23 aprile 2020
LA CITTA’ CI STA STRETTA
Gli spazi esterni e quelli interni alla prova del Covid-19
23 aprile 2020
Gli spazi esterni e quelli interni alla prova del Covid-19
Foto di Nicolò Maraz
Viviamo tutti nella speranza che la pandemia abbia anche degli aspetti positivi e anche io spero che il Cura Italia possa significare prendersi cura dell’Italia, mettendo a posto ciò che non funziona: dagli acquedotti, ai ponti, alle scarpate, ai torrenti, zone sismiche e no, scuole e servizi pubblici con l’augurio di non assistere a una pioggia di soldi a debito per attività inutili, ovvero utili solo ad accontentare gruppi di pressione. Proviamo a pensare a cose semplici ovvero a come potrebbero cambiare gli usi abitativi e il mercato dell’edilizia partendo dalle esigenze individuali e non da strategie di mercato che spesso si rivelano totalmente sbagliate.
La prima cosa di cui tutti abbiamo sentito la necessità in questo periodo è lo spazio. Lo spazio in casa innanzi tutto: senza una stanza come luogo di lavoro, lo smart working è un incubo, con i bambini che gridano, il cane che vuole uscire, qualcuno a fianco che spignatta e musica a tutto volume. Direi che l’open space come sistema abitativo è ormai sul viale del tramonto perché urge avere un piccolo spazio autonomo possibilmente con porta chiusa a chiave e una finestra o magari ricavato con una nicchia di pareti libreria che facciano sfondo professionale durante la call conference. Penso che al salone del mobile 2021 si vedranno vari gusci per video incontri casalinghi.
Abbiamo visitato nella nostra vita numerose mostre sulla casa del futuro con varie visioni di architetti, designers, scrittori, artisti: case minime, ipertecnologiche, flessibili dove tutto è connesso e felicemente condiviso. Forse adesso dobbiamo tornare a guardare indietro alla casa borghese funzionalista dove ogni attività ha uno spazio preciso e le stanze una ampiezza confortevole. Spazio che manca in casa e soprattutto fuori casa: chi ha potuto all’inizio della crisi si è precipitato in campagna e facebook è pieno di foto idilliache di signori/e che potano l’aiuola e zappano l’orto con l’aria di superiorità nei confronti di chi se ne sta chiuso a Milano.
Da questi comportamenti legati a una maggiore necessità di spazio individuale e di desiderio di aria aperta, ne traggo qualche possibile tendenza immobiliare: potrebbe ad esempio tornare la voglia di vivere fuori città, cosa già successa altre volte e poi rientrata. Non sto certo auspicando un nuovo sprawl urbano con quartieri di villette lungo le autostrade ma piuttosto un’attenta azione di recupero di parecchie costruzioni già esistenti in provincia e in campagna che dopo la crisi immobiliare dei subprime sono crollate di valore, non si sono più riprese per cui hanno al momento un triste destino di degrado e distruzione. Ci sono interi paesi in mezza collina tutti in vendita o case di famiglia semi abbandonate, cascine vuote, case ampie con giardino ma a tutt’oggi scomode per la lontananza dalla città, che possono trovare una nuova vita.
Previsioni del mercato immobiliare, che a tempi brevi avrà sicuramente una contrazione, ipotizzano un crollo del settore degli uffici e alberghiero, l’apertura di spazi in coworking distribuita sul territorio e una sostanziale tenuta del mercato residenziale, anzi la rivista americana Nuveen Real Estate scrive di “ venti strutturali favorevoli, dovuti al rimescolamento delle funzioni e a nuove necessità abitative”.
Il va e vieni dall’interno e dall’esterno della città c’è sempre stato nel passato legato a eventi storici o anche allo spirito dei tempi e alle mode che cambiano: a seguito del virus la ipermetropolizzazione delle città potrebbe arrestarsi. Non voglio addentrarmi in visioni al disopra delle mie capacità di pianificazione strategica, ma tornando alla Lombardia che da tempo presenta le caratteristiche della città-regione formata da nuclei abitati, aree agricole e industrie tutte collegate, è possibile che si rafforzi questa tendenza in modo più ordinato e facilmente fruibile. A questo proposito – è un tema di cui si parla da anni – si è sempre presentato il grande problema dei trasporti la cui carenza ha impedito fino adesso che si sviluppasse un rapporto semplice e veloce tra Milano e le città e i paesi di provincia. Da una parte treni pendolari rigurgitanti, spesso pochi e sporchi, spesso fermi per qualche grana alle rotaie, dall’altra ancora molte automobili, traffico, polveri sottili, con la Lombardia che si presenta come l’area più inquinata d’Europa.
Il problema pare aggravarsi con il Covid ed è possibile che prossimamente ci sia una ripresa del mercato delle auto percepite sicuramente come più sicure di un trasporto pubblico superaffollato, ma non può essere questa la soluzione. Il punto chiave è la distanza: se le reti trasportano più dati che persone, i territori possono trovare le proprie aree di equilibrio, quasi degli ecosistemi umani e vegetali che integrino stili di vita, funzioni e produzione. E per fare questo occorre, come diceva Renzo Piano qualche anno fa un lavoro attento di ricucitura.
Tornando alle prime righe di quest’articolo volgo una preghiera a chi può decidere: prendiamoci veramente cura del nostro territorio, facciamo ciò che serve, e ciò che serve è molto legato all’edilizia a opere pubbliche e private. L’edilizia nel dopoguerra ha dato lavoro a milioni di persone e questo può succedere ancora ma non nel modo anarchico e distruttivo di buona parte della seconda metà del Novecento, piuttosto con l’idea precisa e condivisa di mettere a posto l’Italia. Allora erano milioni di magut che spingevano le carriole e impastavano il cemento oggi anche nell’edilizia occorre una manodopera specializzata con tecnici formati e il costruttore è un general contractor che organizza squadre di persone competenti nel loro settore che per altro comprende produzioni all’avanguardia e di forte esportazione come nel campo del design e delle ceramiche.
Molte delle opere che riguardano servizi e territorio saranno pubbliche e questo potrebbe scatenare la canea delle gare al super ribasso con i mille sotterfugi e i mille documenti che rendono tutto eterno e spesso corrotto: impedire un enorme blocca cantieri sarà uno dei compiti fondamentali di associazioni industriali e sindacati.
Giovanna Franco Repellini
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