinanza”, si tratta infatti di scegliere come celebrare un politico scomparso che ha avuto un ruolo importante nella storia del paese ma il cui ricordo è molto divisivo e che viene assunto come simbolo negativo o positivo dagli schieramenti politici che si contendono il governo della città.
Sto parlando di Berlusconi? No, di Napoleone III imperatore dei francesi, siamo nel dicembre 1886, il sindaco è il moderato conservatore Gaetano Negri (1884-1889) e la vicenda si protrae da alcuni anni.
La celebrazione di un politico scomparso con l’intitolazione di una strada, una piazza un giardino, un monumento, un cippo, un qualsivoglia cosa di pubblico, con conseguenti polemiche e manifestazioni di insofferenza non inizia con l’affaire Berlusconi Malpensa ma ha radici molto lontane nella nostra città.
Quanto all’odonomastica ne parlammo già qui ma poiché le strade non sono sempre sufficienti a contenere la smania celebratoria perché ormai in centro città dove è prestigioso essere ricordati sono state intestate anche le aiuole per le deiezioni canine si è allargata ad auditorium, terrazze, palazzi, aeroporti, stazioni, campi di calcio etc. Era così anche più di un secolo fa.
Subito dopo la morte nel gennaio 1873 di Napoleone il piccolo, il Consiglio comunale di Milano ricordò “con profonda gratitudine che dopo la vittoria di Magenta, la Città nostra Lo accolse liberatore del dominio straniero” e la Perseveranza giornale moderato lanciò una sottoscrizione, subito seguita da altre testate, per erigere un monumento in suo ricordo, proposta fatta propria dal sindaco Bellinzaghi.
Altre testate Il Secolo (il più diffuso), La Voce del Popolo e il Gazzettino Rosa, progressiste lanciarono una contro campagna, per un monumento in onore dei caduti nella battaglia di Mentana, quando i soldati del succitato Napoleone, insieme ai mercenari pontifici, sconfissero i volontari di Garibaldi che lasciarono sul campo 120 difensori di Roma laica.
Il dibattito tra favorevoli e contrari al monumento napoleonico arrivò in parlamento e coinvolse tra gli oppositori molti ex garibaldini da Crispi a Nicotera a Bertani mentre tra i sottoscrittori filo napoleone si annoveravano alcuni italiani illustri Manzoni, Verdi, Minghetti, Fogazzaro.
Raccolte circa 180.000 lire una commissione comunale scelse uno scultore di certa fama al tempo, Luigi Barzaghi (autore a Milano anche del monumento a Manzoni), approvò un bozzetto di statua equestre e il consiglio comunale deliberò di sistemarla nei pressi di Villa Reale.
La statua in bronzo fu realizzata a Firenze in tempi rapidi e nel 1880 era tutto pront, anzi i giornali parigini parlarono di una cerimonia di inaugurazione che non si tenne mai, si decise però di utilizzarla per impreziosire uno dei padiglioni della Esposizione nazionale italiana del 1881 (maggio-novembre), la prima grande esposizione industriale che si potesse realmente definire nazionale con oltre 7000 espositori e un milione e mezzo di visitatori, fu quindi “provvisoriamente” collocata nel cortile del Palazzo del Senato dov’era uno dei padiglioni.
Nel frattempo, era andata in porto anche la sottoscrizione (35.000 lire) per il monumento ai caduti di Mentana opera di Luigi Belli, che fu inaugurato il 3 novembre 1880 alla presenza di Garibaldi accompagnato dal sindaco in quella che è oggi piazza Mentana. La cerimonia si svolse tra fanfare, banchetti e un discorso ufficiale del generale ma letto da altri contro “l’immondo prete…acerrimo nemico della patria e corruttore della gioventù”; mentre in Santa Maria Segreta si celebrava una funzione in memoria degli zuavi pontifici caduti a Mentana seguita da un provocatorio corteo di cui come scrisse il Corriere la popolazione quasi non si accorse.
Per evitare contrasti tra i suoi sostenitori il sindaco rallentò il trasloco finita l’expo e lasciò la statua nel cortile del Senato, luogo assolutamente inadeguato alle sue dimensioni, il gruppo è alto 5,23 metri e lungo 5,37 metri più il previsto basamento alto 3,89 metri, largo 6,67 metri e lungo 8,94 metri.
Fin d’allora qualcuno ipotizzò: “molto probabilmente, quella statua non s’alzerà mai sul suo piedestallo, e resterà lì, nel cortile del Palazzo del Senato a pigliar l’acqua e il sole e farsi ammirare da’ topi…”.
Sarà il suo successore, come dicevamo all’inizio, a riproporre la questione dello spostamento in luogo più adatto. In consiglio gli oppositori capeggiati da Napoleone Perelli denunciarono la manovra politica: “è un proposito impolitico ed economicamente dannoso. Il monumento diverrà calamita di disordini. Lo volete mettere nel quartiere nuovo e chi comprerà quelle case? …il partito conservatore ha concentrato le sue forze e le sue risorse a Milano e qui si combattono in nome dell’intero paese le battaglie delle coscienze oneste contro il governo dell’immoralità, dei patrioti e dei liberi contro i vassalli degli stranieri…”.
Felice Cavallotti e Giuseppe Missori (che era consigliere comunale) paventarono scontri di piazza laddove si fosse avviato lo spostamento sorsero diversi comitati di protesta e si svolsero decine di assemblee equamente divise tra sostenitori e detrattori ma il sindaco tirò dritto anche al prezzo di dimissioni di alcuni consiglieri della sua maggioranza e su suggerimento di Luca Beltrami (che alla storia dedico un libriccino) optò come destinazione finale per uno spazio tra il Castello Sforzesco e l’Arco della Pace.
Senza fretta si cominciarono i preparativi definitivi ma alle elezioni del dicembre 1889 Negri viene sfiduciato dalla sua stessa maggioranza e il suo successore (che era stato anche il suo predecessore) si guarda bene di riaprire la questione tanto più che ha in maggioranza alcuni oppositori della statua, che resta nel cortile.
Periodicamente qualcuno in genere monarchici e moderati, fa istanza perché il trasloco si realizzi e nel 1898 dopo i cannoneggiamenti la decisione tocca a Bava Beccaris che però così risponde all’associazione veterani: “ho ricevuto la sua lettera con la quale ella invoca il mio intervento per ottenere che venga trasportato su di una pubblica piazza il monumento di Napoleone III; ma per quanto io apprezzi i sentimenti che dettarono la sua istanza, mi duole dirle che non posso far nulla di quanto ella mi chiede. E di spettanza del municipio…”.
Preso atto che, se financo Bava Beccaris era imbarazzato da Napoleone c’era poco da sperare, i sostenitori proposero al comune di inviare la statua a Solferino nei luoghi della battaglia.
Anche questa ipotesi, tuttavia, saltò perché la burocrazia comunale osservò che vi era una delibera formale, mai ritirata, che vincolava il comune e che la proprietà della statua era del municipio che non poteva alienarla.
Poco dopo alle elezioni del dicembre 1899 i progressisti vincono le elezioni e sindaco di una maggioranza che comprendeva per la prima volta anche i socialisti diventa Giuseppe Mussi che era stato una dei deputati, con Cavallotti, firmatari di una lettera contro la realizzazione della statua, di cui non si parla più fino al 1908, quando come scrive il Corriere: “repubblicani, radicali, riformisti, massoni socialisti, braccialarghisti (seguaci cioè di Comunardo Braccialarghe ndr) garibaldini dalla tinta più accesa si ritrovarono nei locali di un associazione allo scopo di opporsi all’iniziativa dei Veterani lombardi di portare in occasione del 50° anniversario del 1859, il monumento a Napoleone su una pubblica piazza”.
I toni furono accesi: “Napoleone il minimo è una vergogna dell’umanità…”, ma non fu necessaria grande mobilitazione per impedire il trasloco e bisognerà attendere il 1911 perché in occasione di un altro cinquantenario l’associazione monarchica milanese tornasse alla carica per spostare il Napoleone “nel più breve tempo possibile”; all’uopo le Associazioni Milanesi diedero vita ad un comitato d’agitazione che “affermando che la celebrazione del compimento della indipendenza nazionale non può andare disgiunta dal doveroso omaggio a Napoleone III….provochi una manifestazione”. Preoccupati di un ulteriore rinvio i convenuti capeggiati dall’onorevole Barzilai si impegnarono a porre la questione anche in parlamento.
La vicenda ha una sua risonanza anche all’estero il corrispondente da Parigi racconta: “tutti i giornali riferiscono la notizia della riunione tenuta a Milano … tutti ne parlano come di una riunione francofila, di un omaggio reso alla Francia e all’esercito francese… I soli forse che se ne possono rammaricare sono gli ultimi imperialisti intransigenti, i quali accusano ancora Napoleone III di aver commesso un errore politico aitando l’Italia”. Comunque, non se ne fece niente.
Nel frattempo, la città si era dotata di statue in onore di altri protagonisti di quelle vicende risorgimentali e anche di alcuni dei protagonisti del dibattito sul monumento a Napoleone: Bertani in piazza fratelli Bandiera, Cavallotti in via Marina, Dezza in via Palestro, Medici, Giuseppe Missori anch’egli a cavallo di un equino che sembra però presagire un suo futuro da saltimbocca etc.
Si tornerà a parlare del monumento nel 1916 perché grazie ad un lascito della duchessa Giulia Melzi d’Eril: “si potrà liberare il grande cortile del castello dal capannone che lo deturpa e nel quale è depositato il materiale destinato al basamento ed al piedestallo del monumento a Napoleone III”.
La vicenda è oggetto di opuscoli, articoli, lazzi e frizzi ed anche di una mascherata dal titolo Chi le voer foera chi che voer denter dedicata al cavallo “prigioniero” nel palazzo senatoriale, così descritto nel 1919: “nell’ombra umida e malinconica che lo fa sembrare quasi verde d’amarezza “; il guerin meschino pubblica svariate poesie, una finisce con i versi “e paziente una bell’alba aspetto/un’alba senza bizze e rancori/e allora la faccia al sol, me ne andrò fuori”. Più che Napoleone il protagonista è diventato il cavallo prigioniero.
Bisognerà attendere il 1925 perché da Isola Dovarese, bel paese in provincia di Cremona, il generale Francesco Pistoia, già deputato e senatore del regno, lanci un appello affinché: “si eriga in pubblico in località adatta, il monumento di Napoleone III, che ricordi alle generazioni il benefattore d’Italia che volle e condusse la guerra all’Austria”.
Colpo di scena! Al generale risponde il sindaco Mangiagalli: “io sono personalmente favorevole alla traslazione del monumento, me ne occupo da due anni silenziosamente data l’estrema delicatezza dell’argomento…l’atto della traslazione …ha aspetti anche di carattere internazionale che vanno considerati con la maggiore ponderazione…comunque io credo che la questione sia finalmente matura” e ci credo, sono passati solo 50 anni dalla prima delibera.
Nell’ottobre del 1925 la giunta delibera il trasloco, riservandosi di stabilire “in prosieguo di tempo” la località, i giornali scrivono della fine della prigionia del cavallo e dell’imperatore ma bisognerà attendere ancora.
Nel 1927 viene identificato il “monte tordo” una montagnola del parco Sempione ed inizia il trasloco degli 80 quintali tra statua e basamento; nel giugno un ordigno scoppia nel pezzo di monumento già spostato, non si tratta però di garibaldini bensì di antifascisti secondo la questura ma senza nessuna prova o processo, si pensa ad un attentato collegato a quelli contemporanei alla ferrovia Milano-Rogoredo, Milano-Bologna, all’Opera cardinal Ferrari e all’arcivescovado di Milano; viene arrestato e poi inviato al confino, l’ingegner Giobbe Giopp che fu accusato ingiustamente anche della bomba alla fiera di Milano, e la statua viene presidiata dai carabinieri.
Nel giugno senza nessuna cerimonia vengono tolte le ultime impalcature e la statua equestre è definitivamente allocata dove ancora si trova, nel più totale e generale disinteresse che dura tutt’ora.
Qualche anno dopo una delle corone del basamento dedicata ad un colonnello morto in battaglia viene rubata, si vorrebbe sostituirla ma ne le autorità italiane ne il consolato francese ricordano il nome del defunto eroe, a dimostrazione che i monumenti in memoria servono a poco, tempo dopo un turista ricorderà di essersi scritto il nome che oggi per giustizia riportiamo Denis di Senneville.
Perché qualcuno si ricordi del monumento con la deposizione di una corona d’alloro (una delle decine apposte per l’occasione in città) bisognerà attendere il 1959 quando in visita a Milano c’è de Gaulle poi più nulla, anzi forse un articolo negli anni ‘80 dal titolo Dei monumenti la città non sa che farsene.
Walter Marossi
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