3 ottobre 2023
IL VERDE E LE SUE PIANTE IN CITTÀ
Nuovi eventi meteorici: una nuova strategia
3 ottobre 2023
Nuovi eventi meteorici: una nuova strategia
foto ANSA
Tra supercelle e downburst, negli ultimi mesi in Italia sono crollati al suolo migliaia di alberi. Oltre 5000 nella sola Milano con danni calcolati superiori ai 60 milioni di euro, alberi spezzati o sradicati che si sono abbattuti su strade, automobili, parchi e giardini rimasti poi chiusi per settimane per le necessarie operazioni di messa in sicurezza.
Da più parti si è parlato di inadeguati controlli e manutenzioni delle alberature cittadine, e della necessità di riorientarne modalità e risorse dedicate. E certamente sono questioni da approfondire. Ma contestualmente vanno anche indagate e valutate le incrementali condizioni di stress cui le città sono sempre più sottoposte tra trasformazioni antropiche e cambiamento climatico, in una interazione che, malgrado i molteplici e ripetuti alert e i numerosi approfondimenti scientifici e transdisciplinari, non è ancora stata colta nella sua obbligatoria urgenza.
Da anni, ogni anno, i vari report su incremento delle temperature, consumo di suolo, desertificazione, banalizzazione ecosistemica, perdita di biodiversità e capitale naturale, ci rappresentano trend crescenti in termini di vulnerabilità e pericolosità dei nostri territori.
Oltre il 93% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico per un totale di oltre 8 milioni di abitanti, e sono le stesse aree dove si continua a costruire, incrementando le superfici impermeabili e sottraendo capacità ecologica ai sistemi ambientali, necessariamente così minati nelle loro intrinseche capacità di resilienza ecosistemica.
Se invece- come necessario – tutti i fenomeni cosiddetti catastrofici venissero valutati all’interno di un più ampio quadro di riferimento, si potrebbe meglio comprendere quanto siano effettivamente emergenziali – e non già invece prevedibili e prevenibili- e quali concreti sistemi adattativi sia possibile e utile mettere in campo.
L’alibi del cambiamento climatico e dei tanti sforzi che stiamo facendo per contrastarlo (e comunque di risultato insufficiente ai target fissati) rischia di distrarci dalle responsabilità di un agire quotidiano e diffuso in termini di nuove scelte progettuali e gestionali, coerenti con il profilo olistico e dinamico dei nostri paesaggi. Non già quindi solo auto elettriche, pannelli fotovoltaici, .. e altri devices della transizione tecnologica, ma soprattutto la tutela e la valorizzazione della Natura quale alleata prima della nostra transizione ecologica.
Gli alberi e il verde urbano certamente lo sono, per capacità di depurare e raffrescare l’aria, assorbire e drenare le acque meteoriche, ridurre le isole di calore, fornire habitat per la fauna … e servizi ecosistemici anche culturali per il benessere del cittadino. Vanno quindi valorizzati, incrementati e largamente diffusi, con progetti integrati tra forestazione urbana e reti ecososciali , attivando un network diffuso e pervasivo che raccordando città, campagna, aree umide e fiumi ne valorizzi identità e capacitazione.
In città tutto ciò sembra impossibile e comunque viene largamente ignorato, dando per scontato che i margini di manovra siano insufficienti. Il verde urbano è confinato tra aiuole e strade, qualche parco e giardini privati, in un ecosistema urbano dove lo spazio aperto e verde è ancora subordinato allo spazio grigio e costruito, e quindi minoritario in dimensioni, connettività, qualità intrinseca e di relazione. Come ancora a Milano, dove la pur forte e veloce trasformazione urbana degli ultimi anni è tutta orientata alla sostituzione edilizia, che nulla lascia alla natura in città.
E quindi sì gli alberi abbattuti hanno subito eventi estremi, con raffiche di vento anche superiori ai 100 km/ora, e ripetuti, a distanza di poche settimane, ma sono stati certamente vittime di ulteriori concause anche di lungo periodo, tutte riconducibili all’evoluzione dell’ambiente urbano che non ne agevola lo sviluppo e il benessere, ma al contrario li sottopone a stress idrici, temperature elevate, costipazione degli apparati radicali, ripetuti tagli e potature, aggressioni di parassiti vecchi e nuovi, in un processo sfiancante per qualsiasi essere vivente.
Quindi se certamente – come si sta facendo a scala globale – saranno da individuare le specie più adatte alle nostre città, per dimensioni, apparato radicale, resistenza agli agenti esterni e alle temperature in progressivo aumento, non basterà sostituire un platano a un olmo ma andrà parimenti ripensato – e da subito – anche il più ampio e complesso progetto di paesaggio, entro il quale sì calare le nuove specie, ma in ambiti adeguati per struttura, dimensione, funzioni sinergiche, processi e tecniche Nature Based Solutions utili alla Natura e al cittadino insieme, per nuove città biofiliche.
Flora Vallone
Architetto e paesaggista
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