5 novembre 2024
LA DITTA “SPIONI&GUARDONI”
Nel Paese dei caduti dal pero
In questo bizzarro Paese che sembra credere a tutto ciò che viene detto senza nemmeno un briciolo di spirito critico, ogni tanto – meglio: piuttosto spesso – salta fuori che qualcuno rovista tra le pieghe delle vite altrui, anche quelle più intime, anche quelle più sensibili, per puro diletto o più frequentemente per guadagnarci qualcosa in termini economici, politici, o strategico-militari come ci hanno raccontato molti film di James Bond. O ancora, molto ma molto più banalmente, per spiare le conversazioni della fidanzata, o quelle del fratello forse per questioni legate a una consistente eredità.
Intendiamoci, quella dello spione è professione antica quasi quanto il mondo e l’Italia non sembra averne l’esclusiva, anzi: raccogliere dati su commissione, aprire dossier che possono essere utilizzati per esempio in una campagna elettorale, è ormai sport diffuso a ogni latitudine e non è escluso che prima o poi vengano organizzati anche dei campionati mondiali della specialità.
Però qui da noi, ogni volta che si scopre un altarino di spioni, caschiamo – come si dice – dal pero, nel senso che alla naturale dose di indignazione perché qualcuno ha curiosato nel conto corrente di quel parlamentare, o ha scoperto che la moglie di quel sottosegretario è titolare di decine di conti esteri, si accompagna lo stupore di Alice quando realizza che il paese delle meraviglie è esistito soltanto nella mente di un fantasioso scrittore.
Ma davvero nel 2024 c’è ancora qualcuno che riesce a stupirsi? Davvero c’è qualcuno nell’età in cui da tempo si è concluso lo sviluppo della corteccia prefrontale (cit. Guia Soncini) che rimane sbalordito dalla scoperta che nessuno dei suoi dati è al sicuro, neppure quelli che crede di aver nascosto nei punti più “inviolabili” della rete?
Il problema è che non serve essere un hacker professionista, basta avere una certa dimestichezza con le tecnologie informatiche per trasformarsi in profili richiestissimi dal mercato degli spioni. Invece ogni volta che una società di “business and reputation risks intelligence” – come Equalize, ad esempio, di cui si sta parlando in questi giorni – viene messa sotto inchiesta perché ha costituito un archivio dati di cui non dovrebbe disporre, andati a pescare all’interno di sistemi in cui non avrebbe dovuto entrare, la politica e l’opinione pubblica restano a bocca aperta chiedendosi e chiedendo come sia possibile una cosa del genere.
“Possiamo sputtanare tutta l’Italia”, si vantava al telefono uno degli indagati appartenenti alla cricca che secondo la procura milanese ha “bucato” i sistemi del ministero dell’Interno per decina di migliaia di volte, raccogliendo informazioni su circa ottocentomila cittadini italiani e arrivando a entrare, illegalmente va da sé, anche nel sistema di posta elettronica del Quirinale. Insomma, anche se si fa un gran parlare di cyber sicurezza, di privacy e di relativi protocolli europei Gdpr, oggi è praticamente impossibile tenere tutte le informazioni che ci riguardano in un luogo sicuro. Ci sarà sempre qualcuno che, a livelli progressivi di (in)sicurezza, sarà in grado di scovarle per farne poi ciò che vuole.
Eppure ogni volta, passata la buriana, terminate le ondate di indignazione e di stupore, tutto ricomincia come prima. Politici, lobbysti, faccendieri di varia natura, ma anche privati cittadini, affidano confidenze, notizie riservate, pettegolezzi e informazioni sensibili agli archivi dei propri pc con relativi cloud, oppure ai microfoni dei propri smartphone, fingendo di non sapere – e per questo ogni volta stupirsi – che tutto ciò che dicono o che scrivono, in particolare le notizie più interessanti e riservate, finisce nei server della galassia Zuckerberg (Facebook, Instagram, Whatsapp, Oculus ecc.), o in quelli di Pavel Durov e del suo Telegram, quando non direttamente in quelli della National Security Agency, l’agenzia americana per la sicurezza nazionale che ha il compito di monitorare, raccogliere e catalogare informazioni, dati e tutto ciò che può interessare l’intelligence o il controspionaggio nazionale e internazionale. Tutti sistemi in cui gli hacker più esperti hanno nel tempo già dimostrato di poter entrare più o meno facilmente.
Nel 2021, in piena era Covid, Giovanni Vannini, consulente di comunicazione e docente universitario che i lettori di ArcipelagoMilano ben conoscono, pubblicò per Flaccovio Editore “Più reale del reale”, libro-denuncia sul “marketing che mangia il mondo” e sul lato oscuro della tecnologia e le possibili conseguenze sulle nostre vite in caso che venga utilizzata a fini quanto meno poco trasparenti. Ecco, quello era marketing e già ci spaventava.
Oggi scopriamo che il livello è salito e non si parla più di abitudini del consumatore ma dei vari livelli di sicurezza della società nel suo complesso. Al punto che l’ex capo della polizia Franco Gabrielli, richiesto di un commento a proposito del caso Equalize, ha detto chiaramente che oltre il 90 per cento dei nostri server è penetrabile, aggiungendo poi che “in questo Paese il dossieraggio è radicato nella storia della Repubblica”. Restiamo convinti che sia sempre giusto mantenere un adeguato livello di indignazione. Ma almeno smettiamola di stupirci ogni volta.
Ugo Savoia
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