25 febbraio 2025
CIAO AMERICA?
La vecchia Europa cerca la strada per diventare “grande”
Dopo decenni di navigazioni in acque chete, soffiano forti venti di cambiamento e l’Europa si interroga sulle ragioni della sua esistenza e del suo destino.
Certo, per Donald Trump l’Europa non esiste.
Poco più di un’espressione geografica, il “vecchio continente” è un tardivo residuo del passato, un’appendice, un fastidioso foruncolo, un’escrescenza della sconfinata Eurasia, abitata soprattutto da russi e cinesi. Talmente debole e bulleggiata dal neonazista con cappellino. Talmente ininfluente e dimenticata ai tavoli dove siedono quelli che contano per decidere delle cose che contano.
Alcuni invitano a guardare alla sostanza oltre la forma. Brutale e politically in-correct, Trump replicherebbe negli affari pubblici lo schema negoziale vincente nella sua vita di uomo d’affari: aggredisce con la foga di un pittbull, morde, azzanna: “chi mena per primo mena due volte”. Se l’aggredito si spaventa, gli prenderà tutto, se terrà duro tratterà, fingendo di cedere qualcosa. “C‘è del metodo in questa follia”, diceva Polonio di Amleto.
Può essere, ma forse c’è di più e peggio, di diverso e molto più importante.
C’è una visione strategica, una valutazione del gioco di potenza sullo scacchiere mondiale, che in breve individua la Russia come junior partner contro la Cina, e come enorme giacimento di materie prime che attende i grandi capitali USA per essere messo a frutto, come già avvenne nel 1867 quando uno Zar pieno di debiti “si liberò” dell”Alaska per pochi milioni di dollari. Così, per riavvicinare la Russia, Trump è ben lieto di sacrificare l’Ucraina della quale, pur sentendola nominare, non sa bene neppure dove e cosa sia (ma non era Russia?). Se Putin vuole la sua parte e non tocca gli interessi americani, perché non accontentarlo? Anzi, si divida il bottino, a lui i territori conquistati, a noi le terre rare. Kiev si contenti di non essere invasa tutta e pensi ai suoi peccati. È la politica internazionale, bellezza.
Per l’amministrazione USA, l’Europa non serve, anzi è un concorrente commerciale pericoloso, un avversario ideologico ed un partner costoso. Concetti offensivi per i modi e dolorosi per le conseguenze, salvo però sfidarci a scoprire se c’è vita lontano dagli USA, passaggio esistenziale denso di rischi ed incerto nel risultato. Finestra di opportunità o colpo finale? L’indebolimento della solidarietà atlantica va aldilà della pur enorme rilevanza della NATO. È il legame, culturale, politico, economico ed ideologico, insomma geostrategico, su cui si sono retti i destini occidentali e mondiali dal ’45 ad oggi. Un passaggio di dimensioni epocali, su cui è però obbligatorio e prudente interrogarsi, Ci si deve chiedere se Trump è punto di non ritorno, avvio drammatico di una ormai inevitabile “deriva dei continenti”, o se sarà alla fine solo un “incidente di percorso”, un accidente della storia finora conosciuta, al cui corso ordinato si potrà tornare con sollievo. Si tratterebbe allora di “resistere, resistere, resistere”, contribuendo alla ripresa del campo democratico mondiale. “Vaste programme” diceva De Gaulle.
Ma il tempo stringe. In politica, specie se le cose accelerano, prendere le decisioni al momento giusto non è molto, è quasi tutto. Ed il tempo spinge per cambiamenti drammatici, fino a ieri imprevedibili. La caduta dell’interesse USA per i destini europei genera effetti, questi sì prevedibili ma sottovalutati. Il sentimento di imminente solitudine strategica, che inquieta con Kiev anche Berlino, Parigi e Londra, per non dire Varsavia, Vilnius, Helsinki ……. ed anche Roma, mette all’ordine del giorno, non solo la questione della guerra russo ucraina, ma più ampiamente l’autosufficienza strategica europea. Più Europa allora, più integrazione, più condivisione, più stato? Lo grida Mario Draghi quando di fronte al Parlamento Europeo implora accorato “fate come volete, ma fate”, prendete decisioni ed applicatele.
Questa dialettica taglia trasversalmente destra, centro e sinistra, linea di faglia su cui si andranno a ridefinire identità e sistemi di alleanza. Le forze di destra, nazionaliste ma vicine agli imperatori Trump e Putin, ostacoleranno il processo comunitario di rafforzamento politico militare: Salvini contro Tajani, Weidel contro Merz, Macron contro LePen, Meloni in mezzo finché potrà. Certo poi, in Italia anche Conte contro Schlein. La Germania è l’epicentro di questo sconvolgimento, tanto profondo da rimettere in discussione il principale pilastro della sua stessa esistenza statuale: disarmo e delega della deterrrenza militare e nucleare. Ottant’anni dalla tragedia nazista, la principale economia d’Europa, la nazione più popolosa, egemone nei processi produttivi e finanziari, tollererà sempre meno la riduzione a nano politico – militare, trovando nella minaccia russa e nell’abbandono americano le ragioni per il suo ritorno ad una piena sovranità statuale. Unica alternativa, forse, la creazione di una forza militare sovrannazionale basata sul rafforzamento dell’Unione Europea a trazione franco tedesca.
Intanto, urge la questione ucraina. L’Europa si dibatte nella doppia trappola della pace – capitolazione imposta da Trump a Zelenskyi e di un conflitto “eroico” ma senza sbocchi. Un fatto pare certo, per sedersi al tavolo negoziale oggi negato occorre avere qualcosa da dire e da dare. E che cosa, in termini di principi, se non l’impossibilità che sia pace senza giustizia? E quindi con Kiev finché la tenacia non obbligherà Trump e Putin ad accettare Ucraina ed Europa al tavolo. Del resto, se la Russia è sdoganata e si va a trattare, per quale motivo non riprendere il filo della cooperazione con Mosca? Come si dice, “a brigante, brigante e mezzo”, un’Europa forte può dare molto di più a Putin degli USA. Ma deve essere forte.
Basterà a ridare slancio e futuro all’Europa? Sono sufficienti forza militare o astuzia negoziale, se latita il senso di una nuova grande missione, un sogno ed un’identità rinnovata, un grande cambiamento nelle relazioni tra i popoli di cui l’Europa sia coprotagonista, un profondo cambiamento culturale ed una nuova dimensione di civiltà che ridia speranza a chi l’ha persa al punto da mettere la sua vita nelle mani di Trump, Musk, Heidel, Milei o la nostra Giorgia Meloni, tra questi “mostri” la meno peggio. L’Europa è un piccolo subcontinente, pieno di vecchi, disabituato, per fortuna, da tre generazioni alla privazione ed al sacrificio, tantomeno alla retorica bellicista che tanto ascolto trova ancora in popoli più giovani ed illusi dalla fede neoimperiale. Il suo destino sembra quello dell’antica Grecia, dissanguato dai particolarismi, dispensatore di bellezza e cultura in tutto il mondo, ma alla fine ripiegato a povera provincia dell’impero. O quello dell’Italia Rinascimentale, di cui replicò doni, percorso e malinconico esito.
Forse il destino è già scritto, ma non si può esserne certi prima di aver giocato le carte. Forse, la grande ricchezza d’Europa, materiale e culturale, la consapevolezza che le viene dal tragico passato contro la guerra come strumento per risolvere le questioni tra i popoli, la vocazione multilaterale, l’indocilità all’ingiustizia sociale come “igiene dei popoli”, la pur contraddittoria sensibilità ecologica, potrebbe offrire risorse a quanti, nei suoi confini e fuori, vorranno fare tesoro e immaginare soluzioni ancora oggi impensabili.
Vecchio e nuovo assieme, come Heidi Reichinnek ha fatto unendo giovani ed anziani con la “Mission Silberlocke” (missione capelli d’argento). Un piccolo fiore da coltivare.
Giuseppe Ucciero