22 febbraio 2022

IL RACCONTO DELLA MUSICA

La velocità di chi parla e di chi esegue


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Avete fatto caso alla velocità crescente con cui vengono letti i servizi dei telegiornali e dei giornali radio? Anche coloro che hanno un ottimo udito confessano che sempre più spesso non riescono a capirli, prima di tutto perché vengono letti (male) anziché raccontati o illustrati “a braccio”, ma soprattutto perché vengono letti troppo in fretta, si suppone per far entrare più notizie e più commenti nel ridotto e rigido lasso di tempo loro assegnato fra uno spot pubblicitario e l’altro.

D’altra parte avrete certamente provato il piacere – sempre più raro – di ascoltare un bravo oratore, quello che sa imprimere il ritmo giusto alle parole, che piega gli accenti in funzione di ciò che vuole esprimere, che sa dosare le pause e modulare il tono della voce in relazione all’intensità dei contenuti…

Bene, si è già capito dove voglio arrivare. Eseguire un brano musicale – che sia su uno strumento solo o in una compagine da camera, o con un’intera orchestra – non è ovviamente solo “leggere” lo spartito, snocciolare le note una dopo l’altra, ma piuttosto raccontare ciò che “è” nella musica, ciò che si nasconde dentro le note, descrivere – con i pesi e i volumi dei suoni, con il respiro di cui si nutre la musica, con gli infiniti accorgimenti adottati dall’autore – le sensazioni e le emozioni, gli stati d’animo, le atmosfere, i sentimenti – buoni o cattivi che siano – che sono il contenuto profondo della musica e che è compito dell’interprete esplicitare. 

La musica è anch’essa un racconto, e usa i suoni degli strumenti al posto dei suoni che formano le parole. Si può leggere la musica – se se ne è capaci – senza suonarla, come si può leggere una poesia senza recitarla. Ma suonare, interpretare, eseguire la musica è mettere in gioco – oltre alla tecnica, che è una condizione “necessaria ma non sufficiente” – la capacità di raccontare, di farsi capire, di spiegarsi correttamente, di essere convincenti ed avvincenti. Esattamente come devono saper fare i bravi oratori e narratori. 

Il peggior rischio che corre un compositore si dice sia quello di annoiare. Ma si annoia il pubblico anche eseguendo sciattamente una musica meravigliosa, esattamente come lo annoierebbe chi leggesse sciattamente Dante o Leopardi (quanti ne abbiamo dovuto subire prima che arrivassero i Sermonti e i Benigni!).

Queste considerazioni affiorano alla mente ogni qualvolta ascoltiamo un musicista accelerare i tempi, “correre” come si dice, trasformando la musica in puro virtuosismo. Si arriva a non riconoscere più un brano a causa della velocità alla quale viene eseguito, per la difficoltà di percepire i particolari e i dettagli della scrittura musicale, la poetica dei passaggi più delicati. La velocità ammazza la musica e oggi, grazie alla maggiore facilità con cui si apprende la tecnica (quanti giovanissimi cinesi, giapponesi, russi, sfoggiano capacità tecniche strabilianti!), si “corre” per sorprendere, per esibirsi, per strappare gli applausi, come negli spettacoli circensi.

A fronte dei tempi veloci che diventano velocissimi, à-bout-de-souffle, di “Allegri” trasformati in “Presto” o in “Prestissimo”, accade che per una sorta di compensazione si rallentino sempre di più i “Grave”, i “Largo”, i “Lento”, gli “Adagio” fino a farli diventare addirittura noiosi per non dire incomprensibili, mentre gli “Andanti”, gli “Andantini” e gli “Allegretti” sembrano passati di moda!

Per apprezzare la correttezza di una esecuzione, soprattutto per quanto riguarda i tempi ma non solo, è interessante mettersi nello stato d’animo di chi sta ascoltando una conferenza o la lettura di un testo ad alta voce, e domandarsi se l’esecutore “si spiega bene”, se ha un “bell’eloquio”, se è “chiaro” e “convincente”. In altre parole se la musica viene a noi empaticamente e ci parla con chiarezza oppure se ha delle oscurità, parti o passaggi che stentiamo a decifrare perché troppo veloci, o perché tanto lenti da farci perdere il filo dell’ascolto!

La musica, se eseguita ed ascoltata come un racconto, ci viene incontro, è più comprensibile, dice più cose, diventa amichevole. Ovviamente, però, ci deve essere un interprete che voglia affrontarla con quello spirito, che abbia capito lui per primo che cosa racconta la musica, e soprattutto che sappia a sua volta raccontarla al pubblico!

Paolo Viola

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