2 luglio 2024

IL VERDE AL POSTO DEL BIANCO E VICEVERSA

Quando il sonno della ragione genera mostriciattoli


Copia di copertina 6 (1)

Ammettiamolo pure, ci vuole tempo per farsi una idea chiara di cosa è meglio fare per incidere su un fenomeno così complesso come l’effetto “isola di calore” in una città come Milano. E ci vuole ancora più tempo per allineare la prassi, frutto di una catena di decisioni anch’essa alquanto complessa, con un sistema di valori ovvero una “ratio” ancora non ben compresa e condivisa da tutti.

Fatta questa premessa, consideriamo il prodotto della suddetta prassi in due casi particolarmente significativi per la loro centralità e visibilità, le pavimentazioni di due luoghi milanesi, Largo Augusto e Piazza San Babila.

Non occorrono dettagli o numeri perché ciò che è stato realizzato è elementare e visibile a tutti: l’intera superficie della parte di Piazza San Babila interessata dai lavori per la MM4, fino alla zona precedentemente realizzata con le due fontane, è stata pavimentata con cubetti di granito grigio chiaro. Una spianata grigio chiaro e null’altro, a parte un paio di panche in materiale simile.

Un trattamento simile è toccato a Largo Augusto, dove alla stessa pavimentazione, che copre la maggior parte della piazza, sono state comunque aggiunte due grandi aiuole alberate.

Siamo nel solco di una “new wave” milanese comunque, basti pensare all’enorme spianata grigia e vuota  prospiciente l’edificio della Feltrinelli a Porta Volta. Spazi che è facile prevedere essere gelidi d’inverno e impraticabili d’estate.

Tutto ciò avviene mentre nel concetto moderno di rigenerazione urbana finalizzata a un miglior controllo del clima l’obiettivo è depavimentare.

Un obiettivo che risponde a due esigenze diverse, chiare e ormai ben documentate: una, quella di aumentare la permeabilità dei suoli, ristabilendo un ciclo dell’acqua più naturale ed evitando di convogliare nelle fogne da superfici cementate e asfaltate enormi quantità di acqua piovana, l’altra  di consentire lo sviluppo di vegetazione calmierante del clima estivo, soprattutto se arborea.

Dunque in poche parole due motivi per avere a livello del suolo più verde e meno pietra, cemento, asfalto.

Ma esiste un altro modo per ridurre il surriscaldamento estivo. Ridurre l’assorbimento della radiazione solare incidente, aumentando la riflettenza ovvero l’effetto “albedo” delle superfici costruite. Il ché si ottiene evitando le superfici scure in favore di superfici molto chiare. Con tetti, muri, pavimenti chiari o comunque riflettenti, come si sa e si applica da qualche millennio nell’edilizia popolare mediterranea.  

Solo che a questo punto le cose si complicano e se non si fa attenzione si incomincia a fare confusione tra dove deve stare il verde e dove deve stare il bianco, e il buon senso, come è successo nei casi citati, e non solo ,come vedremo più avanti, va a farsi friggere.

Il verde ha bisogno di terra, e la terra appunto si trova per terra, dove trovando più facilmente l’umidità e il nutrimento necessari anche gli alberi possono crescere, assorbendo la radiazione solare e facendo ombra sul sottostante suolo cittadino, evitando che si surriscaldi d’estate, mentre spogliandosi d’inverno garantiscono comunque un  irraggiamento gradevole.

Il bianco invece non dovrebbe stare a terra, dove se non protetto dall’ombra degli alberi rifletterà il calore sugli edifici circostanti e sui passanti, bensì in alto sulle pareti e soprattutto sulle coperture degli edifici, dove è più facile applicarlo e dove svolge l’importante ruolo di ridurre il riscaldamento dei locali abitati sottostanti. Cioè un buon motivo per evitare per pareti e tetti i colori scuri, come quelli di lamiere di rame, tegole, vetri oscuranti.

Peccato che il piano Aria e Clima vigente sostenga solo che la soluzione al problema dell’isola di calore estivo oltre all’aumento della piantumazione arborea  siano  i “tetti verdi”, soluzione in realtà poco efficace perché applicabile a una quantità modesta di edifici con tetto piano o quasi piano, e che implica costi di manutenzione elevati e costanti nel tempo tanto più per superfici piccole come quelle delle coperture dei palazzi milanesi.

Mentre ignora il trattamento di tutti i tetti (sia piani che inclinati) con vernici riflettenti, estremamente meno costoso, che non comporta costi di manutenzione ma solo il rinnovo del trattamento dopo alcuni anni.

E qui mi sembra doveroso fare un applauso ai partecipanti dell’Assemblea Permanente dei Cittadini per il Clima, cittadini scelti a sorteggio e quindi non necessariamente competenti o blasonati da lauree e titoli universitari, che come risulta dal Report 2023 del lavoro fatto invece hanno valutato attentamente pro e contro delle varie soluzioni, e oltre al tema del verde urbano (per terra) hanno promosso quella del trattamento con colori chiari sui tetti (soluzione chiamata dei “cool roofs”  e ormai diffusa in mezzo mondo, salvo che in Italia), o tetti freschi, sostenendone la validità.

In pratica, L’Assemblea Permanente dei Cittadini per il Clima ha rimesso al loro posto il verde, per terra e il bianco, sugli edifici, ricorrendo a conoscenze che a pluridecorate archistar e tecnici qualificati, guardando agli ultimi interventi fatti a Milano, sembrano non essere altrettanto note e “chiare”.

Giorgio Origlia

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  1. Mario MarchettiBuongiorno, due parole per spiegare la strategia del Comune di Milano. Il verde sui tetti lo debbono curare e pagare i proprietari dei tetti, di solito privati. Il grigio delle piazze e degli altri spazi comuni li cura e li paga il Comune e ben sappiamo come li cura. La vicenda dello sfalcio delle aree verdi del Conune di Milano di quest'anno la dice tutta. Prima ci hanno raccontato fantasiose teorie sulla tutela della biodiversita ( debellate le zanzare perchè gli insetti che vivono nell'erba alta se le sono mangiate tutte) e poi scopriamo che c'èra un po' di "confusione" negli appalti dello sfalcio.
    3 luglio 2024 • 08:26Rispondi
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