18 giugno 2024
ELEZIONI EUROPEE: PARIGI BRUCIA?
L'azzardo di Macron, il successo del PD, l'Europa tra pace e guerra
18 giugno 2024
L'azzardo di Macron, il successo del PD, l'Europa tra pace e guerra
Visti i primi exit poll, Emanuel Macron ha chiamato i francesi alle urne. Una decisione fulminea, di quelle che piacciono tanto oltr’alpe, ancora soggiogata dal mito napoleonico. Nelle stesse ore, il cauto Cancelliere Scholz, sotto choc per l’arrembante crescita dei neonazisti di ADF ed il crollo dell’SPD, si guardava bene dal trarre le medesime conclusioni.
Altrove, il panorama politico elettorale si faceva meno univoco: mentre Austria ed Olanda ripetevano il cliché della destra postfascista in trionfo, in Scandinavia riprendevano fiato le formazioni della sinistra e del centro, in Spagna l’insuccesso parziale del leader Sanchez al governo non coincideva con il trionfo della destra postfascista di Vox, ed in Ungheria Orban subiva dopo anni la riduzione del suo richiamo.
In Italia, l’indubbio successo di Meloni non trovava i numeri estremi delle performance plebiscitarie di Renzi e Salvini, mentre PD ed AVS coglievano successi perfino insperati.
Poiché un conto sono le percezioni, altro le tendenze ed altro ancora i fatti, non si sbaglia se in ultima analisi si guarda ai numeri che cristallizzano in modo più oggettivo l’esito della vicenda elettorale europea.
Dei 720 seggi disponibili in Parlamento, 190 vanno al PPE, 79 a Renew Europe, 136 ai S&D, 52 ai Verts e 39 a The Left. A destra, ne vanno 76 ad ECR (dove soggiorna la Meloni), 58 ad ID (dove vive Salvini), mentre il resto dei deputati (89) non partecipa, almeno per ora, a gruppi parlamentari. La somma dei due raggruppamenti ultradestra si attesta al 18,62%, neppure un quinto dei votanti. In estrema sintesi, la cosiddetta maggioranza Ursula passerebbe dai 410 seggi della passata legislatura ai 402 dell’attuale.
Ma l’aritmetica non basta a spiegare la politica, che guarda anche alle tendenze. Complessivamente, le forze di centro – sinistra ( Renew Europe, S&D, Verts) hanno perso 84 seggi a favore del PPE e delle destre nazionaliste e postfasciste e poiché lo spostamento ha riguardato maggiormente i due paesi guida della UE ed i suoi due leader (Macron e Scholz), ecco in chiaro il tema politico: l’indebolimento dell’attuale leadership europea.
Così, se la logica dei numeri sembra privilegiare la ripetizione della maggioranza PPE/S&D/Renew, altra cosa sono i processi politici in atto ed altra cosa ancora gli equilibri nel Consiglio UE, dove non contano i seggi dei parlamentari ma quelli dei capi di stato. Qui le cose si complicano, e la destra trova ancora maggior forza. E qui la mossa di Macron si mostra in tutto il suo potenziale pericolo.
Cosa accadrà se la sera del 7 luglio vincerà la destra revanchista di Le Pen? Certamente non solo si dissolverebbe il nucleo centrale della governance europea centrata sull’asse franco – tedesco, non solo prevarrebbe la destra al governo in due dei tre grandi paesi fondatori, ma si può solo immaginare l’impatto, la spinta a destra che verrebbe a tutti gli altri scenari nazionali .Un azzardo tremendo quello di Macron, al cui ego spropositato (nomen omen) potremmo dover pagare un conto pesantissimo e non solo per quanto riguarda le vicende europee.
Se sulle questioni di “politica interna” (diritti, economia, welfare, democrazie..), il discrimine tra destra e centro sinistra resta ancora abbastanza netto, le cose si complicano molto su quelle di “politica estera”, maxime Ucraina e migranti. Sulla guerra e la pace in Ucraina e quindi sul posizionamento internazionale, si giocherà la partita post elettorale più complessa e contraddittoria. Dopo due anni, è innegabile, cresce la stanchezza in occidente, mentre l’ombra di Trump si staglia sulle presidenziali di novembre. La guerra attraversa una fase delicatissima e non a caso Biden ha chiesto a Meloni da che parte sta e starà nella vicenda. Né si deve dimenticare che proprio i grandi sconfitti alle europee (Renew e Verdi /Ale) sono i più fieri sostenitori di Zelenskyi, mentre Le Pen, Salvini, ADF ed altri sono filoputiniani. I primi puniti dagli elettori, i secondi premiati (quasi tutti).
Nello scenario si intrecciano forze estremamente distanti, eppure la logica delle cose potrebbe portare a convergenze finora inimmaginabili. Verso la pace, una pace giusta che riconosca con il principale diritto delll’aggredito anche i suoi non pochi torti, si muove la sensibilità della sinistra, finora acquattata dietro la NATO, ma critica e preoccupata. Verso la pace, una pace che premia oltre misura il regime di Putin e le ragioni della sicurezza russa, si muove la vicinanza ideologica di tanta destra italiana ed europea, pronta però ai cambiamenti necessari se al governo (Meloni docet).
Un fatto è certo, l’Europa non può farsi trascinare in un conflitto di cui pagherebbe il prezzo più alto. Al tempo stesso la sua assenza dalla scena politico diplomatica come soggetto attivo è concausa di questo rischio immane. Paradossalmente, per la destra, la sopravvivenza dei popoli che vuole rappresentare è condizionata al rafforzamento delle strutture comunitarie che vorrebbe indebolire, mentre, paradossalmente per la sinistra, la ricerca della pace potrebbe dover passare attraverso una legittimazione della destra che combatte aspramente. Prezzi da pagare o se si vuole anche rospi enormi da ingoiare.
Sui migranti, tanta parte dell’elettorato ha premiato la destra che cavalca paure irragionevoli e disagio. Il PPE e molti partiti moderati sono a loro volta sensibili sul tema, che assume rilievo drammatico nella percezione dei ceti esposti agli effetti della globalizzazione. Qui sale una potente domanda di protezione che le destre traducono in un ritorno al passato, attrattivo ancora anche se impossibile. Dio, Patria e Famiglia, un mondo che non esiste più, ma tanto rassicurante nel ricordo.
In questo contesto, è immersa anche la nostra vicenda nazionale, e locale.
Anche stavolta non l’hanno vista arrivare, Elly Schlein. Se il centrodestra ha tenuto le posizioni, è nel centro sinistra che si sono registrate le evoluzioni e svolte più rilevanti. La segretaria del PD ha ricostruito un profilo di sinistra, cui un accorto bilanciamento delle liste ha dato una spinta importante. Il 24,1% dei consensi è andato ben oltre le più rosee aspettative, rafforzando il PD come asse portante del centrosinistra in costruzione.
Notevoli il successo tra giovani e giovanissimi, nel meridione ed il superamento ancora parziale di un consenso circoscritto ai centri urbani. Ci si può augurare che, con tutte le contraddizioni ancora da sciogliere, il profilo del nuovo PD stia prendendo forma: ben caratterizzato a sinistra, ecologista ed europeista. Pacifista, si vedrà.
AVS ha colto un importante successo trainato dalla figura di Ilaria Salis, emblematico dei valori di democrazia e pace. Le crisi contrapposte e gravi del camaleonte “Giuseppi” e dei “due capponi” manzoniani Renzi e Calenda concorrono a semplificare il quadro delle potenziali alleanze, cui il dispiegarsi della politica meloniana, sempre più evidente nei suoi tratti reazionari, fornisce motivi urgenti e seri. Ancora molta strada da fare, molte le insidie, ma come si dice, il primo passo è il più arduo ed è stato compiuto. Soprattutto e per qualche tempo Elly potrà contare su di un PD tranquillizzato.
Un successo indiscutibilmente centrato anche nelle amministrative locali. Da Bergamo a Pavia, da Firenze a Cagliari, PD e centrosinistra hanno raccolto successi importanti e spesso netti, perfino oltre misura (Bari). A Milano, il consenso alle europee è stato ampio ed uniforme, ed è notevole che sia venuto dopo un periodo di polemiche aspre anche a sinistra. Senza negarne la sostanza, le percentuali raccolte dal PD e dai suoi principali alleati testimoniano del forte radicamento del partito e di una sua non scontata autonomia rispetto alle vicende dell’amministrazione cittadina.
Elezioni europee di transizione, aperte verso diversi sviluppi. Vedremo cosa ci dirà Parigi il 7 luglio.
Giuseppe Ucciero