4 giugno 2024
VERDE PUBBLICO E PAESAGGIO
Siamo rimasti indietro
Che il verde urbano sia componente strategica per il contrasto al cambiamento climatico è affermato, sostenuto e finanziato da molteplici obiettivi e norme EU/Global oramai da decenni. Che sia altresì la carta vincente per incrementare biodiversità e qualità urbana, unitamente a vivibilità e benessere per il cittadino, lo è nei fatti, già dimostrato da diversi piani/progetti messi in atto da molte città, affermate capofila di controtendenze coraggiose e ben riuscite, da Barcellona a Lione, Parigi, Copenaghen e molte altre che – da anni, sistematicamente – trasformano quartieri e parchi storici, fiumi e waterfronts, periferie, brownfields… per attivare mirabili processi di rigenerazione urbana. Molti i casi, molte le buone pratiche, come molte anche le linee guida e manuali anche tecnici sul “come si fa”.
Come ancora molti sono anche gli studi sugli effetti del verde urbano sulla salute dell’uomo, e sulla capacità di generare equità e inclusione sociale: un piccolo parco in città anche se incastrato tra asfalto e smog agisce come potente “livellatore sociale” in grado di ridurre le disparità sociali non solo in termini di servizi al cittadino (svago, sport…) ma anche di migliori condizioni di salute, riducendo l’incidenza di rischi cardiovascolari, stress e depressione.
Milano sta lavorando su questo, “per una nuova visione del verde pubblico e del paesaggio, attenta alla cura e valorizzazione degli spazi verdi, degli alberi, dei suoli depavimentati, della biodiversità che saranno sempre più determinanti nella lotta ai cambiamenti climatici, nella mitigazione dei suoi effetti, nelle politiche di adattamento”. Eppure i milanesi si dicono insoddisfatti. Tra sfalci ridotti e nuovi interventi in città, sembra che manchi una strategia complessiva e convincente.
Forse un problema di comunicazione? Per gli sfalci ridotti sono stati predisposti appositi cartelli informativi che ne spiegano le ragioni, tra biodiversità e microclima. Forse un problema di governance? Ancora si ricordano i 12 milioni di euro persi per la prima forestazione urbana da PNRR: non sapevamo dove piantare alberi! O forse un problema di visione sistemica? senza la quale è obiettivamente ben difficile gestire il tema complesso e multifattoriale del verde urbano.
Ancora recentemente in un confronto tra le 9 città – tra cui Milano – selezionate in Italia per presentare in Europa il proprio Climate City Contract (CCC), cioè una serie di impegni per la neutralità climatica al 2030 attraverso piani di azione e relativi stanziamenti, Milano è sembrata non pronta. Tra i convincenti piani – multidisciplinari e integrati – delle altre città largamente fondati su pianificazione multi settoriale, sistemi verdi, PPP e partecipazione, Milano ha solo accennato ad “approcci, transition teams, …elettrificazione” (quindi tra governance e tecnologia), rappresentando una visione parziale e insufficiente del progetto di paesaggio.
Perché di questo si tratta: riprogettare il paesaggio della città lavorando sul sistema dei pieni e dei vuoti – in soprassuolo e sottosuolo-, riducendo il consumo di suolo (ancora invece in crescita) migliorandone la capacità filtrante tra superfici verdi e grigie ad hoc, moltiplicando Nature Based Solutions e relativi sistemi vegetazionali, così incrementando biodiversità, capitale naturale e i preziosi servizi ecosistemici ad essi connessi.
E integrandovi decoro e qualità urbana, con progetti attenti alla storia e identità dei luoghi tanto quanto alla resilienza urbana e alla sostenibilità ambientale e sociale. In un processo trasformativo che coniughi funzionalità e bellezza, vivibilità e inclusività, generando spazi pubblici attrattivi e di qualità, sicuri ed accoglienti. Così impostati, luoghi preziosi come San Babila e Largo Augusto avrebbero potuto trovare migliori risultati. Come anche molte altre aree in città dove la rapida crescita immobiliare non sempre apporta qualità allo spazio pubblico, spesso mancando anche le minimali “ vegetalizzazioni” e attrezzature urbane. E che dire delle tante aiuole e rotatorie stradali che potrebbero divenire aree allagabili, dismettendo la vecchia pratica del cordolo impermeabile? e le pavimentazioni estese e sovrabbondanti (anche recenti) non potrebbero accogliere più belle e collaborative aree verdi? E poi illuminazione pubblica e arredo urbano, siamo certi siano temi altri e non coordinabili?
Milano può fare certamente meglio, magari attivando i necessari coordinamenti intra/extra moenia comunali e certamente attivando più partecipazione, anche coinvolgendo stakeholders e professionisti competenti, oltre che i cittadini sempre più disposti a “fare insieme”. E ciò ancor più quando si tratta di abbracciare innovazione e sperimentazioni, che altrimenti rischiano di rimanere incomprese o, peggio ancora, disattese.
Milano può e deve ritrovare l’orgoglio di una città proiettata verso il futuro, allineandosi con urgenza a quanto da tempo si fa altrove, oltre le dichiarazioni, ma nella gestione quotidiana delle trasformazioni in essere. E così prontamente aderendo all’alert del 6° Rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change): “Bisogna agire ora o sarà troppo tardi” per lavorare anch’essa alla città spugna, che non è uno slogan ma un obiettivo global prioritario e necessario per la costruzione di sistemi adattativi fondamentali e imprescindibili per il contrasto al cambiamento climatico e relative alluvioni, siccità, danni e vittime. Con il verde urbano alleato primo.
Flora Vallone
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