25 gennaio 2022

IL MERCATO DELL’USATO

Nuovo o vecchio c’è sempre stato


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Alcuni liceali milanesi, dotati di ottima capacità di cogliere al volo le tendenze tra i coetanei e di una particolare inclinazione per gli affari, nei periodi in cui le cose vanno bene possono arrivare a guadagnare anche mille euro al mese. Legalmente, senza muoversi dalla scrivania o dal divano, soltanto comprando sneakers usate di questa o quella marca molto richiesta, per poi rivenderle ad amici o compagni di scuola. Poi il passaparola fa il suo lavoro virale e la domanda aumenta senza neppure fare troppa fatica, così come gli incassi. Che cosa sono le sneakers? Quelle cose che una volta chiamavamo scarpe da ginnastica, poi dobbiamo esserci distratti e qualcosa ci è sfuggito di mano dal punto di vista linguistico, ma ormai dobbiamo farcene una ragione: alcuni modelli, nuovi e acquistati in negozio, possono costare anche 400 euro al paio. 

Oggi esiste una piattaforma esclusivamente dedicata a questo genere di scarpe. Solo usate, esclusivamente usate, di tutte le marche, ripulite e sanificate, come nuove. La piattaforma in questione è americana e si chiama Kenkt: il suo mercato nei soli Stati Uniti raggiunge i due miliardi di dollari e in Italia può già contare su migliaia di utenti. Se qualcuno vuole disfarsi di un modello che non piace più, lo fotografa e pubblica online con la richiesta del prezzo, ovviamente molto competitivo rispetto al nuovo. Sulla sponda commerciale opposta troverà qualcuno che vuole comprarne un paio usato per risparmiare, e gli basterà curiosare sulla piattaforma finché non trova ciò che cerca. 

In una realtà simile, guadagnarci su è un gioco da ragazzi svegli: basta puntare su un ragionevole ricarico. Si chiama re-selling e consiste nel comprare per poi rivendere, guadagnandoci. Come dite, questa storia di comprare usato per poi rivenderlo vi pare di averla già sentita? Avete ragione: è antica almeno quanto il baratto, rappresenta l’antitesi del consumismo occidentale moderno e, come contrappasso, oggi sfrutta proprio gli effetti del consumismo tecnologico per affermarsi sempre di più nei nostri sistemi commerciali, puntando sulle piattaforme online e sulla facilità di operazioni tutte velocemente realizzabili con un telefonino a portata di mano, vera killer application di questo mercato. 

Un mercato che secondo gli analisti vale quaranta miliardi di dollari a livello mondiale. Il business planetario l’aveva già fiutato anni fa Pierre Omidyar, che nel settembre 1995 aveva mandato online la sua intuizione, eBay, una delle più grandi piattaforme internazionali di compravendita dell’usato, dove è possibile trovare di tutto. In Italia è arrivata nel 2001 e da allora i suoi volumi sono in continua crescita. La sede centrale è in California, a San Jose, il fatturato supera i 10 miliardi di dollari e il valore di un’azione della società, quotata al Nasdaq di New York, a metà gennaio oscillava attorno ai 66 dollari. 

Diciamo che la creatura di Omidyar ha fatto da apripista, dimostrando a tutti che anche nelle società più proiettate verso la corsa continua all’acquisto, a buttare il vecchio per il nuovo, a non riparare ma a ricomprare (il mantra è: si fa prima e si spende meno), esistono ampi margini di business per tutto ciò che un tempo veniva definito “seconda mano”. Adesso si chiama “second hand”, il senso rimane invariato, e raggruppa sotto la stessa classificazione una serie di piattaforme con fatturati da multinazionali. Prendiamo ad esempio Vinted, che da qualche mese si propone anche attraverso la pubblicità diretta su canali televisivi italiani: è nata in Lituania nel 2008 da un’idea di Milda Mitkute e Justas Janauskas e oggi può contare su una community stimata in quasi 50 milioni di utenti, ha centinaia di dipendenti, un fatturato che supera i 30 milioni di dollari e il suo valore viene valutato attorno al miliardo, sempre ragionando in dollari americani. Oppure Wallapop, arrivata da poco sul mercato italiano, società spagnola che ha un fatturato di circa 50 milioni di dollari. O ancora il marketplace di Facebook, da tempo profilato sulle realtà locali, Italia compresa. 

Del resto, sul fatto che questo business stia attraendo molti investitori internazionali lo dimostra l’attenzione che da tempo gli dedica la società Schibsted, uno dei grandi protagonisti internazionali della compravendita dell’usato online presente in 22 Paesi, fatturato di 871 milioni di euro: questa multinazionale norvegese è sbarcata in Italia comprando InfoJobs nel 2004, fondando Subito.it nel 2007 e Pagomeno nel 2016, piattaforme in cui si può trovare di tutto, dal lavoro all’abbigliamento, alle automobili, settore peraltro già presidiato da noicompriamoauto.it. 

E gli investitori italiani? Chi ha qualche anno sulle spalle ricorderà l’arrivo nelle edicole milanesi di una testata storica e a suo modo rivoluzionaria: si chiamava “Secondamano” e ospitava centinaia di annunci gratuiti per tutti i gusti e tutte le tasche. Era il 1977, poi sulla sua scia arrivò anche l’omologa romana, “PortaPortese”. Da anni, alla versione cartacea “Secondamano” abbina anche quella online che produce il 15 per cento circa del fatturato totale del gruppo, 34 milioni di euro. Quarantacinque anni fa non c’erano smartphone né piattaforme web di portata planetaria e le operazioni erano un po’ più lunghe: per trovare la Vespa usata che cercavi dovevi scorrere tutte le inserzioni, prendere il numero di telefono, contattare il venditore che magari stava a Monza, accordarti sul prezzo e sulle modalità di consegna. Bisognava andarla a recuperare con l’aiuto di qualche amico munito di capiente furgone. Poi finalmente riuscivi a mettere le mani sull’oggetto dei tuoi sogni. Non erano sneakers, era uno scooter. Suona quasi uguale, ma vuoi mettere? Parola di boomer. 

Ugo Savoia

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