21 maggio 2024
CRONACHE URBANISTICHE (4)
Torniamo indietro nel tempo. Più precisamente al 2020
21 maggio 2024
Torniamo indietro nel tempo. Più precisamente al 2020
È il 2 dicembre del 2020. È un mercoledì. Siamo in piena emergenza COVID. I dati di quel dì parlano di 684 morti (che portano il totale a più di 57 mila). Scendono però i positivi. Si va comunque verso uno sto agli spostamenti per le feste. Si discute delle seconde case. Si ricorda la Giornata Internazionale per l’Abolizione della Schiavitù istituita dall’Unesco. C’è Juventus- Dinamo Kiev in tv. Partita di Champions League. La prima arbitrata da una donna.
C’è al governo Conte, non l’allenatore, quell’altro. E due sue ministre rilasciano una circolare congiunta a doppia firma. Si tratta delle ministre De Micheli (PD), titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti e Dadone (M5S), che presiede la Pubblica Amministrazione
Una circolare di chiarimenti interpretativi sull’articolo 10 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120.
Il DL ha portato numerose modifiche al DPR 380/2001, il cosiddetto Testo Unico dell’Edilizia. La bibbia di noi architetti.
A questo punto i lettori di Arcipelago, almeno i miei (che sono 4 come i gatti, mica 25 come quelli del Manzoni), si chiederanno: ok, interessante, ma che c’azzecca? Ora vedrete, se avete la pazienza di seguirmi per qualche riga ancora.
In questa circolare (che potete leggere qui) si parla di due temi molto importanti, quello della disciplina delle distanze tra edifici in caso di interventi di demolizione e ricostruzione di edifici già esistenti e quello di cosa vuol dire ristrutturazione edilizia.
Adesso capite dove vi voglio portare? Soprattutto il secondo tema è uno di quelli fondamentali nell’inchiesta della Procura di Milano su tutti quei casi di nuovi edifici residenziali che sono sorti un po’ dovunque a Milano, quasi tutti sulla base di una semplice (?) SCIA art. 23. Quello di cui anche qui sulle pagine di Arcipelago io ed altri scriviamo da mesi ormai.
Un collega recentemente mi ha fatto conoscere questa circolare di cui ignoravo l’esistenza. Chissà se la conoscono in Procura?
Ora vi spiego cosa c’è scritto e poi facciamo qualche riflessione.
Partiamo col secondo tema. Cerchiamo di capire cosa si intende per ristrutturazione edilizia, che non è quel termine che pensate voi (e anche l’Agenzia delle Entrate, che utilizza questo vocabolo impropriamente, almeno nel titolo della sua guida), cioè quello che usate quando raccontate agli amici che avete “ristrutturato” casa. Quella si chiama manutenzione straordinaria, anche se rifate tutto in marmo di Candoglia e massello di palissandro brasiliano. La ristrutturazione edilizia è una cosa seria, per quanto possa esserlo una cosa normata (e rimaneggiata più volte) da leggi italiane.
Per ristrutturazione edilizia si intende quell’insieme di interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”.
Tradotto in italiano vuol dire che non vi limitate a buttare giù una parete per allargare il bagno, ma fate roba grossa, anche demolire e ricostruire tutto l’edificio. Di più, lo potete demolire e ricostruire spostato rispetto a dove era prima (il sedime), con facciate diverse (i prospetti) e perfino con una forma diversa (la sagoma). Non vi basta? Con le modifiche del 2020, spiegate in questa circolare potete anche, se il vostro comune lo permette, fare incrementi di volumetria ovvero aggiungere un nuovo pezzo a quello che già c’era. Quindi fate un pezzo di edificio nuovo, ma non lo fate come nuova costruzione.
Cioè ristrutturate e già che ci siete ne fate un po’ di più. Fantastico, no? Come quando al mercato chiedete un etto di prosciutto e per sbaglio il salumiere ne affetta 50 grammi in più (che faccio, lascio?). Per fortuna questo non è ammesso se l’edifico è vincolato o si trova nel centro storico (ma per questo ultimo caso solo se normato a livello locale).
Le due ministre spiegano che si è modificata la norma per ampliare “l’area degli interventi ricadenti nella nozione di ristrutturazione edilizia, individuando i parametri la cui modifica – a differenza di quanto previsto dalla previgente disciplina – non risulta rilevante ai fini della qualificazione di un intervento di demolizione e ricostruzione come ristrutturazione edilizia, piuttosto che come nuova costruzione”.
E aggiungono che questa modifica non è casuale o estemporanea, ma frutto di una giurisprudenza che tra Tar e Consiglio di Stato già con le modifiche del 2013 si era mossa in quella direzione, specificando però che doveva rimanere una sorta di continuità tra il vecchio e il nuovo, pardon, ristrutturato edificio. Invece questo DL del 2020 supera anche ultimo lacciuolo, affermando che qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente è ristrutturazione edilizia e non nuova costruzione.
Il concetto viene ribadito poco dopo quando si afferma che anche gli incrementi volumetrici rientrano in ristrutturazione, se avvengono nell’ambito di interventi di rigenerazione urbana (come per esempio nei casi stabiliti dalla LR 18/2019 di Regione Lombardia).
Il secondo tema è quello del rispetto delle distanze in caso di demolizione e ricostruzione. Di base in caso di nuove costruzioni il Codice Civile e altre norme impongono che vi siano almeno 10 metri tra facciate di edifici di cui anche solo uno è dotato di finestre. Ovviamente nel caso di edifici esistenti, magari da un paio di secoli, queste norme non si applicano. Tanto è vero che nei centri storici delle nostre città le distanze sono spesso molto inferiori.
Ma se è abbastanza ovvio che questa norma (i 10 metri) valga per le nuove costruzioni, in teoria se io opero in ambito di “demolizione e ricostruzione” posso mantenere le distanze esistenti (anche se inferiori a quelle di legge). Quindi se opero in regime di ristrutturazione edilizia. Fino a prima del 2020 questo era vero se demolivo e riscostruivo l’edificio come era. Invece con la legge76/2020 si può mantenere la distanza inferiore ai 10 metri, cambiare la forma dell’edificio e aumentarne anche l’altezza mediante incentivi volumetrici (quindi frutto di una qualche norma locale), ma solo nell’ambito di una pianificazione attuativa. Almeno quello!
Se siete riusciti a resistere fino a qui, vediamo di trarre qualche conclusione.
Se rileggiamo alla luce di quanto detto sopra alcuni degli interventi edilizia milanesi che sono finiti sotto inchiesta negli ultimi mesi, più di un dubbio sull’azione della magistratura sorge legittimo.
Perché è così importante decidere se un intervento è una ristrutturazione o una nuova costruzione? Principalmente per i costi urbanistici, i cosiddetti oneri che si pagano al Comune. Se si fa una nuova costruzione gli oneri si pagano per intero, se invece si opera una ristrutturazione gli stessi oneri sono ridotti del 60 %. E questo è uno degli elementi di contestazione che la Procura (ma anche la Corte dei Conti) fa a Comune, progettisti e costruttori.
Alla luce di questa circolare, che non è una di quelle del Comune di Milano, ma porta la firma di due ministri dello stato italiano, forse, dico forse, gli accusati si sono mossi individuando correttamente la categoria d’intervento. Forse era corretto considerare gli interventi sotto inchiesta come ristrutturazioni edilizie. Sì, questa circolare dice che se io demolisco un capannone e ci faccio due torri residenziali, a parità di volume (ma anche con incrementi) e se uso le distanze del capannone (nel rispetto dei regolamenti edilizi e di igiene), in realtà sto facendo una ristrutturazione edilizia e non una nuova costruzione.
Certo rimane quello che, secondo me, è il tema più grosso. Ovvero l’aver fatto la maggior parte di quelle operazioni di sviluppo immobiliare mediante una SCIA art 23 (quella alternativa al Permesso di Costruire) e non con un Permesso di Costruire vero e proprio.
E però anche qui mi chiedo che senso abbia una norma nazionale che ti offre due strumenti quasi analoghi, definendone persino uno alternativo all’altro. È ovvio che se posso scelgo quello più semplice in termini amministrativi. Bisogna giustamente vedere se effettivamente chi ha scelto poteva utilizzarlo. Su questo io ho molti dubbi. E quindi ben vengano le inchieste.
Però vi chiedo: chi ha le colpe maggiori, il legislatore che ha introdotto questo strumento “equivoco”, in quanto generatore di equivoci o chi lo utilizza, magari pensando di farlo in maniera corretta?
Ci vediamo alla prossima puntata.
Pietro Cafiero
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