25 febbraio 2025

IL VERDE A MILANO

Un po' di storia


Copia di Progetto senza titolo (5)

Si è tenuto nei giorni scorsi un interessante incontro sul tema del verde a Milano, organizzato dal Centro regionale di Studi Urbanistici della Lombardia. Erano presenti fra i relatori ingegneri e agronomi, che hanno tra l’altro rappresentato un’importante considerazione sulla fisiologia umana: che si è formata in centinaia di migliaia di anni immersa nella natura, e che solo relativamente da poco si è insediata nelle città: e che quindi aspira al verde come spazio familiare, in cui si trova più a suo agio per motivi appunto fisiologici e naturali.

Mancavano invece considerazioni da parte di architetti e urbanisti; ma considerando che a Milano, città priva di risorse naturali – il fiume, il mare, la collina, come avviene invece per dire a Torino, a Genova e in molte altre città – che a Milano appunto il verde è solo esito di un progetto, ecco che potrebbero tornare utili anche alcune considerazioni di tipo urbanistico.

Nell’antichità le città erano molto piccole e facilmente percorribili a piedi. Subito all’esterno delle mura la natura la faceva da padrona e quindi non c’era bisogno di verde pubblico all’interno; ma non per questo le città erano “di pietra” (come spesso erroneamente viene detto) perché quasi sempre erano ingentilite da giardini privati, anche con funzione ecosistemica (come si dice elegantemente adesso), ovvero venivano anche coltivate ad orto con il compito di fornire sia frescura e piacere, ma anche cibo in caso di necessità (assedi). Un esempio classico e facilmente visibile sono le domus di Pompei dove a un primo patio semipubblico seguiva un giardino (come nelle Praedia di Giulia Felice); schema poi ripreso a Milano ad esempio negli isolati di via Cappuccio o di via Manzoni/via dell’Annunciata, dove però i giardini (in parte rimasti) sono stati poi in gran parte edificati negli anni ’30 aprendo la vie Necchi e appunto la via dei Giardini (non so se usi ancora, ma anni fa era uso dei proprietari dei giardini di via Cappuccio aprire ogni tanto i giardini ai bambini della vicina scuola elementare di via Sant’Orsola).

In periodo rinascimentale e poi barocco altre grandi aree verdi venivano mantenute in prossimità alla città per morivi militari: ad esempio l’area del parco alle spalle del Castello, inedificabile per impedire a un eventuale esercito assediante di fortificarvisi (un’analoga struttura è presente a Pavia con il Barco Visconteo, dove si tenne la famosa battaglia, con episodi di rilievo appunto attorno alle edificazioni esistenti come il Castello di Mirabello o ai dislivelli della Vernavola), area peraltro usata in tempo di pace come terreno di caccia per i Signori; oppure le aree fra le mura spagnole e la cerchia interna, in larga misura inedificabili non già perché “in attesa” (come erroneamente qualcuno crede) ma per permettere all’esercito difensore di muoversi fra le linee nel caso di breccia; e i borghi esterni si formarono non solo per evitare il dazio, ma proprio per tali limitazioni (tanto è vero che quando i bastioni persero la loro importanza difensiva in ragione dell’evoluzione dell’artiglieria, il dazio rimase ma appunto si iniziò a costruire fra le due cerchie).

Questo spazio inedificato svolgeva anch’esso un ruolo ecosistemico (ovvero di fornire cibo fresco) e di loisir in tempo di pace, e non è quindi un caso se che i primi Giardini Pubblici (con la maiuscola, è un nome proprio) furono realizzati proprio qui, collegando la passeggiata sul Naviglio con quella sui Bastioni, da cui si ammiravano le montagne, mediante la via Marina il cui disegno alberato geometrico ideato dal Piermarini alla fine del ‘700 è tuttora presente (1).

L’altro grande progetto della Milano Ottocentesca come noto è l’asse Duomo-Castello-Parco Sempione- Arco della Pace-Corso Sempione- Piazzale Accursio… e poi? Poi doveva finire in un grande parco esterno, come nel disegno Louvre-Tuileries- Champs Élisées-Arc de Triomphe-Bois de Boulogne che chiaramente lo ha ispirato: ma qualcosa non ha funzionato. Il parco esterno infatti avrebbe dovuto coincidere grosso con l’antico Bosco della Merlata, ma una volta iniziati ad acquisire i terreni, al suo posto fu deciso di realizzare il Cimitero Maggiore, e addio al disegno della piccola Parigi (gli ultimi resti del Bosco della Merlata – di cui resta il nome nella omonima cascina – dovevano diventare un centro industriale, poi sostituito da case e da un centro commerciale). Comunque, ricordo un avvocato di centrodestra che anni fa sosteneva: basta che i metri quadri di verde siano gli stessi: se il parco Sempione fosse lì o un po’ di fianco, che differenza farebbe? (beata ignoranza…) (la legge regionale peraltro prevede la stessa cosa, basta che i metri quadri siano gli stessi, il disegno si può cambiare).

Sulla realizzazione del Parco Sempione, spesso si cita come gesto coraggioso quello di concentrare tutto il verde qui, anziché a collana attorno ai Bastioni come era nel progetto originario del Beruto. Certo il risultato è bellissimo ma qualcosa si è perso nelle altre zone semicentrali, abbastanza prive di verde; e la motivazione originaria non è del tutto nobile, perché l’area del Parco Sempione (ex piazza d’armi) era di proprietà pubblica, il verde diffuso sarebbe stato su aree private… insomma per i proprietari di aree edificabili quella scelta fu anche vantaggiosa.

L’ultimo grande disegno del verde cittadino, di cui ancora godiamo adesso, è quello delineato dal PRG ’53 e completato dal PRG ’76. Spesso si parla di quei piani come di piani “di retini”, di standard “meramente quantitativi” (parola questa che è passata da essere una “bandiera” intoccabile – come dice l’origine della parola stessa, stendardo – a meccanismo vituperato; la verità, come spesso accade, stando probabilmente nel mezzo), eppure è a questi che dobbiamo il Parco Nord (salvaguardato prima della relativa legge regionale), la “spalla” Ovest costituita dai parchi di Trenno, Bosco in Città, Cave, Fontanili e (si spera) Piazza d’Armi, la “spalla” Est del Parco Lambro, Forlanini, Monlué (connessi tra loro dal recente parco della Lambretta), e infine il Parco Agricolo Sud, che prima di essere legge è stata anch’esso una previsione di verde agricolo con valore paesaggistico, ecosistemico e di loisir nel PRG ’76 (e di cui sono recenti e belle attuazioni il Parco Vettabia e il Parco ex Porto di Mare).

Ma tant’è, nel PGT 2011 è stato addirittura scritto che questo sistema “non funziona” (chi ha scritto queste parole probabilmente fruisce – forse inconsapevolmente – dei parchi di cui sopra, che stranamente – anche se il sistema “non funziona” – sono invece in gran parte stati realizzati); il meccanismo proposto invece è stato quello della compensazione ovvero della “perequazione”, come spesso viene chiamata (2).

Domanda: funziona la perequazione, in termini di realizzazione di un disegno del verde coerente? O c’è stata solo una polverizzazione degli interventi, senza una logica complessiva?  Nessuno lo sa, o meglio, lo sanno solo gli uffici comunali, che però finora si sono guardati bene dal rendere pubblici i risultati planimetrici di tale meccanismo, ad esempio mediante una mappa che rappresenti le realizzazioni. Nel PGT 2011 il meccanismo era accompagnato anche da un possibile disegno suggestivo, quello dei “Raggi verdi” formulato da Andreas Kipar, che avrebbe dovuto collegare le aree centrali con le aree a verde esterne mediante connessioni anche minime; ma tale disegno purtroppo non è stato più ripreso.

In attesa di informazioni di tipo qualitativo che possano consentire qualche valutazione sugli esiti del nuovo meccanismo, si può vedere qualcosa del futuro PGT in corso di redazione dalla lettura del rapporto preliminare VAS dell’agosto 2023. Nel documento da una parte si rileva che la dotazione media di verde esistente a Milano (18,5 mq/abitante) è inferiore a quella media esistente nella città metropolitana (22,5 mq/abitante) e anche all’obiettivo che il PTM si è posto (45 mq/abitante) (pag.49); si rileva inoltre che tale dotazione è insufficiente anche da un punto di vista qualitativo, perché “Il verde a Milano è spesso formato da aree discontinue, non connesse tra loro e talvolta di difficile accessibilità; non sembra infatti riconoscibile sul territorio un vero e proprio disegno di impronta. Per la sua conformazione urbana e per la sua crescita in assenza di un forte piano che ne vincolasse le aree, la città si trova oggi priva di grandi spazi verdi all’interno del suo tessuto consolidato, mentre i grandi polmoni verdi rimangono al confine tra i suoi limiti amministrativi e l’area metropolitana” (pag. 115, forse un po’ troppo severo); dall’altra si afferma invece (in modo però abbastanza incoerente) che la dotazione di verde esistente sia addirittura uno dei “punti di forza” della città (pag., 224). È come se la relazione fosse stata scritta da due persone diverse che non si parlano, uno che ha scritto le premesse e un altro le conclusioni (senza peraltro preoccuparsi di leggere le premesse).

Torniamo comunque alle considerazioni iniziali. Il verde è un bisogno insostituibile della natura umana e Milano ne ha più bisogno di altre città, perché priva di risorse naturali. È questo verde lo si otterrà mediante un disegno, ovvero un progetto perseguito nel tempo.

Gregorio Praderio

(1) la storia dei Giardini Pubblici non sempre viene raccontata bene: si tratta infatti non solo dei primi giardini milanesi pensati e realizzati come pubblici (ovvero non come trasformazione di precedenti giardini privati), ma anche forse di uno dei primi Giardini Pubblici europei e forse del mondo, visto che i parchi realizzati precedentemente o sono (come Villa Borghese a Roma o la Guastalla a Milano) parchi in realtà nati privati e diventati pubblici poi, o, come il famoso Common di Boston, nati all’inizio come luogo di incontro per la fiera del bestiame, e solo successivamente trasformati in area a verde. Che questo aspetto sia poco noto, lo dimostra l’inopinato cambio di denominazione dei Giardini di qualche anno fa, con l’intitolazione a un noto giornalista (peraltro molto di parte) che amava passeggiare qui e che qui subì un attentato (mi chiedo però se gli americani cambierebbero il nome del Common per questo); e questo senza che la altrimenti molto temuta Soprintendenza abbia avuto qualcosa da ridire: questo forse perché si è ritenuto che “Giardino Pubblico” fosse un nome comune, privo di specificazione, e non un nome proprio. Stupisce anche che l’attuale amministrazione non abbia ritenuto di ripristinare per lo meno nell’uso lo storico e glorioso nome (dedicando magari al noto giornalista qualche altro spazio, come forse lui stesso avrebbe preferito), ma che anzi insista nei suoi documenti ufficiali con la nuova denominazione. Per fortuna la toponomastica (come diceva il Devoto) è persistente nell’uso (Leningrado ad esempio continuava a venire chiamata Piter dai russi anche nel periodo sovietico) e quindi almeno nel parlato viene mantenuto il vecchio e ripeto glorioso nome. Ovviamente lo stesso ragionamento vale anche (se pur in misura minore) anche per gli altri spazi a verde a cui è stato appiccicato un nome “politico”: parco Aniasi (dov’è?), parco don Giussani e via discorrendo.

(2) preciso per completezza di avere a suo tempo (metà anni ’90) sviluppato per il Comune di Milano una proposta simile, però con indici più bassi e maggiore controllo sui “voli” dei diritti edificatori; proposta però che allora non ebbe seguito.



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  1. Pietro VismaraDi questo passo si potrebbe rinominare l'Arco della Pace, Arco "Tognoli" (un bravo sindaco), la Stazione Centrale, Stazione "Enzo Biagi" (era solito prendere lì il treno), il Castello (che è senza nome), Castello "Raffaella Carrà" (la più amata dagli italiani). Perché no?
    26 febbraio 2025 • 09:00Rispondi
    • Giuseppe VastaAnni fa proposi al Comune di Milano di cambiare il nome della via dedicata al Generale Douhet (il teorico del massacro aereo dei civili, ahimè preso in parola dai diversi schieramenti, in particolare angloamericani, anche a nostro danno), intitolandola invece a Primo Levi (grandissimo scrittore e testimone dell'Olocausto, che non ha nessuna via nella nostra città). Risposta degli uffici (sottoscritta dal Sindaco): non si può, la Soprintendenza potrebbe opporsi! Ma come? Il bombarolo Douhet è intoccabile, e i Giardini Pubblici no? Senza parole (e a Primo Levi non è stati dedicato nulla...)
      26 febbraio 2025 • 10:25
  2. GiuliaBell'articolo. Peccato che i politici milanesi siano allergici alla clorofilla. Ci siamo già dimenticati i numerosi alberi e arbusti piantati ovunque nella torrida estate del 2022 e lasciati a secco per non sprecare acqua, come da ordinanza del sindaco? Bel modo di spendere i soldi del PNRR. E vogliamo anche parlare dei corsi del comune , sempre del 2022, per insegnare ai cittadini come annaffiare gli alberi e prendersi cura del verde?
    28 febbraio 2025 • 15:25Rispondi
    • Gregorio PraderioGrazie!
      5 marzo 2025 • 08:39
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