5 dicembre 2017

UN QUARTIERE “AL VERDE”: IL CASO DEL PII ADRIANO – MARELLI

Non sempre è possibile riabilitare gli errori del passato. Per una agenda al futuro


Mi ricordo di un vecchio film* in cui un pugile tutto cuore e poco cervello, dopo aver perso l’incontro per il titolo ai punti, con la faccia pesta e al sangue come una buona bistecca, urla a ripetizione “Adrianaaa!”.

03cafiero40FBEcco, quando il direttore mi ha chiesto di scrivere un articolo che partendo dal Quartiere Adriano provasse a ragionare sul tema del verde di periferia, la prima immagine che il mio cervello malizioso e contorto mi ha trasmesso è stata una sorta di mash-up in cui gli abitanti del quartiere si aggiravano ciondolanti come zombie scappati da una puntata di “The Walking Dead” per i desolati quadratoni di verde che circondano gli sparuti gruppi di edifici urlando: “Adrianooo!”.

Perché, diciamocelo, il Quartiere Adriano sembra un po’ un pugile suonato. Di quelli che barcollano per il ring cercando di rimanere in piedi fino al suono della campanella. Un pugile poco talentuoso. Forse una promessa mancata… Già! Promessa mancata potrebbe essere il sottotitolo da mettere su un eventuale cartello toponomastico all’ingresso del quartiere.

Un po’ di storia. Giusto un cenno, per non annoiare.

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Area Magneti Marelli, 1995

Primi anni 2000, il 12 dicembre 2004, per essere precisi. Quadrante nord-est della città, al confine con la (ex?) Stalingrado d’Italia. Area dismessa della Magneti Marelli. Foresta di elettrodotti. La classica situazione di recupero di area industriale dismessa tramite PII (Piano Integrato di Intervento), ma con una marcia in più. Masterplan dell’architetto Caputo. 300.000 mq su cui edificare SLP per 222.000 mq, di cui 160.000 residenziali. Sei torri di più di venti piani. Altri edifici a stecca che disegnano mega-corti in stile Bicocca, ma con mano più leggera. Un parco geometrico di circa 65.000 mq disegnato da forti diagonali, come va di moda adesso.

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Un successo annunciato, almeno sulla carta. Perché nella realtà questo è uno dei progetti urbani che, come Santa Giulia e l’area Falck (risanamento?), solo per citarne un paio, non solo non ha centrato l’obiettivo di riqualificare un pezzo importante di città, ma addirittura è diventato a sua volta oggetto di un piano di rigenerazione urbana. Quello promosso nel 2016 da Fondazione Cariplo. Avete capito? Facciamo un Piano per risanare un Piano che doveva riqualificare un’area dismessa.

Per capire meglio dobbiamo però fare un passo indietro e tornare agli anni ottanta, quando negli strumenti della pianificazione milanese compare la famigerata “Gronda Nord”. Poi con una certa perfidia il nome viene cambiato in SIN (Strada Interquartiere Nord). Un vero peccato!

Questa faraonica infrastruttura ha l’ambizione di collegare i quartieri di Milano da nord-ovest a nord-est (e viceversa) attraverso una strada di 11 chilometri a scorrimento veloce a due corsie per senso di marcia (con un tram nella corsia centrale).

SIN, sezione tipo

SIN, sezione tipo

Ma ci si mette di mezzo l’Europa (udite, udite!) sostenendo che per fare una strada ci vuole una VIA.** Umorismo da urbanisti, abbiate pazienza.

Per ovviare al problema, si trova una soluzione all’italiana: la SIN la facciamo a pezzi. No, non è uno slogan del Comitato contro la Gronda Nord, che si era appellato alla corte del Lussemburgo. È la strategia del Comune che decide di realizzare l’infrastruttura per tratti separati, per poi cucirli insieme in un secondo momento. Peccato che la città si trasformi nel tempo crescendo nei “buchi” non realizzati, e quindi ad oggi è probabile che la strada non si perfezionerà mai, rimanendo l’ennesima incompiuta. Va anche detto che con la scusa di Expo ne hanno completato un bel pezzo, da Cascina Merlata a Quarto Oggiaro, quattro corsie che poi finiscono nel nulla a ridosso del rilevato ferroviario che circonda i Gasometri in Bovisa. In futuro forse si arriverà ad incrociare viale Zara.

Ma cosa centra la SIN con il Quartiere Adriano? Semplice, la stradona doveva finire a Cascina Gobba, passando proprio attraverso il quartiere, dotandolo quindi di un collegamento con il resto della città estremamente rilevante. È ragionevole pensare che un PII di tale portata non avrebbe potuto prescindere dalla presenza di una infrastruttura così importante. E invece…

In un paese civile prima si fa la strada (la SIN), il tram e magari anche i servizi essenziali e solo poi si costruiscono gli edifici. Qui si è fatto il contrario. Di fatto le torri e i palazzoni spuntano in mezzo al nulla. Prati incolti e alberi di acciaio reticolare (gli elettrodotti). Giusto quattro strade lambite dalla vegetazione a stento trattenuta dalle classiche recinzioni a rete verde. Tanto sempre verde è. E quindi arriviamo al punto. Il verde pubblico non è sicuramente il problema principale del quartiere, ma è paradigmatico di una certa idea di verde che permea l’urbanistica milanese.

La leggenda vuole che nel vecchio Piano Regolatore per rispettare gli standard (termine che è stato pensionato dalla nuova urbanistica ex legge 12/2005) si conteggiasse pure il verde compreso nelle aiuole spartitraffico. Non ho mai appurato se ciò fosse vero, ma questo spirito in parte è rimasto nonostante l’urbanistica del PGT non preveda più lo standard, invero elemento quantitativo, avendolo sostituito con un concetto più qualitativo, cioè la “dotazione minima di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico”.

Ovviamente la qualità si paga. Infatti se lo standard in Lombardia era di 26,5 metri quadri per abitante, dal 2005 la “dotazione minima di aree etc. … .” è diminuita a 18 metri quadri, sempre per abitante. Pochi ma buoni? Ditemelo voi.

Intendiamoci, il concetto in sé è corretto. Meglio puntare su una dotazione di servizi per abitante ridotta ma di qualità, piuttosto che raschiare il fondo del barile, conteggiando anche le erbacce che crescono nelle crepe dei marciapiedi. Ma se faccio due conti sulle quantità del PII Adriano, scopro che tra verde e servizi pubblici ho una dotazione di 36 mq per abitante teorico. Considerato poi che gli edifici costruiti sono forse meno della metà, al momento gli abitanti del quartiere hanno a disposizione più di 60 metri quadrati a persona. Un bilocale a testa! Fantastico, no?

Forse è meglio, però, se ci guardiamo attorno. Ci sono i Giardini dedicati a Franca Rame e… basta! Il resto è costituito da prati incolti e cintati. Tratti sterrati e parterre di elettrodotti ronzanti ed inquinanti. Tanto verde inutile e desolante. Mi vengono in mente certi discorsi fatti da Pierluigi Nicolin a più riprese sulla “verdolatria”, termine coniato in realtà da Alain Roger nel 1997 (Breve trattato sul paesaggio, Sellerio, 2009). In buona sostanza Nicolin mette in guardia dall’utilizzo del verde come paravento dietro al quale nascondere volumi elevati (il riferimento è al Bosco Verticale) o dall’idealizzazione dello stesso in virtù di un naturalismo forzato. Noi italiani siamo storicamente maestri nel disegnare il verde, nel contaminare, nel senso buono del termine, il paesaggio con elementi minerali. Pensiamo ai cosiddetti giardini all’italiana, che altro non sono che l’esempio più alto di una natura modificata dal disegno artificiale dell’uomo.

Ho fatto un breve giro attraverso il Quartiere Adriano pochi giorni fa e ho osservato coi miei occhi come la wilderness che lo permea non sia un concetto voluto e forzatamente preservato, quanto piuttosto frutto di sciatteria e abbandono, degrado e incapacità di portare avanti un disegno nell’interesse degli abitanti in primis e della città tutta.

Domenica scorsa ho ceduto alla tentazione e mi sono recato in pellegrinaggio al nuovo City Life Shopping District, appena inaugurato. Anche se avanzo una posizione critica sul masterplan, ormai quasi del tutto realizzato, che non risolve uno dei temi forti di quel brano di città (la connessione dei tessuti attorno all’ex fiera), non posso negare di aver subito -e qui parlo da architetto più che da urbanista- il fascino di un progetto ben realizzato, con edifici (soprattutto il centro commerciale e la torre disegnati da Zaha Hadid) che si integrano e dialogano con il bel parco in un modo chiaro ed efficace. Sono passato senza quasi accorgermi da Piazzale Arduino a Piazza Sei Febbraio, prima nelle morbide curve del contenitore commerciale e poi al ritorno attraverso i vialetti nel verde che lo avvolgono con un disegno curato e ricco di movimenti.

Lo ammetto, è stato piacevole. E il paragone con la passeggiata di pochi giorni prima al Quartiere Adriano appare impietosa. Non credo che la giustificazione delle differenti posizioni geografiche dei due luoghi possa reggere. Dopotutto anche il Quartiere Adriano ha il suo “Shopping Center”, che si avvolge attorno all’iconica Torre Rifugio Antiaereo e che scimmiotta il centro commerciale del Portello di Gino Valle con la sua piazza coperta.

Anche perché immagino che siamo tutti d’accordo che sarebbe pericoloso far passare il concetto che la qualità del verde urbano dipenda dalla rendita di posizione. O no?

Pietro Cafiero

* Il “vecchio” film, ovviamente, è il primo Rocky, del 1976
** VIA=Valutazione di Impatto Ambientale


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