5 febbraio 2019
PESCARE LA NUOVA RICCHEZZA DI MILANO
Senza licenza e gratis
Il momento di notorietà, dinamismo e slancio di Milano è incontestabile, principalmente per merito di Expo2015. Quando questa vicenda si era impantanata e si perdevano mesi e anni in assurdi balletti per l’incerta conduzione di Letizia Moratti e quando il giorno dell’inaugurazione si avvicinava molto pericolosamente, fui tra coloro che ritenevano fosse meglio rinunciare o chiedere un anno di proroga come la Francia ai suoi tempi. Beppe Sala tentò la sua avventura e dobbiamo certamente a lui se le porte di Expo si aprirono puntualmente. Fu premiato con l’elezione a Sindaco.
Milano dunque è in un momento di grazia e, come spesso accade, molti cercano di salire sul carro del vincitore o, forse meglio, di trarne profitto: Milano è diventata un bel lago dove pescare con grande soddisfazione. Un’utile metafora.
Arrivano dal resto del mondo e dall’Italia turisti, studenti, investitori, nuove attività immobiliari e commerciali, sedi di società, organizzatori di spettacoli e convention, gallerie d’arte oltre ai grandi gruppi del mondo Internet e dell’e-commerce, come Google e anche Amazon che, se non è in città, le sta addosso. Questo fervore ha anche provocato un rialzo dei valori immobiliari e ha dato vigore al relativo mercato con un’utile avvertenza: i valori di mercato sono una variabile dipendente e soffrono di grande volatilità, basta ricordare la famosa “bolla” che travolse Wall Street.
Detto tutto questo veniamo al sodo pur restando nel mondo delle metafore: nel Lago Milano si pesca senza licenza e gratis? Tanto per capirci: chi fa preda deve o non deve lasciare qualcosa per finanziare la città e i suoi bisogni? E ancora: quanto durerà questa pesca meravigliosa?
Far durare la pesca è compito del guardiapesca, come dire Giunta e Sindaco, facile a dirsi non altrettanto a farlo, ma credo che il concetto sia chiaro.
Sento già il coro delle obiezioni: vantaggi, non pochi, ce ne sono già in termini ad esempio di occupazione, di attività di alloggio e ristorazione, di commercio e così via ma, tolte le imposte di soggiorno, cosa va direttamente nelle casse del Comune? Penso a qualche piccola imposta locale come diritto di affissione o di occupazione di suolo pubblico e altro certo, non sono un esperto. Poco ritengo, briciole, perché quasi tutti gli altri maggiori gettiti dovuti alla dinamicità di Milano se vanno allo Stato sotto forma di imposte sul reddito delle persone fisiche e delle aziende e simili.
Non dimentichiamo che la maggior attività economica e turistica porta con sé “consumo” della città e bisogno di maggiori infrastrutture e necessita di maggior manutenzione.
Lo so bene che parlare di tasse e di imposte non è popolare ma tra l’affermazione di Padoa-Schioppa del 2007 – “Pagare le tasse è bellissimo”- e quella di Vittorio Sgarbi del 2015 a Ballarò – “Pagare le tasse è immorale”- c’è un abisso, come il valore dei due personaggi, ma di lì non si scappa. Un abisso che va colmato.
Milano ha bisogno di risorse economiche, non certo per riaprire i Navigli ma per colmare le distanze tra centro e periferia, per soccorrere chi passa le notti per strada, per proseguire nei suoi programmi di integrazione degli immigrati perché, anche se Salvini ha ridotto gli arrivi, magari a zero, la balla dei rimpatri forzati sappiamo tutti, e lui per primo, non regge: sono qui e qui restano, probabilmente aumenteranno i clandestini. Per integrare oltre alla volontà, che c’è, ci voglio denari.
L’integrazione, l’assistenza ai deboli, il recupero sociale delle periferie sono i segni della storica civiltà milanese. Se oltre al “campionato” tra Smart City ci fosse un campionato di “civiltà civica” saremmo in testa alla classifica.
Un canale per trovare risorse lo indica Roberto Camagni nel suo articolo su questa pagina, altri se ne possono scovare come la riscoperta del contributo di miglioria specifica che, adottato agli inizi della MM1 ebbe dei problemi, forse oggi superabili. Siamo o non siamo un Paese di inventori di “finanza creativa”? Possibile che il nostro genio si fermi di fronte alla “fiscalità creativa”? Non posso crederci.
Luca Beltrami Gadola
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