21 maggio 2024
TRATTORI IN AULA
Gli agricoltori fanno sentire la loro voce
Nella mattina del 6 maggio scorso un gruppo di agricoltori della città metropolitana e studenti della Facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto Agrario di Rovagnasco si sono incontrati, per la prima volta, nella sede della facoltà. Lo scopo degli agricoltori era di far conoscere le loro realtà al mondo universitario e, in particolare, agli studenti.
L’incontro, annunciato da una locandina dal titolo evocativo: “Trattori in Aula” seguiva quello tra cittadini e agricoltori dell’Ovest milanese che avevamo organizzato in Cascina Caremma esattamente due mesi prima, il 6 di marzo[1], ispirato da un documento sottoscritto da oltre quaranta agricoltori e soggetti legati al mondo agricolo della città metropolitana, che segnalava come, di fronte alla complessità del mondo agricolo e dei suoi problemi, alla base del “movimento dei trattori” la politica e i media non sembravano aver minimamente colto.
L’ignoranza dei temi legati all’agricoltura e dei territori da parte del ceto politico e dei principali media è abbastanza impressionante: quando pensano all’agricoltura, lo fanno come se si trattasse di un comparto industriale omogeneo, come il metalmeccanico o il farmaceutico.
In realtà il mondo agricolo è assai variegato e sotto lo stesso nome di “agricoltori” coesistono problemi, prospettive e necessità estremamente diversi: grandi complessi agroindustriali fortemente finanziarizzati che coltivano migliaia di ettari che vendono i loro prodotti sul mercato globale, e piccole aziende familiari che producono per un piccolo gruppo locale di clienti fedeli; colossi dell’allevamento e della macellazione in grado di rifornire le catene di fast food e i grandi supermercati; famiglie che possiedono cinque vacche da latte, nutrite col fieno falciato a mano in una valle montana, che conferiscono a un caseificio sociale; soci delle cooperative agricole che coltivano terreni sequestrati alla criminalità organizzata; piccole o medie azienda biologica e aziende multifunzionali che traggono reddito dall’attività agrituristica. Aziende così diverse non condividono i medesimi problemi, anche se si chiamiamo tutti “agricoltori”[2].
Quando con il professor Stefano Bocchi, abbiamo organizzato l’incontro ad Agraria, immaginavo che gli studenti fossero consapevoli di questa complessità: ma non è così.
Il caso aveva voluto che quella mattina, tra tutte le aziende invitate, fossero presenti solamente un gruppo di aziende agricole biologiche dell’abbiatense.
Ascoltando le loro storie, gli studenti hanno potuto scoprire che l’agricoltura non è tutta uguale.
Ogni azienda aveva storie e caratteristiche diverse, ma le accomunava tutte la passione per la terra e una ricerca costante per migliorare i servizi e i prodotti offerti, attraverso l’innovazione e la sperimentazione costanti, che hanno portato a un notevole miglioramento della biodiversità in ogni azienda: non solo per il recupero di antiche varietà colturali e di allevamento, ma anche del contesto produttivo. E’ stato affascinante ascoltare dalla viva voce di ciascun agricoltore-contadino la storia della nascita e dello sviluppo della sua azienda, delle scelte colturali e aziendali, sempre legate al territorio, anzi: alle caratteristiche specifiche dei suoi terreni, che possono essere diverse da campo a campo.
Tutte sono state (e sono tuttora) aziende innovatrici: Cascina Caremma, nel Parco del Ticino, nel 1989 fu il primo agriturismo in Provincia di Milano, la prima a reintrodurre la coltivazione della vite nella campagna irrigua, ma anche la prima a dotarsi di una SPA e oggi produce riso, farine, pane, uova, salumi e latticini su un centinaio di ettari; Cascina Isola Maria, che alleva vacche da latte, passò al metodo biologico nel 2008; Cascina Selva è la prima ad aderire a un progetto sperimentale del Parco del Ticino per produrre formaggi biologici, alimentando le sue vacche con la ricca erba delle marcite; Birra del Parco è stata tra le prime a produrre birra agricola biologica nel milanese, utilizzando solo luppolo e orzo biologici dai propri terreni.
I presenti erano solo una rappresentanza di un più ampio gruppo di agricoltori biologici dell’Abbiatense, dove oramai le aziende convertite al biologico, sinergico o comunque a metodi di coltivazione e allevamento meno impattanti costituiscono un nucleo consolidato ed esteso, che potrebbe configurarsi come un cluster[3].
Questa grande e inaspettata diversità in un piccolo gruppo di aziende ha affascinato gli studenti, che hanno potuto ascoltare racconti di percorsi, scelte e soluzioni inaspettati nel contesto lombardo, dove il 75% della produzione è costituita da zootecnica e cerealicoltura[4] e dove la maggioranza degli agricoltori tende a ripetere, anno dopo anno, “ciò che ha sempre fatto”.
Ma della sorpresa e dell’interesse manifestati dagli studenti non varrebbe la pena scrivere, se non avesse evidenziato una lacuna nei loro programmi di studio e nella loro formazione culturale e tecnica. Come ai tempi in cui frequentavo la vicina facoltà di Architettura a praticare l’agricoltura biologica in Italia c’erano solo Antonio Corbari, a Cernusco sul Naviglio, Gino Girolomoni nelle Marche e pochi altri “matti”, ancor oggi, dopo mezzo secolo, nella Facoltà di Agraria di Milano e all’Istituto di Agraria di Rovagnasco (come nella quasi totalità delle università e degli istituti agrari italiani) sembrerebbe che l’agricoltura biologica non venga insegnata, anzi: salvo rare eccezioni, è del tutto ignorata.
Si tratta di lacuna formativa importante, non solo perché il nostro Paese è uno dei primi produttori biologici in Europa: il mercato biologico in Italia vale 5 miliardi di euro più 3,4 miliardi di export, con una crescita nel 2022 del 16% sul 2021[5], dove Lombardia e Piemonte costituiscono, da soli, il 34% del mercato italiano. Le aziende biologiche, quasi tutte multifunzionali, occupano mediamente più di dieci volte il numero di addetti di un’azienda convenzionale, il che le rende uno sbocco professionale interessante per molti studenti.
Purtroppo, ancor oggi a Milano e in Lombardia quasi nessuno si cura di formare tecnici e gli agricoltori per il biologico, inibendo lo sviluppo di un settore minoritario[6] ma importante. Considerando che ora anche Regione Lombardia inaugura una politica di promozione del biologico e di appositi distretti biologici[7], è più che auspicabile che questa lacuna nella formazione venga rapidamente colmata.
Luca Bergo
[1] vedi: https://www.arcipelagomilano.org/archives/63022
[2] vedi: http://lnx.ecoistitutoticino.org/wordpress/trattori-in-giro-per-leuropa-o-contro-leuropa e: http://win.ecoistitutoticino.org/documentazione/CP/QPP6_2024.pdf
[3] argomento oggetto dell’articolo successivo
[4] fonte: CREA, L’agricoltura nella Lombardia in cifre, 2023, ISBN 9788833852737
[5] https://www.ilsole24ore.com/art/corre-italia-mercato-prodotti-bio-AES3O4nC#:~:text=Il%20mercato%20italiano%20dei%20prodotti,%2C%20%2B16%25%20sul%202021.
[6] in Lombardia solo il 6% della SAU è adibita a biologico
[7] https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/DettaglioRedazionale/servizi-e-informazioni/Imprese/Imprese-agricole/agricoltura-biologica/distretti-biologici/distretti-biologici