19 marzo 2018

PICNIC A WEIMAR: GHE PENSI MI…!

Urbanistica: indifferenza e


Nella “piccola Dubai”, roccaforte della sinistra futurista, da sempre effervescente laboratorio politico-culturale (1), vi sono fermenti che hanno cercato disperatamente di riconnettere le anime della città, quella popolare e solidale con quella affaristico modaiola. Ma la distanza tra le due narrazioni, come quella tra Milano sive Atene e Milano città degli untori è troppa. Levare un vento di rinnovamento a scala nazionale sulle premesse della “rivoluzione arancione”, missione impossibile. L’occasione di far crescere questa voglia di riforme e partecipazione partita dal basso è finita per soffiare sulle vele degli altri. L’indifferenza della politica nazionale ha contribuito ad allargare il solco e la distanza tra le esigenze di un paese da riavviare e la montante paralisi burocratico amministrativa dello Stato Centrale.

05borsa11FBIntanto la bufala del “federalismo urbanistico”, trionfo del laissez faire, ha depotenziato e squalificato le superstiti sacche di competenza e esperienza tecnico-amministrativa a livello comunale sopravvissute alle controriforme deresponsabilizzanti. La politica trafficona, dal canto suo ha tramortito il riformismo creando un partito trasversale specializzato nei grandi affari “pubblici” di sanità e urbanistica…Facilitatori, efficientatori, azzeccagarbugli con esperienze di “management gestionale” trapiantati nella politica che di politico non hanno nulla, ma restano abili manipolatori del binomio consenso-affari, più vicini a Leonard Zelig che a Trockij o a Bismark. Un conformismo imbarazzante (2) che oggi spopola, accanto al greve populismo becero, nel bestiario mediatico: le due facce tristi della stessa medaglia di latta che ha sostituito il primato della politica nella costruzione del futuro.

La questione dell’empasse e del ritardo culturale italiano non è nuova, come scrive Brancati: popolo intuitivo, e in molti casi dotato di genio, la sua classe dirigente teme che la cultura possa metterlo nella condizione di riconoscere qualche verità nociva ai suoi egoismi. Istintivamente se ne protegge. La parola carica di mistificazione rovescia l’affermazione kantiana: la verità, lungi dall’essere una conquista critica del tribunale della ragione viene neutralizzata dalla bugia, ripetuta mille volte nel megafono della propaganda.

In questi frangenti prevale l’arcaico inquietante subconscio antisociale, individualista, reazionario, classista e razzista di una nazione che ha fatto, scrive ancora Brancati, del qualunquismo populista la propria unica fede: in fondo ai libri che non legge, il suo subcosciente ha letto le parole di Stuart Mill: “Quand’anche tutta la specie umana, meno uno, avesse un’opinione, e quest’uno fosse d’opinione contraria, l’umanità non avrebbe maggior diritto d’imporre silenzio a questa persona, che questa persona, ove lo potesse, all’umanità tutta”.

Della minoranza di persone che hanno letto, solo in poche non prevale l’istinto di conservazione coniugato all’egoismo di casta. Un paese senza un progetto educativo e cultura democratica adempie sempre alla fatale relazione per cui la lingua diventa strumento di alienazione. Come performance di ogni linguaggio, per Barthes, la lingua non è reazionaria né progressista; essa è semplicemente fascista; il fascismo, infatti, non è impedire di dire, ma obbligare a dire. Anche Cederna ci avverte: abituati come siamo alle chiacchiere pompose e contemporaneamente incapaci di realizzare niente che sia lontanamente paragonabile, per noi tutto (dalla città-giardino alla new town, dal giardino pubblico al parco nazionale) è «superato».

Ci siamo cioè abituati a «superare» tutto a parole, per interposta esperienza. Quando scavalchiamo la democrazia, passando direttamente all’economia corporativa dei “migliori”, fabbricare il consenso diventa il solo drammatico imperativo dell’alienazione. Proliferano le narrazioni impregnate di ideologia autoritaria e retorica massimalista, incapaci di esprimere criticamente il nesso realtà/verità. Poche straordinarie figure, non necessariamente di sinistra, eccentriche alla tipologia lombrosiana predominante, hanno cercato di coniugare sviluppo, ricerca, innovazione progresso civile e sociale, cultura del lavoro, tutte prontamente rottamate quando non sepolte direttamente.

Il profetico ritratto disegnato da Pasolini, del tipo umano prevalente nel nostro tragico paese, ci restituisce la genealogia della classe dirigente attraverso la quale il sogno utopico di una possibile redenzione continua a naufragare: Il sorriso di Troya è invece un sorriso di complicità, quasi ammiccante: è decisamente un sorriso colpevole… Infine questo sorriso esprimeva anche un altro messaggio, che è un messaggio essenziale, indispensabile e direi quasi sacro in Italia: Troya, cioè, sorridendo furbescamente, voleva far sapere ininterrottamente, senza soluzione di continuità, e a tutti, che egli era furbo. Quindi che lo si lasciasse andare, per carità, che lui ‘sapeva certe cose’, ‘aveva certi affari urgenti d’importanza nazionale’ (che un giorno o l’altro si sarebbero saputi), che lui ‘era così abile e diciamo pure strisciante’ da cavarsela sempre nel migliore dei modi e nell’interesse di tutti.

Naturalmente, essendo un sorriso di complicità, era anche un sorriso mendico: mendicava cioè compassione sulla sua manifesta colpevolezza. L’Italia, primo paese all’avanguardia nella pianificazione urbanistica, ma soprattutto Milano, primo comune a dotarsi nel 1884 di un piano Regolatore di espansione oltre la cerchia dei bastioni con Cesare Beruto, è oggi, in piena recessione e sboom, il maxischermo sul quale la cattiva politica vuole continuare a riproiettare a tutti i costi il film del Miracolo Italiano senza porre le basi di nessuna profonda riforma culturale e sociale, tra cui una indispensabile e lungimirante legge urbanistica.

La crisi dell’urbanistica (e il prevalere della rendita) è lo specchio della crisi politica, di cui la nuova urbanistica dispotica, classista, infarcita di green e social è materializzazione concreta. La polpetta avvelenata è stata l’approvazione della famigerata legge sul governo del territorio, che col titolo Principi (ma meglio sarebbe stato Nuovi Prìncipi…) in materia di governo del territorio (3) (governo Berlusconi 2005), fregiandosi del nome di Maurizio Lupi, costituiva la pietra miliare del “riformismo eversivo”, vero dispositivo dissipativo di ogni garanzia costituzionale e preludio all’ascesa della mattonecrazia al governo della città. Come mettere i topi a guardia del deposito di formaggio. Oggi una politica urbanistica dotata di mille e più sofisticati strumenti per essere una realtà civilmente e civicamente partecipata è la conquista e la premessa indispensabile per una profonda riforma della democrazia. Ne discuteremo al Pavillion per l’aperitivo… Ma intanto le periferie…? Ci penseranno gli esperti di urban marketing di Bloomberg Associates: ghe pensi mi

Davide Borsa

1 – Sull’educazione milanese, due contributi recenti: L. Degli Esposti Milano capitale del Moderno in Milano Capitale del Moderno, a. c. di L. Degli Esposti, Actar 2017 e A. Torricelli, F. Acuto, In prova come epitaffio del progetto urbano, in Architettura Civile n. 17,18,19, 2017.
2 – He is first observed at a party by F. Scott Fitzgerald, who notes that Zelig related to the affluent guests in a thick, refined accent and shared their Republican sympathies, but while in the kitchen with the servants he adopted a ruder tone, and seemed to be more of a Democrat.
3 – M.C. Gibelli, Milano e la nuova ‘Legge Lupi’: un ritorno al passato? No: peggio, Arcipelago Milano 24 settembre 2014.



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