7 settembre 2021
IL “CATTIVO CARATTERE” DI GINO STRADA
Imprenditorialità, etica sociale e sacrificio personale
7 settembre 2021
Imprenditorialità, etica sociale e sacrificio personale
Non aveva un buon carattere, dicono. Le rare volte che tornava, Gino Strada appariva a molti troppo diretto, franco, urticante nei giudizi e quasi arrogante nella pretesa di trovare, ora e qui, le risorse, l’aiuto, la vicinanza spirituale e la solidarietà concreta ad Emergency. Non c’era tempo, non aveva più molto tempo. Senza tergiversare, prendeva posizione e faceva domande che non lasciavano spazio ad ambiguità o vie di mezzo: hai voglia o no di darmi una mano, senti anche tu l’orrore che vivo tutti i giorni nei teatri di guerra, sei davvero vicino o la tua parola è ipocrita finzione? Così metteva a disagio, specie chi lo incontrava per dovere istituzionale, pubbliche relazioni, o ricerca di consenso.
Ma era solo questione di carattere, un limite personale, quasi un peccato originale? O non dobbiamo piuttosto ammettere che il “carattere” non è dato una volta per sempre, ma è nutrito e plasmato nell’intreccio tra le inclinazioni e le esperienze di vita, le emozioni, gli incontri? La sua insofferenza nasceva anche dalla rivolta morale contro l’assuefazione anestetizzante che rende quasi accettabile l’orrore quotidiano, purché la sua rappresentazione sia lontana dai nostri occhi. Gino Strada, cresciuto in un ambiente operaio, era imbevuto di valori di eguaglianza e giustizia, radicalizzati con le lotte studentesche, e poi come esacerbati con Emergency. Se molti suoi coetanei avevano ripiegato le bandiere, accomodandosi nelle pieghe della società, lui aveva tenuto fermo l’occhio critico, allargandolo al mondo, mettendo in gioco sé stesso, la sua persona, orientando sguardo e professione sui mille e lontani teatri di guerra planetari. Per molti, uno svuotare il mare con un secchiello, inutile e presuntuoso, ma, per lui ed altri, la radicale prassi esistenziale che salva vite concrete, “obbliga” con l’esempio gli spettatori rimasti ai margini del campo e può generare cambiamento.
E del resto, come non diventare insofferenti se ogni giorno ci si misura con la vita e la morte, con l’ingiusta distribuzione nel mondo delle chance dell’esistenza, se si affondano le mani nelle carni straziate dalle mine, se si ricuce, tampona, amputa, i corpi di innocenti, se infine si resta impotenti davanti al corpo di un bimbo assassinato certo dalle schegge ma anche dall’assenza, in quel momento e luogo, di un’ambulanza, un’attrezzatura un infermiere esperto, e quindi qualcosa per salvarlo si poteva fare e non è stato fatto? Un’esperienza così profonda e devastante, così atrocemente didattica ed esattamente dimostrativa dell’iniquità e delle barbarie odierne, della guerra, dell’indifferenza e delle connivenze del mondo “sviluppato”, da lasciare senza fiato, rendendo insopportabili i birignao e gli opportunismi della società da cui Gino Strada pure proveniva. E come accettare che le “brave persone” incontrate non riescano neppure ad immaginare, tanto meno a capire, l’orrore quotidiano e la necessità di porvi rimedio, anche solo per salvare una vita tra le mille.
Chiamiamolo pure “brutto carattere”, se piace, ma ammettiamo che questo tratto personale, la sua radicale insofferenza, era frutto del tragico dolore in cui era immerso e della resistenza di molti a comprendere, fare propria e prendersi effettivamente carico dell’emergenza etica, sociale e politica che, oltre a quella della strage dei corpi, Gino Strada squadernava con le parole e la facies: gli occhi cerchiati, il pallore, lo sguardo un po’ fisso, erano, con il suo dire, insostenibili, non perché raccontavano la sua sofferenza personale ma perché chiedevano conto delle sofferenze evitabili con un di più di dono, almeno.
Così, l’”apparire” in società di Gino Strada dava scandalo, ed interrogava con durezza ciascuno, persone, comunità ed istituzioni. In questo molto vicino alla fisionomia spirituale di quanti, laici e religiosi, modellata la propria vita attorno ad un assoluto totalizzante, si misurano con quanto li circonda, eroicizzando la propria esistenza e quasi meravigliandosi della indisponibilità degli altri ad essere, se non “eroi” o santi, almeno solidali e toccati nel profondo.
Teresa Sarti, compagna di vita fino al 2009, condivise la missione e la direzione di Emergency, dando la sua forte impronta personale ad un’esperienza che, come tutte le cose di questa terra, doveva pur vivere non solo di testimonianza ed esempio, ma anche di risorse e reti. Si dice fosse più colloquiale e flessibile, ma sarebbe profondamente sbagliato indulgere, nel ricordare la complementarietà tra Teresa e Gino, ai luoghi comuni del dolce tratto della figura femminile: probabilmente, Teresa Sarti disponeva di un registro più ampio ed articolato nella comunicazione e comprendeva meglio la molteplicità delle vite, delle debolezze umane e dei piani infiniti dell’esistenza.
Forse sapeva, anche per questo, aprire e tenere in mano le relazioni con quanti, urtati da Gino e poco disponibili a rimettere in discussione, per la sua causa, la loro vita o quella delle entità loro affidate, sentivano tuttavia, oscuramente, che “qualcosa andava pur fatto” o che bisognava “pur far vedere che si faceva qualcosa”. Teresa Sarti, possiamo credere, comprendeva maggiormente la debolezza dell’umano, ed ammetteva lucidamente che sono pochi, sotto tutte le latitudini ed in tutti i tempi, gli uomini e le donne che trovano in sé il coraggio e le risorse per insorgere di persona contro l’orrore e l’ingiustizia, ma che anche a questi “una occasione va pure offerta” per renderli compartecipi, nei limiti della loro natura e delle contingenze.
Entrambi hanno immaginato, creato e fatto crescere Emergency, una visione planetaria della solidarietà nella forma dell’“impresa sociale globale”, distinguendosi creativamente da quanti, e non sono pochi, hanno dedicato, in terre lontane e nell’oscurità, la vita tutta intera alla lotta per la pace, contro la sofferenza, l’ingiustizia e la morte degli innocenti. In questo sta il genio specifico e distintivo di entrambi, in questo va riconosciuto il valore innovativo di un talento che non solo ha saputo coniugare imprenditorialità, etica sociale e sacrificio personale, ma ha compreso ed accompagnato la necessità esistenziale di affermare Emergency nello scenario globale contemporaneo, presentandosi come attore autonomo ed autorevole sui teatri di guerra, attivando risorse, testimoniando valori, attraendo vocazioni. Due vite eccezionali e legate intimamente, due personalità che onorano Milano e l’Italia intera. Il popolo milanese ha reso largo omaggio alla morte di Gino, ma triste è stata l’assenza fisica delle istituzioni e delle personalità pubbliche, salvo il nostro Sindaco e pochi altri.
A loro vanno tributati riconoscenza, affetto e memoria, e sarebbe davvero un grande gesto se il segno cittadino andasse ad entrambi i nomi di Gino Strada e Teresa Sarti, insieme incisi e ricordati, come vissero e diedero vita alla comune impresa.
Giuseppe Ucciero
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