28 aprile 2020
IL COVID-19 NON SI PUÒ SCANSARE
La favola “la tecnologia che risolve tutto” non sta più in piedi
28 aprile 2020
La favola “la tecnologia che risolve tutto” non sta più in piedi
Una presa d’atto. Quando è arrivata la pandemia molte voci si sono levate: ”La natura ci ha mandato un segnale”. La natura è quello che è, non manda segnali, si limita a cambiare sulla spinta dei comportamenti umani. Il mondo della scienza manda invece degli allarmi per avvertirci che i nostri comportamenti stanno mutando la natura, il mondo e che questi mutamenti potrebbero esser deleteri per noi.
Foto di Elisa Tremolada
Il mondo della scienza non ha taciuto ma la politica, i governanti, hanno troppo spesso accolto questi segnali con un messaggio di ottimismo: “ La tecnologia sarà la soluzione di tutti i problemi.”. La verità è che in questo mondo, governato dai grandi interessi economici, non si vogliono far nascere dubbi sul modello di società basato sui consumi: questi devono crescere senza sosta. Per far quattrini.
I segnali e le misure da prendere avevano un difetto di comunicazione: l’effetto a breve su ognuno di noi non era immediatamente percepibile. Il cambiamento di clima, l’innalzamento del livello dei mari, la scomparsa delle specie animali, l’inquinamento degli oceani invasi dalla plastica non colpiscono direttamente il nostro corpo, la nostra vita. L’unico danno immediatamente percepito è l’inquinamento dell’aria ma riguarda solo gli abitanti delle grandi città.
Il Covid-19 non è un segnale mandato dalla natura, è un “incidente” largamente previsto del mondo devastato e globalizzato e siamo noi ad averlo globalizzato e devastato.
Nella tragedia questo segnale ha un vantaggio, si fa per dire, l’abbiamo di fronte: la morte, la nostra, quella dei nostri cari, quella dei nostri vecchi, dei nostri amici, la sfilata delle bare. Non è la morte del mandarino in Cina. Il Covid-19 non scansa nessuno nemmeno i grandi della terra, quelli che dovrebbero sentire ma non sentono la responsabilità di ciò che sta accadendo.
Eccoci qua ad affrontare un problema d’inimmaginabili dimensioni per la sua gravità e complessità.
Domenica scorsa ascoltando Rai24 alle 10 e mezza sono incappato in un’interessante trasmissione: Obbiettivo Italia: idee per ripartire. Due gli intervistati: Marco Bentivogli segretario generale FIM Cisl e Francesca Masiero imprenditrice del NORD/EST, a capo di un’azienda fondata dal padre che produce accessori per serramenti, 18 milioni di fatturato del quale l’80% esportato.
Due persone intelligenti, pacate, direi all’unisono. Di tutta la trasmissione, che andrebbe rivista, mi sono rimaste impresse due parole della Masiero: nuova normalità. Credo che sia la miglior definizione per descrivere il nostro futuro.
Sarà la fase due? La fase tre? Non so, sarà comunque l’ultima quella che dovremo vivere tutti, anche gli incauti del “sarà tutto come prima”. Smentiti.
Quale sarà la nuova normalità è un tema che ha spinto molti, intervistati in televisione o sulla carta stampata, ad affidarsi alla fantasia e in qualche caso all’utopia: fantasia e utopia sono il campo degli intellettuali, va meno bene quando fantasia e utopia sono terreno di esercizio dei pubblici amministratori.
Sulla nuova normalità della socialità in città ne potremo dire qualcosa solamente quando gli scienziati ci daranno un vaccino ma, non solo, quando ci diranno anche quanto dura l’immunità. Queste questioni impattano soprattutto sul più grave dei problemi emersi oggi: la mobilità e i trasporti pubblici.
Purtroppo non possiamo aspettare, dobbiamo prendere la decisione sul cosa fare domani con in più un grosso problema morale. Qualunque cosa si decida prima della scomparsa totale del Covid-19 a proposito del lockdown ci impone una riflessione: quanti morti ci saranno ancora? E, cinicamente, quanti morti possiamo sopportare prima di una nuova chiusura totale?
Proviamo a esaminare anche solo il problema dei trasporti pubblici.
Non è un problema solo nostro, di Milano o dell’Italia, è un problema mondiale perché è un’infrastruttura, una delle più importanti, che condiziona e supporta la mobilità delle persone che spostandosi sia di poche centinaia di metri, sia di migliaia di chilometri riescono a raggiungere i propri posti di lavoro. Se non riescono il mondo si ferma.
Sui trasporti pubblici una delle risposte che si pensa dare a questo problema è l’incentivazione dell’uso della bicicletta. L’ha detto il Sindaco e a ruota l’assessore ai Lavori Pubblici Marco Granelli. Mi aspettavo di più, molto di più: un esame dell’intero problema e non la banale, marginale ovvietà della bicicletta.
Ciclobby ha fatto una indagine sui ciclisti milanesi nel 2017, ne ha contati poco più di 11.000 al giorno sulle tre direttrici più importanti e se dicessimo che sono la metà di quelli che circolano in tutta Milano penso saremmo ottimisti. I passeggeri della MM sono 1.400.000 e quelli dell’ATM sono 776.000 : in totale 2.176.000. Anche se miracolosamente moltiplicassimo per quattro i ciclisti a arriveremmo a 40.000. Di cosa stiamo parlando? Di chi stiamo parlando? Il problema sono i ciclisti?
Qualche domanda viene spontanea. I trasporti pubblici tutti insieme avranno una capacità ridotta al 25%, ossia 544.000 passeggeri. Del restante 1.632.000 che ne facciamo? Perché non si dice nulla di come gestire questa valanga. Perché i giornali parlano solo dei passeggeri della MM e non dell’ATM? Perché malgrado questi numeri terrorizzanti si parla tanto delle piste ciclabili? Quando parleremo dei pendolari? Come fa a ripartire la città se almeno il 50% degli addetti non riesce ad arrivare al lavoro?
Si parla di abolire le zone a traffico limitato, di facilitare il parcheggio, di spingere verso l’auto condivisa per attenuare gli effetti della congestione in città. Quante macchine di “nuovi” pendolari in automobile troveranno fisicamente il posto?
Certo ci sono anche altri campi da esplorare come l’urbanistica e anche qui bisogna far attenzione a non proporre pannicelli caldi dotati solo di visibilità.
Il Comune di Milano pensa di chiedere aiuto ai cittadini perché facciano proposte di soluzione ai problemi immediati e a quelli della nuova normalità.
Per sollecitarli ha messo online un documento, interessante e articolato, dove forse non si è fatta abbastanza separazione tra il subito e il poi, così come non si son distinte le due categorie di attori: l’amministrazione e i cittadini. Comunque val la pena di rispondere all’appello del Comune sperando che le decisioni future tengano realmente conto dei contributi ricevuti. In altre analoghe circostanze non è andata così.
Luca Beltrami Gadola
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