22 marzo 2022
MILANO, UCRAINA
Un passato che si ripete
Potrebbe essere il titolo di un film di Wim Wenders, ma è la cruda realtà. Ci sono momenti in cui il cervello ti propone strane associazioni mentali. Vedo le drammatiche immagini dei bombardamenti sulle città ucraine e mi si sovrappongono a quelle delle Palazzine Liberty dell’Ex Macello.
Nessun irrispettoso paragone. Faccio fatica a parlare di urbanistica milanese, il mio pensiero angosciato continua ad andare all’invasione dell’Ucraina. Anche adesso mentre scrivo. Devo fare uno sforzo volontario ed appellarmi alla mia razionalità per rimanere in tema. In cuor mio, mi verrebbe da dire, “ma chi se ne fotte degli scali o del palazzetto di Santa Giulia per le Olimpiadi”.
E quindi non ci provo neanche. A fare finta di niente. Ho deciso che oggi scriverò non come urbanista o architetto, ma come semplice essere umano. Perdonerete, spero, le tante banalità, un po’ di sano cinismo e le inevitabili semplificazioni.
Al limite quello che sta succedendo a pochi passi da qui, può aiutarci a mettere nella giusta prospettiva le sciocchezze di casa nostra. Nessun relativismo però, perché altrimenti c’è sempre l’Africa.
A tal proposito…Ma perché i bambini ucraini ci toccano di più di quelli africani? Credo che la vicinanza geografica sia solo una delle spiegazioni. Quando vediamo le terribili, ma ormai consuete, immagini di piccoli malnutriti, affetti da kwashiorkor, magari anche loro scappati da qualche guerra senza nome (e questo è un punto centrale), oltre all’umana pietà, ci viene da mettere mano al portafoglio e donare all’Unicef o a qualche organizzazione umanitaria. E così la nostra coscienza occidentale, beh diciamocelo, un po’ si tranquillizza. Ma se leggiamo sul sito del nostro quotidiano preferito della morte di bambini ucraini a causa delle bombe sovietiche, qualcosa ci ribolle dentro e ci indigna al punto che vorremmo intervenire. Succede anche ai più miti di noi…
Lo stesso vale per i palazzi residenziali di Kiev e Mariupol, per gli ospedali sventrati e per i musei vilipesi da ordigni lanciati da chi non vuole solo vincere una guerra, ma anche cancellare storia e memoria di un popolo. No, non sto parlando dei Buddha di Bamiyan. Eppure… Una casa colpita da un razzo si stampa nelle nostre menti molto più di una capanna bruciata. Perché Kiev bombardata è Milano bombardata. Quelle case sono le nostre case. Quei bambini sono i nostri bambini.
Si tratta di una lettura della realtà assai ipocrita. Incontestabile, sì. Ma temo che sia vero. Ci sono guerre e guerre, morti e morti. E se la morte è una livella, è anche vero che conta dove e come muori. Sotto i riflettori mediatici dei social e degli inviati con l’elmetto o in mezzo ad un deserto, in tutti i sensi.
Questo è forse il primo conflitto in cui la componente comunicativa ha una forza equivalente a quella militare. Infatti in Russia sono stati chiusi quasi tutti i social ed è stata emanata una legge che imbriglia in modo ultra restrittivo la libertà di stampa. Inoltre è interessante osservare la differenza sostanziale tra il modo in cui Zelensky e Putin comunicano. A prescindere dal fatto che il primo è una vittima e il secondo sta diventando ogni giorno sempre di più un criminale di guerra e che si è naturalmente portati a simpatizzare per l’aggredito.
A prescindere da questo aspetto, che magari qualcuno potrebbe non condividere, credo che sia innegabile che il presidente ucraino abbia capito come si sta nei media oggi, che linguaggio o registro utilizzare, di quale captatio benevolentiae servirsi, magari anche grazie al suo passato di attore. L’oligarca russo invece è ancorato, come il suo esercito – pare – al secolo scorso, prigioniero, nei suoi discorsi, delle stesse fake news con cui anestetizza la propria opinione pubblica. Penso che a furia di ripetere e di sentirsi ripetere dai suoi yes man (magari si dice “da chelovek” in russo), le favolette sull’operazione di peacekeeping per liberare l’Ucraina dal nazifascismo, forse lui ci creda veramente.
Non chiedetemi di essere imparziale ed equidistante. Non lo sono. E però la Nato… ma in fondo il battaglione Azov… Dimentichi quello che è successo in Donbass… Tutto quello che volete. Ma non cambio idea. Sto da una parte. Mi viene da dire che questo è il prezzo che – altri, non noi – pagano per la nostra indifferenza del 2014 (Crimea). È la geopolitica, bellezza! Non so perché ma una vocina continua a sussurrarmi la parola Taiwan…
E quindi? E quindi è un bel casino. Se anche i russi domani decidessero di ritirarsi, lascerebbero, in una nazione in cui sono entrati senza diritto, una tale devastazione che la ricostruzione, almeno quella fisica, durerà decenni.
Kiev come Milano nel secondo dopoguerra. E mentre noi costruiamo ancora oggi dimenticando le lezioni di quel passato, ma anche quelle più recenti, come se due anni di Covid non avessero ridisegnato modelli sociali ed economici, forse in quelle terre devastate ci sarà il modo di ricostruire in modo più saggio e accorto. Magari anche col nostro aiuto. Se invece Putin avrà modo di completare il suo piano, beh temo che la ricostruzione sarà l’ultimo dei nostri problemi.
È singolare: i loro palazzi oggi sono vuoti perché gli occupanti sono fuggiti per evitare le bombe neanche troppo intelligenti, le nostre torri per uffici sonnecchiano pigre e indolenti a causa dello smart working. Eppure a Milano la tendenza a costruire nuovi edifici non si ferma, nonostante gli incentivi a riqualificare l’esistente.
È giusto continuare a pensare in prospettiva e in modo positivo, perché il rischio di incartarsi in un circolo vizioso in cui gli eventi bellici monopolizzano tutto è reale. E quindi la prossima volta torneremo a ragionare di indici fondiari e di scali ferroviari con un occhio al 2026 (Olimpiadi) e uno al 2030 (PGT). Strabismo urbanistico?
Però vi lascio con un ultimo spunto: vi ricordate come su tv e giornali la narrazione del covid soprattutto all’inizio abusasse continuamente di metafore belliche? Col senno di poi non dovremmo provare almeno un po’ di imbarazzo?
Pietro Cafiero
Cara lettrice, gentile lettore, se sei arrivata/o qui, c’è voglia e bisogno di dibattito pubblico su Milano, indispensabile ossigeno per la salute della democrazia. Sostienici subito perché solo grazie a te possiamo realizzare nuovi articoli e promuovere il primato dei beni comuni per Milano. Attivati ora!
5 commenti